Poco si sa e poco è stato scritto riguardo alle lotte dei lavoratori che anche in Sudtirolo si svilupparono fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, le cui dinamiche ci ricordano da vicino le problematiche che incontriamo ancora oggi, se pensiamo a settori lavorativi come l’agricoltura o la logistica, dove non è difficile incontrare, nella “civile e democratica Italia” condizioni di schiavitù e iper-sfruttamento, soprattutto nei confronti di uomini e donne stranieri e privi di documenti.
Condizioni a cui viene reso sempre più difficile ribellarsi e opporsi, attraverso leggi anti-sciopero come quelle contenute nel decreto sicurezza votato da Lega e Movimento 5 stelle (ma ampiamente accettato da tutte le forze politiche parlamentari senza distinzioni) oppure attraverso inchieste giudiziarie che criminalizzano le lotte dei lavoratori. Basta ricordare i recenti arresti dei sindacalisti di SICOBAS e USB operati su ordine della Procura di Piacenza che di fatto contesta il diritto dei lavoratori a scioperare e organizzarsi per migliorare salari e condizioni di lavoro.
Fra l’agosto ed il settembre del 1900 un lungo sciopero bloccò i cantieri della città di Bolzano. Centinaia di uomini, a costo di enormi rischi e sacrifici, incrociarono le braccia per chiedere l’abolizione del lavoro a cottimo e la riduzione dell’orario lavorativo del sabato. Lo sciopero mobilitò la solidarietà del movimento socialista austriaco e italiano in particolare, che tentò di supportare economicamente e moralmente una lunga lotta che vedeva protagonisti proletari senza altri redditi. Una storia che vale la pena conoscere e riscoprire.
Il 31 luglio il giornale Der Tiroler riportò brevemente come tutti i muratori della città erano entrati in sciopero contro i padroni edili per chiedere un aumento salariale e una riduzione dell’orario di lavoro.
Come descritto dal giornale socialista L’Avanti! gli scioperanti erano in gran parte provenienti dalle valli di Non e Sole ma fra loro vi erano anche lavoratori regnicoli dal Veneto e dal Friuli. Lo sciopero iniziò il 31 di luglio e dopo alcuni giorni di astensione dal lavoro, dei 1200 muratori che avevano iniziato l’agitazione, alcune centinaia decisero di spostarsi in altre città alla ricerca di nuovi incarichi. Dopo due settimane di sciopero ne rimasero 900 i quali per continuare la lotta e sostenere lo sciopero, dovettero ricorrere alla cassa sociale e alla solidarietà militante dei socialisti austriaci che iniziarono una raccolta di fondi per gli scioperanti di Bolzano.
Il 15 agosto, nella vicina Trento, presso la Birreria Palestra si tenne una pubblica riunione in cui parlarono l’operaio Murari e il socialista trentino Cesare Battisti che invitò gli operai presenti a manifestare la propria solidarietà sottoscrivendo una donazione solidale nei confronti di una lotta che non trovava sponde solidali nella politica e men che meno nei mezzi di informazione principali, pressochè tutti di tendenza reazionaria e conservatrice, i quali non perdevano occasione di pubblicare articoli che scoraggiavano i lavoratori e in cui non venivano riconosciute legittime le richieste degli scioperanti. Non mancarono articoli faziosi come uno apparso sul Tiroler Volksblatt pubblicato a Innsbruck in cui si parlava di operai dediti al “consumo di grappa”.
Lo sciopero continuò senza però trovare spazi di compromesso con i padroni delle ditte edili decisi a piegare la Resistenza operaia con ogni mezzo, anche attraverso lo strumento della guerra fra poveri. Ecco cosa scrisse l’Avanti il 25 agosto 1900:
“Mentre in Italia si arrestano dalle autorità italiane le risaiole di Molinella colpevoli di voler recarsi fra i lavoratori ferraresi per informarli dello sciopero e così persuaderli a non dare la loro opera, ecco cosa accade in Austria. Gli imprenditori portano a Bolzano dei friulani per sostituire i lavoratori scioperanti: i friulani arrivati a Bolzano e saputo dello sciopero si ricusano di lavorare perchè gli imprenditori avevano tenuto loro celato il fatto dello sciopero: e si trova un giudice che non solo dichiara legittimo il rifiuto dei friulani di lavorare, ma condanna gli imprenditori a indennizzarli”.
Il giornale socialista trentino Il Popolo, redatto da Cesare Battisti, così descrisse i fatti:
“Evviva i friulani! Con questo grido si salutava ieri a Bolzano una comitiva di operai friulani che, condotti su quella piazza per rompere lo sciopero dei muratori indigeni, si rifiutarono di lavorare, non appena s’accorsero dell’inganno loro teso. Non erano stati avvisati dagli imprenditori che a Bolzano c’era lo sciopero: coll scusa di sovrabbondanza di lavoro erano stati ricercati di portarsi dalla Pusteria, dove avevano occupazione, a Bolzano con la promessa di una mercede altissima, superiore alla norma. Giunti alla stazione, scortati da gendarmi con la baionetta in asta e da poliziotti, furono condotti dall’imprenditore sul posto di lavoro; ma quella vigilanza speciale fece subito capire loro che sulla piazza c’era lo sciopero. E avuta di ciò la conferma si rifiutarono di tradire i loro fratelli.”
I lavoratori friulani, ingannati dai costruttori e solidali con gli scioperanti, si recarono poi a denunciare il fatto al Giudizio distrettuale chiedendo un indennizzo per le spese di trasporto e per la giornata di lavoro persa. A detta dello stesso giornale ciò costò loro insulti e scherni da parte di imprenditori e agenti di polizia. Furono chiamati: “lazzaroni, mascalzoni briganti, porca italiana, pitocchi, faulenzer, pidocchiosi”. La loro determinazione però fu infine premiata ed il giudice obbligò l’imprenditore ad indennizzare ogni lavoratore con corone 3,50 ciascuno.
L’importanza della scelta dei lavoratori friulani venne sottolineata il giorno successivo, il 26 agosto 1900, da l’Avanti:
“Il fatto dei muratori friulani che a Bolzano hanno fatto causa comune con i compagni scioperanti ha un grande significato, perché dinota i progressi fatti anche in Italia dalla nostra propaganda, la quale eliminando sempre più la tendenza agli impulsi brutali degli incoscienti sostituisce la lotta di classe contro il sistema capitalistico, mediante l’organizzazione e la solidarietà.”
Negli stessi giorni il Volksblatt, decisamente schierato a favore della pace sociale e perciò dalla parte di chi ambiva a congelare lo status quo, raccontava lo sciopero come un’iniziativa imposta da alcuni agenti esterni (i capibanda ovvero i militanti socialisti) e non come una lotta dettata dalle condizioni materiali e perciò cresciuta all’interno di una volontà collettiva:
“Lo sciopero dei muratori continua perché i capibanda sono sempre riusciti a intimidire i muratori che si recavano alla stazione ferroviaria. Alla fine le autorità hanno trovato il coraggio di arrestare alcuni di questi agitatori. Il sostegno alla cassa dello sciopero è sempre meno e si suppone che i circa 1200 scioperanti si siano allontanati da Bolzano. Grande è il danno che i costruttori stanno subendo, dato che non saranno in grado di consegnare gli appartamenti per l’inverno”.
Sebbene nel corso della lotta furono ottenuti importanti risultati, i giorni seguenti videro un generale dissolvimento dell’unità interna agli scioperanti, probabilmente in gravi difficoltà economiche oppure demoralizzati dall’incapacità di giungere a risultati concreti nel breve periodo. Dopo oltre un mese di sciopero il 5 settembre sulla prima pagina de l’Avanti un breve articolo riportava la conclusione negativa dello sciopero di Bolzano:
“Alcuni degli accollatari dei lavori a cottimo, per avidità di lucro, tradirono i loro compagni, ed altri lavoratori, che continuamente giunsero alla spicciolata, non ascoltarono più la parola dei compagni ed accettavano il lavoro, sicchè anche gli scioperanti tutti dovettero cedere.”
Lo stesso articolo cercava di tracciare un bilancio dell’esperienza segnando problemi e limiti che avevano impedito il successo della lotta:
“Purtroppo gli operai italiani di qui mancano dello spirito di sacrificio e la maggior parte degli scioperi succedono senza che via sia una seria organizzazione e una cassa di resistenza. E si che dovrebbero prendere esempio dalle organizzazioni tedesche, ed anzi dal Segretariato della Federazione di Vienna ebbero acerbi rimproveri. Figuratevi che di 1200 scioperanti solo circa un centinaio erano inscritti all’organizzazione e pagavano le quote”.
L’articolo sottolineava infine come le condizioni politiche in Austria fossero migliori rispetto a quelle presenti in Italia, un fatto che rendeva ancora più scottante la sconfitta subita dai muratori di Bolzano:
“Questa dedizione è vergognosa, tanto più che qui lo sciopero è libero come è libera l’organizzazione. Speriamo che questa acerba lezione serva ai muratori italiani di esperienza”.
Il Volksblatt, legato al clero sudtirolese, in un articolo del 5 settembre, chiudeva l’esperienza sottolineando la sconfitta politica del movimento socialista, accusando i loro esponenti di aver portato i lavoratori a rovinare se stessi:
“Lo sciopero dei muratori a Bolzano si è concluso con un brillante fiasco dei leader socialisti. Alcuni di loro sono riusciti a ronzare in giro per un po’, ma tutti, senza eccezione, (44 in numero) non troveranno più lavoro presso nessun capomastro di Bolzano; la cosa fatale, però, è che i capibanda sono per lo più residenti qui o nei dintorni. Così possono tornare nella terra dove fioriscono i limoni. I poveri lavoratori, che in media sono stati privati di un salario di 60 fiorini durante questo periodo, possono ringraziare i loro “padri”!”.
A conclusione della vicenda, il 6 settembre sul Bozner Nachrichten, un comunicato dell’associazione di categoria dei costruttori, freschi di “vittoria”, così spiegava i “rischi per la collettività” che a loro avviso avrebbe comportato il cedimento alle richieste degli scioperanti:
“L’ingiustificato sciopero dei muratori, se fossero state accolte le richieste dei capomastri e dei muratori, avrebbe causato un gravissimo danno ai costruttori, che naturalmente si sarebbe ripercosso su tutta la popolazione locale a causa dell’inevitabile aumento dei costi di costruzione”.
Come abbiamo potuto leggere, a distanza di 120 anni, argomentazioni e dinamiche non sono così diverse da quelle che viviamo oggi dove ogni forma di sciopero e lotta dal basso che mette in discussione sfruttamento e privilegio viene sistematicamente censurata, mistificata, calunniata e infine repressa. Sta a noi trovare mezzi e idee per reagire agli attacchi sempre più pesanti che vengono inflitti a chi non si rassegna ad un presente e futuro di sfruttamento, guerra e devastazione ambientale in nome del profitto (di pochi).