La memoria legata alla seconda guerra mondiale, in Italia come nel resto dell’Europa occidentale, tende a dimenticare l’orrore di cui si resero responsabili gli invasori nazifascisti sul fronte orientale, il cui obiettivo era di fare letteralmente terra bruciata di una popolazione che condensava l’essenza di ciò che veniva combattuto da loro: il comunismo e gli slavi, considerati inferiori e contro cui non furono risparmiate le azioni più infami e criminali.
L’invasione dell’Unione Sovietica, iniziata il 22 giugno 1941 iniziò con una serie impressionante di vittorie della Wehrmacht che lasciavano presagire i più foschi scenari in un momento storico in cui gli esiti della guerra dipendevano unicamente dalla capacità di resistenza dell’Armata Rossa ed in generale della popolazione sovietica, totalmente mobilitata contro l’invasore. Nei circa 2 anni precedenti le armate di Hitler avevano vinto con una facilità disarmante gli eserciti di mezza europa e sembrava che anche l’URSS nel giro di poche settimane dovesse capitolare.
Non è stato così e grazie all’incredibile resistenza sovietica e degli antifascisti di tutta Europa è stata scritta un’altra storia.
Centinaia sono i libri scritti sull’epopea di Stalingrado e sul fronte orientale ma lo spazio dedicato al ruolo delle donne in quell’immenso movimento di resistenza popolare non è mai restituito in modo abbastanza esauriente alla memoria collettiva.
Furono migliaia i sudtirolesi di madrelingua tedesca che parteciparono fin dall’inizio alla campagna sul fronte orientale con la Wehrmacht e dalla lettera scritta il 23 settembre 1941 da uno di loro – Franz Heinz Oberkofler- alla sorella Anna residente a Gratzen in Luttach in Val Pusteria, si evince il ruolo che le donne in Russia ebbero nella Resistenza. Una lettera scritta da un convinto nazista, il cui contenuto, contro le sue intenzioni, tratteggia la fierezza, esaltando la forza di queste combattenti, ciò che alla fine le portò a vincere sulle orde naziste:
“Ora che abbiamo messo alle strette questi cani, tanto che non ci possono più sfuggire, si comincia a vederne delle belle! Ieri, per esempio, abbiamo avuto un combattimento con battaglioni, formati da donne. Bisogna vedere, con che astuzia raffinata, combattono queste puttane! Sono quasi pegio degli uomini. Lanciando dei potenti hurrà, si precipitarono sopra di noi, per sfondare le file della fanteria, che dovevano proteggere coi carri armati. Sembrava, che queste 400 furie urlanti volessero dire, assalendoci: «Se gli uomini non vengono ci siamo noi!» Finora non ho mai vissuto una giornata così interessante come ieri. Noi le lasciammo uscire per circa 100 metri dal bosco, poi venne l’ordine di fare fuoco. Aveste dovuto vedere che strage! In un quarto d’ora nessuno ha più lanciato un hurrà; si vedevano ammonticchiate a centinaia. Più della metà apparteneva ormai alla schiera di quelle fortunate, che non sentiranno mai più cantare il cuculo in primavera, il rimanente venne fatto prigioniero. Abbiamo anche avuto un bel lavoro, per alleggerire delle armi quelle sgualdrine. Quasi tutte avevano pronte nelle tasche delle granate a mano; ma erano proprio attrezzate a puntino. Naturalmente ho partecipato anch’io al controllo al sequestro delle armi. Era un vero divertimento! Non ve n’è stata una, che abbia sperso una lacrima, ci guardavano anzi sfacciatamente negli occhi, come se ci volessero divorare. Ho pensato per tutta questa notte allo strano carattere di questo popolo.”
Lettera presa dal libro di Aldo Giannuli: Dalla Russia a Mussolini 1939-1943. Hitler, Stalin e la disfatta all’est nei rapporti delle spie del regime, p. 152.