La violenza che nessuno racconta. La dottrina Delmastro e il metodo del Questore Sartori: espulsioni, fogli di via, avvisi orali, piogge di denunce e schedature
“L’idea di far sapere ai cittadini come non lasciamo respirare chi sta dietro quel vetro oscurato è per me un’intima gioia”
Andrea Delmastro, sottosegretario alla Giustizia
Queste parole del sottosegretario Delmastro, apologeta della tortura e strenuo difensore di ogni agente accusato di tali crimini efferati, sono arrivate circa una settimana prima dell’inchiesta giudiziaria che ha fatto emergere il sistema di tortura e umiliazione praticato nei confronti dei detenuti del carcere di Trapani. Negli ultimi anni, da Santa Maria Capua Vetere a Modena, da Ivrea a Reggio Emilia, da Torino al carcere minorile Cesare Beccaria di Milano, sono numerose le inchieste che hanno fatto emergere sistematici abusi nei confronti dei detenuti.
Le parole di Delmastro non sono uno scivolone ma fanno parte di una strategia politica che mira ad abolire il reato di tortura, visto come fumo negli occhi da ampi settori delle forze dell’ordine che, come disse a suo tempo l’attuale premier Giorgia Meloni “non permetterebbe loro di svolgere in maniera adeguata il proprio lavoro”. Parole che restituiscono però anche la concezione del potere della classe dirigente al potere in Italia in cui ogni dissenso e ogni protesta deve essere soffocata dalla manganellate dei reparti celere. In cui ogni problema sociale e ogni conflitto viene trasformato in un problema di sicurezza ovvero di ordine pubblico.
Nell’estate 2024 numerose carceri italiane, dal Piemonte alla Sicilia, sono state attraversate da proteste contro le condizioni invivibili di sovraffollamento, contro il caldo insopportabile, le precarie condizioni igieniche e l’ecatombe di suicidi che ogni anno accade fra le mura dei penitenziari. Fino ad oggi, 29 novembre 2024, sono 82 i suicidi nelle carceri italiane, innumerevoli gli atti di autolesionismo e strutturale l’abuso di psicofarmaci.
Nella metà di luglio 2024 anche i detenuti del carcere di via Dante a Bolzano, che pochi mesi prima avevano subito una pesante epidemia di scabbia che aveva fatto notizia anche a livello nazionale, iniziarono una battitura per protestare contro queste condizioni di non-vita. Appena venuti a sapere di questa protesta alcuni compagni decisero, in maniera spontanea, di recarsi sotto le mura del carcere per raccogliere la voce dei detenuti, per capirne le ragioni e sostenerle. Una breve presenza che aveva l’obiettivo di ricordare ai detenuti che non sono soli e che le loro proteste non sarebbero cadute nell’indifferenza.
Dopo circa mezz’ora due volanti della polizia si portarono di fronte al bar in cui nel frattempo si erano recati i compagni per portarli in Questura, dove sarebbero poi stati schedati e denunciati per “manifestazione non autorizzata”. Il Questore Sartori e la polizia politica, non contenti, decisero di firmare un foglio di via per due anni nei confronti di un compagno bolzanino però residente in un Comune limitrofo. Per giustificare questo provvedimento liberticida il Questore, nella sua foga repressiva, è giunto a mistificare deliberatamente la realtà, falsificando i fatti.
Ovviamente non stupisce che un Questore come Sartori arrivi a utilizzare modalità sporche pur di colpire coloro che lui individua come “nemici da colpire” ma ciò che contribuisce a fare assumere a tutta la vicenda un contorno ancora più inquietante è il pronunciamento del TAR di Bolzano che, respingendo la richiesta di sospensione del provvedimento, non si è minimamente preoccupato di appurare ciò che è accaduto il 17 luglio 2024 di fronte al carcere di Bolzano né di prendere in considerazione le esigenze di carattere lavorativo e familiare del compagno colpito dalla repressione della Questura.
A proposito delle pericolose derive da Stato di polizia che comporta l’abuso arbitrario delle misure di prevenzione consigliamo nuovamente la lettura di questa intervista all’avvocato Nicola Canestrini, pubblicata su Salto.bz.
Da quando il Questore Sartori si è insediato al comando della Questura di Bolzano il suo operato è stato continuamente gonfiato e sovraesposto mediaticamente. In particolare i principali apparati di potere lo hanno sempre acriticamente appoggiato e a livello politico l’estrema destra ha fatto di Sartori l’interprete privilegiato della propria linea ovvero la guerra ai poveri e al dissenso, distribuendo misure di prevenzione e provvedimenti restrittivi della libertà con incredibile disinvoltura. Per quanto riguarda poveri e immigrati senza fissa dimora è davvero gravissima la serie di revoche di permesso di soggiorno ed espulsioni disposta da Sartori solo perché trovati a dormire in case abbandonate oppure perché sospettati di avere qualche grammo di fumo. Provvedimenti che vanno ad aumentare la disperazione di persone già gravemente in difficoltà.
Diventa più che mai urgente capire chi è stato colpito da questi atti e denunciare pubblicamente la violenza di questo bullismo istituzionale contro gli ultimi della società nella consapevolezza che, se viene lasciato campo libero a questa violenza, essa prima o poi colpirà tutti.
Oltre a ciò, stiamo assistendo alla sistematica criminalizzazione del dissenso che avviene in molti modi: dal divieto o dalla limitazione di manifestazioni attraverso le prescrizioni, con una presenza poliziesca totalmente spropositata in presidi e manifestazioni oppure con il ricorso a sistematiche schedature nei confronti di chi distribuisce volantini o di chi protesta. Lo abbiamo visto nel gioco di sponda con la politica, attraverso il passaggio di informazioni all’assessore di Fratelli d’Italia Galateo che ha pubblicamente minacciato di licenziamento due lavoratori dell’ambito sociale-educativo perchè “hanno partecipato a manifestazioni contro il genocidio di Gaza”.
Lo abbiamo visto il 14 novembre, con l’allucinante schedatura disposta dalla polizia politica e da Sartori nei confronti di una manifestante “colpevole” di distribuire un volantino critico nei confronti del Ministro dell’Interno Piantedosi e lo abbiamo visto la sera di mercoledì 27 novembre quando altre due compagne sono state portate in Questura, denunciate e schedate dalla polizia politica per avere esposto un cartello critico all’iniziativa organizzata da FIDAPA (Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari) presso l’antico municipio di Bolzano, in cui era presente anche il Questore Paolo Sartori.
Perchè parliamo di metodo Sartori? Perchè ciò che traspare dalle carte da lui firmate è la criminalizzazione sistematica di ogni forma di dissenso, in cui ogni voce dissonante e critica viene trasformata in “pericolo per la tranquillità pubblica” oppure in “pericolosa socialmente”. Parole pesanti scritte con leggerezza nero su bianco e che sulle carte della Questura diventano mattoni per intimidire chi lotta e per condizionare i giudici. Da un’attenta analisi degli avvisi orali e dei fogli di via da lui firmati emerge come questa politica repressiva – appoggiata dagli apparati di potere che contano – sia in realtà un vero e proprio metodo con cui si intende criminalizzare, reprimere e infine impedire la libera espressione del dissenso, in particolare se va a toccare alcuni punti caldi del tempo in cui viviamo ovvero la difesa della libertà di espressione, la critica all’istituzione carceraria, la lotta contro le politiche di guerra e il genocidio del popolo palestinese.
Il metodo Sartori è forse un’anticipazione dei metodi da Stato di polizia che il Governo Meloni, con il DDL 1660, sta preparando?