[Processo Brennero] Condannati i compagni e le compagne

CONDANNE PER LA MANIFESTAZIONE DEL BRENNERO

La Questura ordina, la procura esegue, il giudice condanna.

Il 16 novembre 2020 presso il Tribunale di Bolzano, come ormai di consueto militarizzato con decine di poliziotti, carabinieri e celerini e questurini di tutti i tipi, sono state pronunciate le condanne contro 61 compagni e compagne imputati per aver partecipato alla manifestazione contro la costruzione del muro antimigranti al Brennero il 7 maggio 2016.

Militarizzazione del Tribunale di Bolzano in occasione della sentenza per il primo troncone del processo del Brennero. 16.11.2020

Come abbiamo già scritto, la procura bolzanina, nelle persone di Andrea Sacchetti e Igor Secco, dopo aver chiesto, come se fosse fare la lista della spesa e in una perfetta rappresentazione pratica di applicazione del diritto penale del nemico, oltre 330 anni di carcere per i compagni/e imputati nel processo per “Devastazione e saccheggio” ne aveva chiesti altri 85 per compagni e compagne imputati di reati più “lievi” ovvero interruzione di pubblico servizio, radunata sediziosa e travisamento.

Di fatto per ognuno veniva richiesto il massimo della pena possibile, prefigurando una sorta di reato collettivo, nell’evidente intento politico di intimidire e colpire chi, di fronte alle ingiustizie più inaccettabili, aveva deciso che fosse venuto il momento di dire basta.

I compagni e le compagne sono stati/e condannati/e a pene comprese in gran parte fra i 7 mesi ed i 10 mesi di arresto o reclusione per un totale di circa 37 anni di carcere.

Vogliono illuderci che la cosiddetta “giustizia” esercitata nelle aule dei Tribunali sia “neutra”, in cui uomini imparziali decidono sulla vita, e spesso sulla morte, di uomini e donne.

Nessun luogo come il Tribunale di Bolzano dimostra come ciò sia ben lontano dalla realtà che vorrebbero farci credere, il cui Procuratore generale Gianluca Bramante, amico dell’ex magistrato Luca Palamara (quest’ultimo cacciato dalla magistratura in seguito alla scoperta del sistema di influenze con cui condizionava, per non dire decideva, la nomina di procuratori e altri uomini di potere all’interno dei Tribunali di tutta Italia), dalle chat che sono state rese pubbliche, emerge come fosse protagonista di una lotta di potere all’interno del Tribunale di Bolzano avendo affermato come, appena insediatosi nei suoi uffici, aveva “decapitato gli uomini di Tarfusser”, l’ex procuratore capo a Bolzano.

Potere, influenze, ideologia, interessi economici determinano, all’oscuro della conoscenza della totalità della popolazione, le decisioni di chi decide sul bene più prezioso di ogni essere umano: la libertà. 

Certo non potevamo aspettarci da chi applica la legge, comprensione di nessun tipo nei confronti di chi intende cambiare radicalmente una società costruita su guerre, sfruttamento indiscriminato del lavoro e dell’ambiente. Mai come oggi però occorre rafforzare la solidarietà nei confronti degli imputati condannati, in un momento storico in cui settori di potere, da personaggi come Piercamillo Davigo a Bonomi di Confindustria, cercano di trarre profitto da una situazione di emergenza e che vede le possibilità di organizzazione e protesta, ridotte per decreto.

Certo siamo in un Paese in cui, come recentemente ricordato, i torturatori e i responsabili delle sevizie inflitte ai manifestanti del G8 di Genova fanno carriera all’interno della polizia mentre chi manifesta viene condannato, o meglio, perseguitato con pene fuori da ogni logica, come quelle richieste da Sacchetti e Secco per il processo del Brennero. A proposito di “neutralità”.

Dopo aver allestito un grottesco teatro con la militarizzazione del Tribunale portata avanti per anni, la Procura di Bolzano, dopo aver ripetuto in aula le dichiarazioni dei funzionari delle questure, veri e propri consulenti della Procura, doveva portare a casa un risultato per non apparire ridicola. E chi se ne importa se il delirante disegno accusatorio di Sacchetti-Secco non teneva in minima considerazione ciò che è successo realmente in quella giornata ma aveva l’esclusivo intento di assegnare più anni possibili di carcere, inventando la realtà, all’occorrenza.

Evidentemente la pressione era molta, visto che mai come oggi, per chi è tenuto a garantire il mantenimento dello Status quo, è importante togliere di mezzo ed intimidire chi si ribella e chi si organizza per resistere agli attacchi sempre più violenti contro i lavoratori, immigrati, proletari e la parte più povera della società.

Gli imputati del processo del Brennero, di fatto condannati per non essere rimasti fermi a farsi massacrare di botte dalle cariche della celere, vanno difesi, perché non si sono girati dall’altra parte mentre uomini e donne morivano e rischiavano di morire passando una frontiera. Non sono rimasti indifferenti mentre le politiche migratorie europee determinavano la morte di centinaia e migliaia di persone, nei deserti, nel Mediterraneo, alle frontiere.

I condannati di oggi, come molti condannati del passato e inevitabilmente, del futuro, vanno difesi per aver saputo mettersi in gioco, contro la consacrazione del privilegio e della disuguaglianza che avviene attraverso muri antimigranti, missioni militari, dispositivi di controllo e decreti sicurezza come quello voluto da Lega e 5 stelle e confermato dal Pd.

Vanno difesi perché hanno saputo rompere l’indifferenza in modo concreto. In un Paese come l’Italia dove storicamente e attualmente (vedi omicidio Cucchi per citare un caso recente) i depistaggi all’interno delle Questure o nelle stazioni dei Carabinieri o le violenze commesse all’interno delle carceri sono la norma, essere condannati per aver cercato di rompere il circolo vizioso della passività di fronte alle ingiustizie cui ci vorrebbero abituati è una medaglia al merito.

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