Sebbene la manifestazione contro la costruzione del muro antimigranti al Brennero sia avvenuta in Alto Adige ed un gran numero di manifestanti coinvolti siano della Regione, il processo e le esorbitanti condanne richieste non hanno incontrato grande dibattito e – sembra – nemmeno grande interesse. La cosa non stupisce più di tanto in una Provincia in gran parte abituata a ignorare ciò che accade oltre la chiusa di Salorno o il passo del Brennero. A maggior ragione se l’oggetto della discussione sono anarchici, linksradikalen o chaoten come vengono definiti sul Tageszeitung o sul Dolomiten. Tuttavia va rilevato l’assordante silenzio con cui – nella cosiddetta società civile – è stata accolta la richiesta di 338 anni di carcere per una manifestazione che aveva l’obiettivo di rompere l’indifferenza per non dire peggio, con cui gran parte della società viveva il dramma delle migrazioni e della possibile costruzione di un muro che avrebbe segnato un punto di non ritorno.
Il processo istituito dalla Procura di Bolzano attraverso l’applicazione dell’articolo 419 “Devastazione e saccheggio” ha l’obiettivo di cancellare le motivazioni politiche e umane profonde che hanno spinto centinaia di compagni/e a manifestare al Brennero in quella giornata di 5 anni fa. Sta a noi e a chi conserva ancora un briciolo di amore per la giustizia e la libertà, contrastare e rispedire al mittente tale folle disegno accusatorio, costruendo solidarietà, spezzando l’indifferenza e rivendicando quella giornata il cui valore è confermato dagli spaventosi eventi precedenti e successivi che hanno visto crescere una guerra sempre più spietata ai proletari, agli immigrati, ai profughi.
Con ogni probabilità, dopo i processi istituiti contro i componenti del Befreiungsausschuss Südtirol (BAS), si tratta – a livello locale – del processo politico del dopoguerra con il più grande numero di imputati e con le richieste di pena più alte. Ricordiamo che per il secondo filone del processo il pubblico ministero Andrea Sacchetti ha richiesto 338 anni complessivi di carcere per 63 imputati/e, arrivando a chiedere 15 anni di carcere (ridotti di un terzo per via della scelta del rito abbreviato) per alcuni compagni.
Come abbiamo scritto già in altri contributi nel presente Blog, i due principali processi istituiti contro 126 manifestanti imputati presenti al confine quel giorno (nel primo processo la sentenza di primo grado ha inflitto 37 anni di carcere complessivi per 63 imputati), hanno un evidente intento politico, che rientra in una prassi repressiva che negli ultimi decenni si è consolidata a livello nazionale e che in tale chiave va letta e analizzata.
Grazie al recente articolo Devastazione e saccheggio: un reato politico da abolire, accusate/i da sostenere, pubblicato da Prison Break Project (PBP), riprendiamo le nostre riflessioni relative al processo per la manifestazione contro il muro antimigranti che si è tenuta al Brennero quasi 5 anni fa, nel maggio 2016.
Le esorbitanti richieste dei PM contro i manifestanti derivano dalla contestazione dell’articolo 419 del codice penale, che afferma:
“Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’art. 285,commette fatti di devastazione o di saccheggio è punito con la reclusione da 8 a 15 anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero su armi, munizioni o viveri esistenti in luogo di vendita o di deposito”.
Ma di che reato si tratta? Sebbene sia per noi chiaro come la legge sia la cristallizzazione dei rapporti di forza nella società, è importante conoscere quale è la genesi e lo spirito della legge. Come scrive Prison Break Project:
“La sua origine risale al codice fascista Rocco e da allora il reato non ha subito significative trasformazioni, arrivando intatto fino ai nostri giorni con il suo portato di pesanti condanne. Già l’espressione “devastazione e saccheggio” ha il compito di evocare sciagure ed eventi calamitosi, perché no la figura degli sciacalli… insomma un reato nato per fermare i barbari, i nemici della società per i quali non deve essere fatto alcuno sforzo di comprensione delle motivazioni”.
Il reato di “devastazione e saccheggio” nel dopoguerra è stato utilizzato in seguito ai moti insurrezionali scoppiati dopo l’attentato al segretario del PCI Palmiro Togliatti nel 1948 e per le manifestazioni antifasciste contro il Governo Tambroni (che intendeva riportare i fascisti al Governo promuovendo un’alleanza fra Dc e Msi) del 1960.
Poi per molti decenni non è mai stato contestato ed è soltanto a partire dagli anni 2000 che le Procure di mezza Italia hanno iniziato a farvi ricorso, nel tentativo di seppellire sotto decenni di carcere chi ha partecipato a manifestazioni pubbliche in piazza. Destinatari principali di tale accuse, in particolare dopo il processo per i fatti del G8 di Genova che ha visto una decina di compagni/e condannati a pene abnormi (mentre poliziotti e carabinieri responsabili di efferate torture, pestaggi, minacce di stupro e di un assassinio hanno fatto carriera) sono ultras, prigionieri delle carceri protagonisti di rivolte e compagni/e antagonisti. Ricordiamo solo alcune delle manifestazioni per cui negli ultimi anni tale reato è stato contestato: Genova 2001, Milano 2006 (corteo antifascista), Trento 2010 (corteo dopo sgombero Assillo occupato), Roma 2011, Cremona 2015 (corteo antifascista), Milano 2016 (1 maggio NoExpo), Brennero 2016 (corteo contro muro antimigranti), Napoli 2017 (manifestazioni contro Salvini), Torino 2019 (sgombero Asilo). Un caso a parte è rappresentato dall’accanimento repressivo contro il movimento No Tav in Val di Susa per il quale la Procura di Torino ha adirittura imbastito accuse di terrorismo, un altro termine quest’ultimo, il cui significato è stato negli anni distorto e piegato a piacimento ai fini repressivi più abietti.
Nel corso del 2020 caratterizzato dalla Pandemia abbiamo visto inoltre come le Procure non abbiano lesinato arresti, misure cautelari nei confronti di compagni solidali con i carcerati (vedi operazione preventiva contro anarchici bolognesi) oppure contro manifestanti a Firenze, Napoli o Torino. In particolare per le manifestazioni avvenute nel capoluogo piemontese nelle settimane scorse la Procura di Torino agitando lo spauracchio della Devastazione e del saccheggio, aveva richiesto misure cautelari per 37 persone fra cui 14 minorenni. Lo stesso reato viene utilizzato nei processi contro i prigionieri protagonisti delle rivolte nel carcere di Pavia (99 prigionieri sotto processo) o in quello di San Vittore a Milano.
Qual è la pericolosità di un articolo penale del genere? La sua indeterminatezza: la norma punisce il fatto “di devastazione” o il fatto “di saccheggio” ma non ci dice cosa dobbiamo intendere per devastazione o saccheggio.
Come sottolineano i compagni di PBP:
“L’evoluzione e la frequenza sempre più vertiginosa del ricorso delle procure a questo reato mostra la sua plasticità e il suo essere profondamente legato all’apprezzamento del singolo giudice o procuratore”.
La genericità e l’indeterminatezza rendono l’articolo 419 un perfetto strumento di intimidazione politica e che si presta perfettamente alla repressione delle manifestazioni pubbliche di piazza, anche laddove non avvengono danneggiamenti significativi, come al Brennero appunto (8.000 euro scarsi di danni complessivi), inscrivendosi nel diritto penale del nemico:
“Devastazione e saccheggio” dunque è un reato che si plasma a seconda dell’autore, delle situazioni e dell’interpretazione soggettiva del giudice di turno. Non è tanto, quindi, la dinamica dei fatti a interessare, ma il contesto in cui avvengono e soprattutto l’identità e i valori attribuiti a chi viene accusato.”
Ne consegue che, laddove vi sono imputati processati “devastazione e saccheggio”, ad essere sotto accusa – alla mercè degli umori, delle idee politiche, degli interessi e dei capricci di giudici e magistrati – è l’identità politica dei compagni sotto processo, la loro volontà di lottare e di non rimanere indifferenti alla violenza delle politiche economiche del capitalismo e dei suoi rappresentanti politici.
Riguardo ai recenti arresti di Torino PBP sviluppa una riflessione che vale anche per i compagni sotto processo per i fatti del Brennero:
“La vicenda di Torino esplicita anche la necessità di seppellire sotto una dicitura criminogena ogni elemento legato alle motivazioni che hanno spinto certe azioni. La violenza, il furto, il danneggiamento sono sempre “irrazionali” e “inaccettabili”, non ci possono essere comprensioni o cedimenti. Si tratta quindi di un reato che ha l’obiettivo di eliminare ogni possibile spazio alle motivazioni politiche degli autori. È inoltre un’arma particolarmente efficace di punizione politica di determinate situazioni: non interessa dimostrare se l’inquisito è davvero autore dei fatti reato, ma è sufficiente che sia stato presente nel luogo in cui sono stati commessi poiché l’istituto del concorso di persone, specie nella tradizione che si è affermata da Genova in poi, permette di condannare chi in vario modo ha partecipato ai moti collettivi. Per la magistratura che usa questo dispositivo l’indicazione è chiara: “si tratta di criminali e bisogna esclusivamente guardare ai loro danni e malefatte”.
E nel rilanciare la necessità di costruire la solidarietà per tutti gli imputati e le imputate per il corteo al Brennero, facciamo nostre le conclusioni dell’intervento di PBP:
“É importante non lasciare sole le persone che vengono investite da questa “macchina da guerra” giuridica. Non solo le e gli imputati, ma anche chi è loro vicino, in termini affettivi, relazionali e politici. Perché un primo passo per inceppare il diritto penale del nemico è evitare l’isolamento e l’abbandono alla demonizzazione mediatica e politica. Se la risposta giudiziaria vuole soffocare le forme di rabbia, magari irruenta e non categorizzabile come “purezza rivoluzionaria”, diventa indispensabile salvaguardare l’espressione del conflitto sociale in questo periodo dove individualismo, indifferenza ed obbedienza rischiano di divenire il pensiero unico.”
Per approfondire:
Prison Break Project. Costruire Evasioni, sguardi e saperi contro il diritto penale del nemico. Be Press, 2017.
Prison Break Project. Terrorizzare e reprimere, il terrorismo come strumento repressivo in continua espansione.