Nel marzo 2019 in via Claudia Augusta a Bolzano, M. C., una donna che aveva già denunciato le violenze del marito e che da poco tempo viveva in una comunità protetta, venne raggiunta e accoltellata davanti alla figlia con colpi al collo, al volto e all’addome. Come riporta l’associazione GEA “A causa dell’aggressione è rimasta a lungo tra la vita e la morte, il suo corpo stava collassando. Eppure ce l’ha fatta per sé e per le tre figlie. Uscita dall’ospedale, è stata in istituto di riabilitazione fino all’estate 2019. E solo a quel punto si è riunita alle sue figlie e da allora vive in alloggi protetti”.
Un tentato femminicidio che sarebbe andato ad aggiungersi ad una lunga serie di delitti dello stesso tipo avvenuti in Provincia di Bolzano negli ultimi anni. Oltre alle donne uccise nel corso degli Ottanta dal serial killer Marco Bergamo, negli ultimi anni ricordiamo almeno i nomi di Svetla Fileva, donna bulgara 30enne assassinata a coltellate nel 2012 da un giovane sudtirolese. Nel 2017 in Viale Europa a Bolzano una donna marocchina venne accoltellata 5 volte dal proprio marito. Altre 5 uccise in Alto Adige nel corso del 2018: Monika Gruber, Nicoleta Caciula, Rita Passarotti, Alexandra Riffeser, Magdalena Oberhollenzer. Nei primi giorni del lockdown 2020 venne uccisa ad Appiano Barbara Rauch, da un uomo che da tempo la perseguitava. Sono solo alcuni dei nomi che dovremmo sempre tenere a mente per dare un volto alle aride cifre statistiche che ci raccontano come, solo in Italia, nel corso del 2018 siano state 133 le donne uccise, mentre 111 furono nel 2019. E troppi nomi, volti, li dimentichiamo, colpevolmente. Non si contano poi i casi di violenze domestiche ai danni di donne, spesso costrette a tacere per mancanza di possibilità economiche e concrete vie di fuga. Una realtà in gran parte sommersa che svela come la “famiglia” si trasformi spesso in un incubo capace di rendere la vita in casa un inferno da cui è difficile scappare, senza rischiare feroci vendette da parte del marito o fidanzato.
Bolzano e l’Alto Adige in generale si conferma come sia affatto l’isola felice che gli indicatori economici spesso descrivono.
Ma tornando al tentato femminicidio di via Claudia Augusta l’uomo autore del tentato assassinio è stato nel frattempo liberato in attesa dell’esito del processo e ciò ha evidentemente contribuito ad accrescere la paura della donna. Negli ultimi mesi del 2020 è partito il processo e qualcosa si è mosso nella parte della società più sensibile e determinata a reagire contro tali ingiustizie strutturali. L’associazione bolzanina GEA-per la solidarietà femminile contro la violenza ha organizzato dei presidi davanti al Tribunale di Bolzano per far sentire ad M.C. e con lei a tutte le donne nella sia situazione, il calore della solidarietà.
Una presenza fondamentale in un periodo, quello del processo, che non è affatto sinonimo di giustizia ma spesso diventa un momento in cui il dolore aumenta e in cui la maggioranza delle persone si trovano sole di fronte all’imponente, glaciale ed asettica macchina amministrativa della Giustizia. Quante volte ad esempio un processo contro gli stupratori si è trasformato in un processo contro le stuprate? Ricordiamo le domande che ad esempio l’avvocato dei carabinieri autori delle violenze sessuali ai danni di due turiste a Firenze un paio di anni fa, fece loro durante l’udienza. Domande umilianti che intendevano rovesciare le responsabilità della violenza.
Troppo spesso inoltre, dopo lo spegnimento dei riflettori mediatici chi ha subito una violenza da parte del proprio partner si ritrova sola, con energie e risorse, morali ed economiche, limitate, ad affrontare un processo che invece di energie e resistenza ne richiede tanta.
É proprio in momenti del genere che si vede l’importanza di tradurre le idee in azione reale, fisica, costruendo la solidarietà là dove ci vorrebbero soli, isolati, incapaci di organizzarci. Un’azione che rompe la virtualità e l’isolamento telematico in cui ci vorrebbero confinati che riesce con la sua apparente semplicità, a rompere la tragica normalità di oppressione, prepotenze e sopraffazione che molte vivono con disperata rassegnazione. Un presidio con un significato che va al di là delle prima impressioni ed i cui effetti si riverberano fra chi ne ha abbastanza di stare in silenzio.
Durante i cortei femministi si urla uno slogan bellissimo che si applica perfettamente alla situazione di M.C. ed alla mobilitazione in corso a Bolzano: Siamo il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che più non hanno voce. Ecco forse da sola M.C. non ce l’avrebbe fatta e solo la solidarietà e la voglia di lottare di alcuni solidale e complici ha permesso a lei di riottenere la voce.
La presenza solidale di fronte al Tribunale di alcune decine di donne e uomini con cartelli, striscioni densi di significati e non di generiche parole d’ordine, oltre a dare forza alla donna colpita dimostra al “quasi assassino” come la questione non sia affatto privata ma che al contrario riguarda tutti coloro che odiano ingiustizie e sopraffazione. La presenza solidale fuori dal Tribunale racconta che alcune persone hanno deciso di non voltarsi dall’altra parte. Là dove avrebbe potuto esserci disperazione e solitudine hanno dimostrato che è possibile costruire solidarietà reale, al di là delle frasi fatte, spesso stucchevoli, recitate nelle ricorrenze ufficiali. Come hanno scritto in un comunicato le organizzatrici della prima manifestazione di ottobre la differenza fra realtà e retorica è profonda: “Certo, è stata posizionata una panchina rossa nel luogo in cui M.C. è stata aggredita. Ma a lei non serve né interessa. Vive nella paura. Non comprende perché lei e le bambine debbano vivere in protezione e il suo aggressore è libero. M.C. la proteggiamo noi. Chiediamo protezione per lei e attenzione per tutte le donne, non per il 25 novembre, non per l’8 marzo, tutti i giorni”.
M.C. la proteggiamo noi
Ancora una volta grazie alle donne, anche in una città spesso ostile e fredda come Bolzano, c’è un cuore che batte ed un’altra piccola crepa nel muro dell’indifferenza si apre, è tempo di farlo crollare.
Nell’udienza di martedì 12 gennaio, a causa delle manifestazioni di fronte al Tribunale, la difesa dell’uomo ha chiesto un nuovo rinvio. La Cassazione deciderà se il processo deve proseguire a Bolzano o in un’altra corte. Secondo l’avvocato Nicola Nettis l’uomo “non sarebbe sereno” con le manifestazioni di solidarietà alla donna davanti al tribunale e la presenza delle associazioni potrebbe secondo loro influenzare le scelte dei giudici. Siamo felici di sapere che un briciolo, seppur piccolo, della paura e del dolore che lui ha inflitto per lungo tempo torni indietro ma non si può fare a meno di constatare la vigliaccheria di un uomo che finchè spadroneggiava fra le mura di casa si sentiva un uomo forte, un padre-padrone, mentre ora che la sua miseria viene allo scoperto di fronte agli occhi di tutti, inizia a tremare.
Ad ogni modo egli stia pure tranquillo, così come l’avvocato Nettis: il processo potrebbe anche essere – nell’eventualità più folle, assurda e ingiustificata – trasferito nell’angolo più sperduto d’Italia ma ormai la scintilla è partita e sappino che la solidarietà non conosce confini e in ogni dove ci sono donne, compagne e compagni disposti a proteggere ed abbracciare M. e la sua sete di giustizia, che è anche la nostra. Alla prossima. NON SEI SOLA.