[Bolzano] Oltre l’arresto di Max Leitner. Alcune note e riflessioni

Il contesto in cui è avvenuto il recente arresto di Max Leitner, noto ai più per le sue rapine a banche, furgoni portavalori e le numerose evasioni che lo avevano fatto diventare il Vallanzasca sudtirolese, ha fatto rimergere, al di là della sua biografia, un dato cui non è stato dato il necessario risalto: l’ennesima violenza nei confronti di una donna che avrebbe potuto trasformarsi nell’ennesimo femminicidio.

Certamente per i cronisti nostrani il dato eclatante del fatto che ha portato a ritenere utile scriverne un po’ più del solito era il nome di Leitner, non certo l’episodio in sé, riconducibile alle dinamiche che attraversano i cosiddetti bassifondi della città, vissuti da uomini e donne marginali come prostitute, vagabondi, immigrati irregolari, senzatetto la cui sorte solitamente non interessa alla Bolzano perbene.

La città di Bolzano negli ultimi anni ha visto lo sviluppo di un’isterica campagna securitaria costruita su episodi legati al cosiddetto decoro urbano ovvero piccoli atti di vandalismo, piccolo spaccio che ha preparato il terreno all’approvazione del progetto Waltherpark del miliardario austriaco Benko, venduto come progetto di riqualificazione urbana che avrebbe nei fatti portato all’espulsione del sottoproletariato immigrato che vive il parco della stazione. Oltre a ciò si sono avute continue ordinanze antidegrado e centinaia di telecamere a 360 gradi disseminate per la città trasformando di fatto il capoluogo sudtirolese in un set del Grande fratello.

Politicanti locali, legati in particolare alla Lega di Matteo Salvini e fascistoidi ma non solo, supportati da giornali, giornaletti e canali televisivi locali hanno cavalcato ogni piccolo episodio di cronaca in cui il protagonista era straniero per costruire e alimentare una diffusa percezione di insicurezza che ha portato sempre più persone a vedere nel senzatetto, nel marginale o nell’immigrato la causa della propria paura. Ciò è valido in particolare per la zona dei Piani di Bolzano, dove il tema della presenza di prostitute e di un centro di accoglienza per immigrati è stato negli anni sfruttato per alimentare la paura, costruire  consenso e raccattare voti.

Se leggiamo fra le righe ma senza sforzarcisi nemmeno troppo, l’episodio dell’arresto di Max Leitner dimostra per l’ennesima volta come a vivere ogni giorno nel vero terrore siano molto spesso le donne, in questo caso le prostitute che lavorano per le strade di Bolzano. Un tema che si presta molto meno alla propaganda spicciola e che – benchè abbia provocato in città e provincia una lunga scia di sangue e barbarie – non desta lo stesso allarme sociale riservato per esempio al parco della stazione per anni.

Vale la pena ricordare, per i troppi smemorati come nel corso degli anni in città siano accadute infamie di ogni tipo nei confronti delle prostitute, a contatto con le miserie e le frustrazioni di uomini che con il denaro, oltre alla prestazione sessuale, spesso ambiscono a comprare ed esercitare le proprie ambizioni di potere e dominio su una donna tout court.

Non occorre essere degli investigatori per immaginare la quantità di violenze fisiche e psicologiche, minacce e intimidazioni che le prostitute che spesso vediamo nelle vie della città vivono e subiscono quotidianamente. La paura che accompagna ogni nottata, dal momento della contrattazione del prezzo, alla salita in auto fino al momento della prestazione ed al ritorno a casa.

Fra le decine di donne uccise da mariti o fidanzati negli anni in Alto Adige di cui colpevolmente dimentichiamo senz’altro alcune (5 nel 2018: Monika Gruber, Nicoleta Caciula, Rita Pissarotti, Alexandra Riffeser, Maria Magdalena Oberhollenzer. Nel 2019 Fatima Zeeshan, incinta all’ ottavo mese, nel 2020 Barbara Rauch, nel 2021 Maria Waschler) ricordiamo come una parte particolarmente colpita dalla violenza maschile sono proprio le prostitute.

Non si possono dimenticare le vittime dell’assassino seriale bolzanino Marco Bergamo, il quale fra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta oltre alla giovanissima Marcella Casagrande, uccise a decine di coltellate la escort Annamaria Cipolletti e successivamente le prostitute Renate Rauch, Renate Troger e Marika Zorzi.

Nel settembre 2012 ai Piani di Bolzano, la giovane prostituta bulgara Svetla Fileva venne accoltellata 36 volte dal sudtirolese Kevin Montolli.

Nel 2015 il boscaiolo sudtirolese Klaus Rabanser venne condannato a 3 anni e 8 mesi per lo stupro di tre prostitute nigeriane. Oltre ai brutali pestaggi, in almeno un caso egli intimò alla donna di avere un rapporto orale sotto minaccia di un trapano acceso.

Nel giugno 2021 due giovani uomini rumeni sono stati condannati per sfruttamento della prostituzione avendo schiavizzato e sfruttato tre donne connazionali, costrette a vivere in condizioni disastrose in una tenda lungo il Talvera.

Basta fare una rapida ricerca su un motore di ricerca e la quantità di violenze commesse da uomini contro le prostitute in tutta Italia è agghiacciante: dalle rapine agli stupri di gruppo, dalle aggressioni, pestaggi, minacce fino alla tratta e al sistematico ricatto e sfruttamento. Data la condizione in cui si svolge tale attività oltre che la situazione irrregolare di molte donne straniere è facile immaginare come la stragrande maggioranza delle violenze da loro subite non venga neppure denunciata e di conseguenza non sia pubblica. Come abbiamo visto troppo spesso se è difficile denunciare per una donna garantita sotto ogni punto di vista (la paura di subire una vittimizzazione secondaria) figuriamoci per chi non ha soldi o documenti.

Se il contesto in cui è avvenuto l’arresto di Max Leitner conferma – a maggior ragione per chi ci ha avuto a che fare – come dell’aura a tratti mitica che circondava il suo nome alla prova dei fatti non rimane che il nulla, l’episodio di cronaca permette di evidenziare come l’unica vera emergenza sicurezza è legata alla condizione di molte, troppe donne; in particolare le prostitute che lavorano sulle strade, alla mercè dei peggiori istinti dell’uomo frustrato medio e delle miserie che lo caratterizzano. Un fatto su cui ragionare e riflettere, per capire come non lasciarle sole, per non farle sentire abbandonate.

Come ci hanno insegnato l’associazione GEA e le manifestanti che hanno portato solidarietà a MC sotto il Tribunale di Bolzano nei mesi scorsi, la solidarietà alle donne va data quando sono ancora vive; le panchine rosse, i discorsi retorici così come le mimose nelle feste comandate una volta all’anno non servono a nulla se non si è in grado di stare a fianco delle donne ogni giorno mentre sono ancora in piedi, riconoscendo il pericolo prima che diventino l’ennesimo femminicidio annunciato.

Combattere giorno per giorno la cultura dello stupro e il patriarcato che le prostitute subiscono ogni giorno senza voltarci dall’altra parte è il minimo che possiamo fare.

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