Da quando è iniziata la pandemia i detenuti delle carceri italiane hanno pagato un prezzo altissimo. Ricordiamo i 13 detenuti morti durante le rivolte a marzo. Una strage avvenuta nel pressoché totale silenzio e nella totale indifferenza del ministro della Giustizia Bonafede e dei vertici dell’amministrazione penitenziaria, i quali solo a fatica hanno ritenuto di dover rendere conto di ciò che è accaduto sotto la loro diretta responsabilità. E se lo hanno fatto, in ogni caso non hanno mancato di autoassolversi di fronte alla morte di 13 vite “minori”, tossici, immigrati, ladri, dannati. L’ennesima conferma – ma non ne avevamo certo bisogno- di come la giustizia sia un rapporto di classe e dove la vita di un proletario, per di più detenuto, non vale la messa in discussione delle posizioni di potere acquisite.
In seguito alle rivolte contro i detenuti ci furono feroci rappresaglie ad opera della polizia penitenziaria, come successo ad esempio nel carcere campano di Santa Maria Capua Vetere. In seguito a tali pestaggi -paragonati alla Diaz di Genova- l’ex ministro dell’Interno Salvini corse a dare solidarietà agli agenti accusati di aver commesso torture nei confronti dei prigionieri, oltre a chiedere misure più dure nei confronti dei rivoltosi, mentre di deputati del partito fascistoide Fratelli d’Italia chiese di dare un premio agli agenti sotto accusa. Sempre il partito di Giorgia Meloni non perse l’occasione -poteva essercene una migliore?- per protestare contro l’introduzione del reato di tortura. Si sa, i secondini altrimenti, non sono liberi di “operare”.
13 morti. Una carneficina che riporta ai tempi bui delle stragi ordite dal generale Dalla Chiesa contro i i prigionieri ad Alessandria nel 1974 in cui 6 detenuti furono assassinati e oltre 15 feriti.
Siamo in un paese in cui l’indifferenza nei confronti di ciò che accade nelle carceri è dilagante, favorita anche dal veleno forcaiolo che negli ultimi anni, grazie a movimenti come 5 stelle e LEGA ed alle loro espressioni giornalistiche e giudiziarie, ha disumanizzato i prigionieri, privandoli di dignità, relegati in piccole celle costantemente sovraffollate. Sulla pelle dei prigionieri si consumano i banchetti elettorali degli sciacalli più voraci. Esemplare da questo punto di vista l’arresto dell’ex militante dei PAC (Proletari armati per il comunismo) Cesare Battisti, esibito come un trofeo da parte del ministro della giustizia Bonafede e dell’allora ministro dell’Inetrno Salvini. L’accanimento politico e mediatico contro il 65enne è continuato negli anni successivi, con decisioni arbitrarie, linciaggi mediatici nel momento in cui Battisti richiedeva di poter cucinare da solo in cella per motivi di salute, ecc.
Nel carcere di Spini di Gardolo, a Trento, negli ultimi anni non sono mancati i suicidi, i tentati suicidi, i casi di autolesionismo. Tutto ciò in una situazione in cui il consumo di psicofarmaci è quotidiano e favorito in ogni modo. Ricordiamo, come circa due anni fa, in seguito all’ennesimo suicidio i detenuti esasperati furono protagonisti di una rivolta per cui circa 80 di loro sono stati rinviati a giudizio.
In seguito all’epidemia, la sospensione o la limitazione dei colloqui ha avuto un peso enorme sullo stato di salute psico-fisico dei detenuti, già provati dalle difficili condizioni di detenzione.
Uno degli ultimi fatti di cui si è avuto notizia dal carcere di Trento è il fatto che il 13 novembre un detenuto, dopo aver visto rifiutata la consegna di alcuni effetti personali portati dalla moglie, ha dato fuoco alla propria cella e si è dato fuoco. E’ stato portato via in ambulanza.
Oltre a ciò nel carcere di Trento:
-La posta è bloccata in entrata e in uscita
-i pacchi non entrano
-l’amministrazione non dà informazioni sui contagi
-I positivi vengono sbattuti vengono sbattuti nelle celle di isolamento punitivo o trasferiti in altre carceri
-da settimane i colloqui con i famigliari sono completamente sospesi
-Per due settimane non si sono visti medici e solo dopo una protesta con le battiture si è presentato il personale sanitario
-chi dovrebbe essere seguito con trattamenti medici specifici viene solo imbottito di psicofarmaci
A tutto ciò si aggiunge il fatto che i magistrati di sorveglianza continuano a non concedere misure alternative a chi ha requisiti per accedervi contribuendo così ad esasperare la situazione e portando molti detenuti alle estreme conseguenze (almeno 3 i casi detenuti suicidati negli ultimi anni coe conseguenza a tali rifiuti).
Rompere il silenzio riguardo a ciò che succede nel carcere di Spini è fondamentale. Rompere l’isolamento fra dentro e fuori le mura.
Nel corso di alcuni saluti fuori dalle mura del carcere di Spini la voce e la protesta dei detenuti è stata raccolta dai compagni e dalle compagne che l’hanno portata in città nel corso di un presidio in piazza d’Arogno a Trento. Qui sotto il volantino che pubblicizzava l’iniziativa.