Ripercorrere i mesi precedenti al G8 di Genova e tirare fuori dalla polvere di un cassetto le foto che scattai allora con la mia macchina fotografica usa e getta, significa ricostruire i passi che mi hanno avvicinato agli ideali di libertà, giustizia sociale e uguaglianza.
Nell’estate 2001 erano mesi che aspettavo di andare a Genova alle manifestazioni contro il G8, da un pò di tempo avevo iniziato ad appassionarmi di politica; avevo letto Stato e anarchia di Bakunin, alcuni testi base di Errico Malatesta e Il manifesto del partito comunista di Karl Marx. Che Guevara rappresentava per me più di una maglietta o un marchio spesso ridotto a pubblicità, esso era un esempio da seguire e mi ero divorato tutti i suoi scritti; da Latinoamericana al Diario del Che in Bolivia oppure la biografia che Paco Taibo Ignacio II aveva scritto su di lui Senza perdere la tenerezza. In particolare una sua frase nel tempo ho fatto mia: “Siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualsiasi ingiustizia commessa contro chiunque in qualunque parte del mondo. È la qualità più bella di un rivoluzionario”. In una città sterile e arida come Bolzano non esisteva nessuna realtà antagonista o spazio autogestito per cui io come gli altri amici della compagnia ci avvicinammo agli ideali anarchici e/o comunisti da autodidatti, in particolare grazie alla musica, al Punk, che fu fondamentale nel prendere familiarità con temi fondamentali come l’antimilitarismo, l’antirazzismo, l’ambientalismo e la critica del capitalismo. Circa un anno prima di Genova a Parco Europa a Bolzano avevano suonato i 99 Posse le cui canzoni come Rigurgito Antifascista, Curre Curre Guagliò oppure Odio costituivano -insieme a Rage against the Machine, Punkreas o Manu Chao – la colonna sonora di moltissimi giovani e giovanissimi compagni che si erano avvicinati al cosiddetto movimento dei movimenti. Si andava a Bologna ai concerti Punk ed a festival come l’Independence day. Negli istituti superiori cittadini così come nel resto d’Italia si contestava la Riforma Moratti e da tempo si facevano manifestazioni e si tentavano occupazioni; con il nostro gruppetto ci si dava da fare, ovviamente lontani da partiti e da tutto ciò che poteva essere istituzionale, della necessità di mantenere un’autonomia di pensiero e movimento eravamo già sicuri. Alcuni garage di viale Europa erano stati trasformati in luoghi di ritrovo autogestiti in cui iniziavano a formarsi gruppi Punk e Rock. I giorni di Genova gli aspettavamo con una certa ansia, Internet era ancora cosa per pochi e ci si aggiornava leggendo Il Manifesto, il sito di controinformazione Indymedia e se si capitava a Bologna si recuperavano giornaletti e testi di movimento altrimenti irreperibili in Alto Adige. C’era la sensazione che ci fosse un movimento di lotta al capitalismo di un certo spessore e nella mia ingenuità di allora non comprendevo le profonde fratture politiche fra realtà politiche e e militanti fra loro inconciliabili. Ad ogni modo, a maggior ragione dopo la repressione di Praga, Goteborg e infine Napoli, bisognava esserci. Non ricordo in che modo presi contatto con un certo Bachmann, della Cgil di Bolzano, che tempestai di telefonate per settimane per ricordargli che nel suo pullmino saremmo venuti anche noi, tre ragazzini di manco 17 anni.
La sera del 20 luglio assistemmo impietriti ai Tg che riportavano le immagini dell’assassinio di Carlo Giuliani in piazza Alimonda, la cui ovvia conseguenza furono le pressioni famigliari per non farci partire. Ma a tal punto niente poteva fermarci e forse sentivamo ancora più forte l’esigenza di esserci, di non lasciarci intimorire, anche se ciò che stava accadendo era evidentemente più grande di noi. Partimmo di notte, penso intorno alle 4-5, da via Gutenberg ed arrivammo in una Genova blindata, in assetto da guerra. Celerini dappertutto ma noi con il nostro Westfalia passammo lisci senza problemi. Camminammo un pò per le strade di Genova, passammo allo stadio Carlini, stadio in cui stavano le cosiddette Tute bianche, ricordo che cercai di comprare una copia del Manifesto ma non si trovava da nessuna parte poiché era esaurito dappertutto, ricordo la bella sensazione di vedere altre centinaia/migliaia di persone con magliette del Che o il Subcomandante Marcos.
Per chi come me veniva da Bolzano ed era già abituato a sentire addosso gli sguardi – e non solo – minacciosi dei nazi alla vista del Che sulla T-shirt, era davvero una sensazione potente sentirsi una goccia di un mare solidale così grande. Arrivammo al concentramento del corteo internazionale, l’aria era tesissima e il rumore degli elicotteri della polizia ci avrebbe accompagnato per tutta la giornata, scritte sui muri promettevano vendetta per Carlo, ricordo la scritta “Noi con le mani voi con le pistole”.
Ricordo espropri di supermercati. Non avevamo nessuna esperienza di cortei del genere per cui ci muovemmo in modo molto istintivo finendo ovviamente nelle parti più calde della manifestazione. Arrivati sul Lungomare iniziarono a piovere lacrimogeni, lanciati anche agli elicotteri, e tentavamo di tamponare il loro effetto con dei limoni che ci eravamo portati da casa e che io spremevo sulla mia Kefiah sperando che filtrasse il velenoso gas tossico CS. Ricordo che nella mia ingenuità chiesi a un compagno con il viso stravolto dai gas come stava andando la lotta “in prima linea” e mi rispose: “Si resiste”. A un certo punto una pioggia di decine di candelotti lacrimogeni rese l’aria del tutto irrespirabile, non si vedeva nulla e la folla in fuga rischiava di schiacciarci.
Ci bloccammo al lato della strada, impossibilitati a muoverci e dalla nube bianca sbucarono i celerini che iniziarono a bastonare a sangue tutti coloro che capitavano a tiro: ragazzi, anziani, donne con le mani alzate. Visto l’andazzo che ci avrebbe inevitabilmente raggiunto non so come riuscimmo a saltare oltre una cancellata altissima che stava dietro di noi ed arrivammo sugli scogli dove aspettammo che la situazione si calmasse. Ritornati sul lungomare la situazione appariva allucinante: feriti svenuti in laghi di sangue, poliziotti che grugnivano minacce.
Riuscimmo ad allontanarci e poco dopo nei vicoli di Genova iniziò una caccia all’uomo con le camionette della polizia che rastrellavano i manifestanti nei vicoli. Chi cercava di entrare nei portoni delle case, alcuni aprivano, altri no. Io, che nel frattempo ero rimasto solo, mi nascosi con un altro gruppo di manifestanti in un androne sperando che ci andasse bene. Le camionette arrivarono, noi uscimmo con le mani alzate e al di là di alcune manganellate uscimmo tutto sommato con pochi lividi e cioè indenni rispetto a ciò che avrebbe potuto accaderci. Piano piano, passando per le strade più remote tornammo non so come verso il furgone e durante il viaggio di ritorno sentivamo alla radio le notizie dell’irruzione della polizia alla Diaz. Il viaggio fu contraddistinto da un continuo scambiarsi di opinioni ed esperienze, consapevoli che eravamo usciti da una situazione difficile di cui ancora i risvolti più allucinanti come le torture operate dalla polizia alla caserma di Bolzaneto ci erano ancora sconosciute. I giorni seguenti furono contraddistinti dalla miseria delle polemiche politiche e Carlo Giuliani, in un primo momento rinnegato e calunniato da tutti, Vittorio Agnoletto e Luca Casarini delle tute bianche in primis, al momento opportuno venne recuperato politicamente come martire del movimento. Ricordo in piazza Mazzini un presidio dopo Genova, credo organizzato dall’embrione di un possibile “Bolzano social forum” in cui i partecipanti intervenivano con le proprie valutazioni della giornata. Un partecipante – tornato da Genova – disse che la prossima volta si sarebbe recato alla manifestazione con casco e protezioni: venne sommerso di fischi da alcuni cosiddetti pacifisti che leggevano nella sua volontà di proteggersi dalle manganellate della polizia un intento bellicoso. Marco, amico e compagno con cui ho condiviso tale giornata, insieme al gruppo Punk Dafne, scrisse la canzone 16 anni, dedicata alle giornate di lotta genovesi viste con i suoi occhi di 16enne.
Pochi mesi dopo i fatti del G8 di Genova ci fu l’11 settembre ed il seguente lavaggio del cervello di massa sul terrorismo islamico che portò alla politica della guerra permanente con l’Italia in prima linea; due anni dopo l’invasione dell’Irak, operazione costruita su una propaganda di menzogne spudorate, costituì l’apice delle criminali politiche occidentali in Medio Oriente. Dopo aver bastonato a sangue e intimidito chi lottava contro neoliberismo e capitalismo, con l’emergenza “fondamentalismo islamico” l’odio sociale e le paranoie collettive vennero indirizzate dal potere verso musulmani e in generale, immigrati. Un’operazione di propaganda sanguinosa che ha saputo deviare le tensioni sociali verso una strisciante guerra fra poveri in cui il nemico viene individuato in chi sta peggio e non in chi sfrutta, arricchisce sulla pelle dei poveri.
Molti raccontano come dopo Genova non siano più andati in piazza; per me è stato l’esatto contrario. E’ stata una giornata che ha fatto capire molte cose e ancora oggi non finisce di insegnarne. Possono essere le manganellate o le torture in caserma o nelle carceri così come le inchieste giudiziarie contro operai, sindacalisti o militanti antagonisti, ma non ci si può più stupire che lo Stato mostri il suo volto più feroce di fronte a chi combatte, senza sceneggiate o rappresentazioni teatrali, i responsabili di un sistema che affama, devasta e saccheggia. E’ poco consolatorio dire che avevamo ragione su tutti i fronti se ancora oggi c’è chi – come Vincenzo Vecchi, Luca Finotti e Jimmy Puglisi – paga con la libertà la propria partecipazione a quei giorni di lotta. Genova è stata un punto di svolta anche dal punto di visto repressivo; per la prima volta dopo decenni la magistratura rispolverò il reato di devastazione e saccheggio” che permise all’accusa di infliggere pene spropositate ad alcuni partecipanti al corteo come uelli appena citati, che pagarono per tutti. Da allora tale reato è stato usato dagli agenti della repressione in modo sempre più disinvolto e spregiudicato come nel caso della manifestazione contro le frontiere al Brennero del maggio 2016 in cui, per una manifestazione, i titolari dell’accusa della Procura bolzanina chiesero oltre 340 anni di carcere per 63 compagni/e a fronte di nemmeno 8000 euro di danni.
I giornalisti democratici oppure esponenti della società civile parlano dei giorni di Genova come il “più grave caso di sospensione dei diritti in Europa nel dopoguerra” ma l’operato della polizia e dei Carabinieri alla Diaz e Bolzaneto attinge invece perfettamente ad una cassetta degli attrezzi che – da Piazza Fontana alla Strage di Bologna – le istituzioni italiane hanno usato per reprimere ogni forma di lotta sociale e conflittualità di classe. Ed infatti i responsabili di tali crimini sono stati sistematicamente promossi e hanno fatto carriera giungendo ai vertici delle forze dell’ordine italiane o all’interno di aziende statali come Finmeccanica (vedi il capo della polizia De Gennaro). Gli unici a pagare con lunghe pene detentive per danneggiamenti ca va sans dire sono stati i compagni e le compagne.
Enzo
Per approfondimenti si consigliano i seguenti siti:
Per sostenere Vincenzo Vecchi ecco il sito a cui fare riferimento
Il sito Indymedia, nuovamente online in occasione dei 20 anni dal G8 di Genova
Il ricordo del G8 di Genova di Luca Finotti, uno dei compagni condannati per le manifestazioni e ancora in carcere a Cremona.
Radio Tandem 20 anni dai fatti di Genova. Ricordi e testimonianze di manifestanti bolzanini presenti a Genova
Radio Onda Rossa Intervista ad Elena Giuliani
Radio Onda Rossa Genova 2001-2021
Genova 2001: un momento in cui non si poteva non esserci (video)
Genova 2001. Spunti per la riflessione