Oggi come ieri la guerra è sempre stata legata a doppio filo con la propaganda, con l’esigenza di giustificare agli occhi della popolazione l’immenso spreco di risorse sociali ed economiche che viene destinato all’Esercito, un apparato mastodontico che assorbe immense risorse che potrebbero e dovrebbero essere destinate a scuole ed ospedali, per esempio. Un apparato che recluta i propri membri fra le parti più povere della popolazione e che costruisce uomini incapaci di pensare, trasformati in strumenti di oppressione. Una struttura parassitaria che soprattutto oggi, in tempi di pandemia da COVID, richiede per il suo mantenimento una spesa insostenibile a livello di armamenti e mantenimento di missioni militari di guerra all’estero.
Durante la seconda guerra mondiale le classi degli asili così come delle scuole elementari intrattenevano una corrispondenza con i soldati al fronte impegnati nei vari teatri di guerra in cui erano impegnate le truppe italiane: Grecia, Albania, Russia, ecc. Una corrispondenza il cui scopo era finalizzato a familiarizzare i bambini alla guerra e alle armi per farli abituare al contatto con i soldati impegnati nella realizzazione del cosiddetto Impero. Occorreva convincerli fin da piccoli che la guerra in corso era giusta e che il tributo di sangue pagato era necessario per difendere la civiltà europea dal pericolo del comunismo giudaico.
Se il periodo storico è cambiato, il rischio che la scuola torni ad essere esclusivamente un luogo di trasmissione dell’ideologia dominante è concreto e reale e sono purtroppo molti i tentativi dell’Esercito di entrare, in vari modi, nelle scuole.
Da un articolo pubblicato sull’Alto Adige del 3 gennaio 2021 si apprende che la maestra Alfonsina Pepe della scuola elementare Gianni Rodari di Bolzano ha avuto la trovata, nel 2020, di iniziare una corrispondenza fra la 4a classe in cui insegna ed i soldati dell’Esercito italiano ad Erbil, in Iraq, impegnati in una missione militare – e perciò profumatamente pagati – denominata Prima Parthica / Inherent Resolve e che ufficialmente dovrebbe servire per contrastare lo Stato Islamico in Siria e Iraq. 20 anni di “missioni per la pace” occidentali che hanno devastato e destabilizzato il Medio Oriente ci hanno dimostrato come tali presenze non siano affatto il risultato di attività filantropiche.
La realtà dice che lo Stato islamico è stato combattuto dalle YPG/YPJ curdo-siriane, poi abbandonate al massacro di fronte all’arrivo delle truppe turche di Erdogan, vero alleato di ISIS e NATO. In Iraq, nella zona in cui sono impegnate le truppe italiane operano numerose aziende italiane: da Eni a Saipem, passando per Bonatti, Renco, Trevi e molte altre. Sono in gioco gli interessi milionari di numerose imprese italiane, altro che pace nel mondo.
Se ci fosse stata la volontà politica di contrastare ISIS si sarebbe fatto attraverso il supporto di chi li combatteva realmente e non sostenendo le politiche criminali di Erdogan, come è stato fatto da UE e NATO, cosa denunciata in piazza decine di volte dai compagni e dalle compagne a Bolzano.
Ricordiamo che l’Italia con le sue forze armate prese parte nel 2004 alla coalizione internazionale che ha contribuito a distruggere l’indipendenza dell’Iraq per appropriarsi delle sue risorse economiche. Nella fattispecie il Petrolio ed il Gas che abbondano nel sottosuolo del Paese mediorientale e su cui hanno messo mano aziende come appunto ENI e altre multinazionali.
Ricordiamo che in Iraq i soldati della coalizione occidentale si sono resi responsabili di efferati crimini di guerra e torture ai danni della Resistenza, documentati anche dall’attività di Wikileaks per cui Julian Assange – per cui oggi è stata negata l’estradizione – sta pagando con la detenzione da 10 anni circa. In Afghanistan, altro teatro di guerra in cui i soldati italiani sono impegnati da 20 anni, recentemente è emerso come i soldati australiani abbiano torturato e ucciso per divertimento decine di civili.
In un momento storico come quello che stiamo attraversando potevano essere moltissimi i destinatari di un progetto analogo; ad esempio gli alunni che frequentano le scuole in un paese in guerra oppure i medici e infermieri volontari di Emergency impegnati in Afghanistan senza ottenere alcun guadagno o gli stessi operatori impegnati in condizioni difficilissime negli ospedali o nelle case di riposo.
Non conosciamo la maestra Alfonsina Pepe e non sappiamo se la sua iniziativa sia soltanto il risultato di una gravissima ingenuità e ignoranza oppure se dietro vi sia una volontà di fare una certa propaganda. Di certo sarebbe opportuno sapere cosa è stato raccontato ai bambini nell’ambito della “bella iniziativa” (!!!) come è stata definita dal giornale locale Alto Adige il cui articolo sembra scritto da un funzionario del Ministero della Difesa.
Ancora più paradossale che un’iniziativa di propaganda del genere avvenga in una scuola intitolata allo scrittore e pedagogo Gianni Rodari che nella sua opera affrontava in modo costante la necessità di contrastare in ogni modo derive autoritarie o militariste della società, di cui ricordiamo una sua – oggi più che mai attuale – filastrocca. Consigliamo alla maestra Pepe di andarsi a rileggere chi era Rodari.
PROMEMORIA
Ci sono cose da fare ogni giorno:
lavarsi, studiare, giocare
preparare la tavola,
a mezzogiorno.
Ci sono cose da fare di notte:
chiudere gli occhi, dormire,
avere sogni da sognare,
orecchie per sentire.
Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno né di notte
né per mare né per terra:
per esempio, LA GUERRA.