Lo scorso sabato 22 gennaio a Rovereto si è svolta un’importante manifestazione per impedire che l’oblio ed il silenzio calassero sulla vicenda di Matteo Tenni, ucciso il 9 aprile 2021 da un colpo di pistola esploso da un Carabiniere. La preziosa iniziativa è stata possibile grazie anche al contributo dei compagni e delle compagne del circolo Cabana, nato ormai oltre 10 anni fa per ricordare Stefano Frapporti “Cabana”, muratore roveretano 49enne morto in circostanze mai chiarite fino in fondo nel carcere di Rovereto, dopo essere stato arrestato dai Carabinieri per possesso di un pò di fumo. Una manifestazione che voleva rompere il clima di omertà e indifferenza generale su cui la Procura e i carabinieri contano per procedere con l’archiviazione di un omicidio senza nemmeno fare finta di aprire un’indagine. Senza tenere conto delle frasi pronunciate dai carabinieri mentre seguivano Matteo, senza tenere conto della dinamica dei fatti e senza considerare l’omissione di soccorso procurata da militari, che hanno impedito alla madre di Matteo, di soccorrere il figlio mentre agonizzava a terra.
Non ci sono parole adeguate per ricordare l’avvocato Giampiero Mattei, un uomo di rara generosità, intelligenza e rigore morale, sempre dalla parte dei più deboli, di chi lotta contro le strutturali ingiustizie della società in cui viviamo. Aveva messo le sue capacità a disposizione di chi non ha mai rinunciato a dare battaglia. Dalla difesa dei compagni inquisiti nelle varie inchieste repressive imbastite negli anni dalla Procura di Trento, alla difesa dei lavoratori del porfido. Negli ultimi tempi molte delle sue energie erano dedicate alla difesa di decine di compagni sotto processo per la manifestazione contro il muro del Brennero del maggio 2016. Umile come solo le grandi persone sanno essere, continerà a vivere nel cuore di chi lo ha conosciuto, apprezzato, ringraziato.
Pubblichiamo di seguito la traduzione in italiano dell’articolo “Ein Lehrer, wie der Herr Steurer” di Florian Kronbichler, recentemente pubblicato sul settimanale ff. Una conversazione fra lo storico sudtirolese Leopold Steurer e Martha Ebner, vedova di Anton Toni Ebner, deputato per la SVP dal 1948 al 1963 nonché direttore – dal 1951 – della casa editrice Athesia e – dal 1956 – del giornale Dolomiten. Continue reading →
All’alba di sabato 18 dicembre, a pochi chilometri dal passo del Brennero, sono stati investiti e uccisi da un treno Mohamed Basser, di 26 anni, e Mostafà Zahrakame, di 46 anni. Dopo aver varcato a piedi il confine con l’Austria si erano diretti in Italia per ragioni sconosciute ma facilmente intuibili.
Sabato 19 dicembre a Capo Frasca, in Sardegna, si è svolta un’importante manifestazione antimilitarista durante la quale, nonostante il massiccio impiego di reparti celere antisommossa, di lacrimogeni ad altezza uomo, di un elicottero e di un idrante, i manifestant* sono riusciti a recidere decine di metri di filo spinato riuscendo così ad entrare nel perimetro del poligono militare. Per la preziosa mobilitazione sarda contro la guerra e le infrastrutture che la permettono, la Procura di Cagliari ha imbastito una pesante inchiesta repressiva chiamata Lince (dal nome di alcuni mezzi militari incendiati da anonimi) che ha trovato un’ampia solidarietà. Per tale giornata, alcuni compagni di Bolzano hanno deciso, con una piccola azione simbolica, di rendere visibile alla città uno stabilimento che vive di guerra e che giustifica la propria esistenza in relazione al numero di conflitti che scoppiano – o vengono fatti scoppiare a seconda delle esigenze del profitto – sul pianeta. Continue reading →
PER FARE POLITICHE DI DESTRA OCCORONO FIGURE POLITICHE DI SINISTRA
‘’Decoro, sanzioni e tanti ‘’vietato’’: Sindaco e destre presentano insieme la proposta di modifica del Regolamento di polizia urbana per far fronte alla fobia del “degrado”. La proposta di modifica del Regolamento di polizia urbana si caratterizza soprattutto per aver cambiato il proprio focus e orientamento: non più la salvaguardia del patrimonio in quanto tale ma il contrasto di tutto quello che possa minare il concetto morale e moralizzante di “decoro”. Gli strumenti? Daspo e multe salate.’’ –Salto.bz
Non è la prima volta che nella città di Bolzano vengono introdotte misure folli per contrastare la problematica ingigantita del degrado di Bolzano. Continue reading →
Il 25 novembre è la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Tale data è stata scelta per ricordare le sorelle Patria, Dedè, Minerva e Maria Teresa Mirabal, torturate e uccise dal feroce dittatore anticomunista e filoamericano della Repubblica Dominicana Rafael Trujillo. Oppositrici del feroce dittatore, la loro attività venne scoperta dalla polizia che le arrestò insieme ai mariti nella primavera del 1960. Continue reading →
Per le CIERRE edizioni è uscito un libro curato da Andrea Dilemmi, recentemente presentato presso lo spazio autogestito La Sobilla di Verona, che racconta la vita di Carlo Aldegheri, un anarchico veronese che nel corso della sua vita attraversò da protagonista le lotte degli oppressi del Novecento. Una biografia che, riprendendo il titolo del libro a lui dedicato, attraversa 4 paesi e due continenti, specchio delle tormentate vicende vissute da migliaia di proletari e rivoluzionari a cavallo delle due guerre, perseguitati dalle polizie di mezza Europa e dai regimi nazifascisti. Una biografia che percorre anche una delle pagine più tragiche e dolorose che hanno segnato la città di Bolzano, dove venne allestito il Durchgangslager di via Resia, in cui venne internato anche Aldegheri.
Nato nel comune di Colognola ai Colli nel 1902 da una famiglia di braccianti ed avvicinatosi al Partito Socialista negli anni immediatamente successivi alla fine della Grande guerra, in seguito al dilagare delle violenze squadriste – appoggiate dalle autorità di polizia – fu costretto ad espatriare in Francia nel 1922.
Carlo Aldegheri 1902-1995
Negli anni dell’emigrazione per sopravvivere svolge numerosi lavori ed impara il mestiere di calzolaio, oltre a ciò l’emigrazione è anche una palestra di formazione politica; è proprio in questi anni infatti che egli si avvicina agli ideali anarchici. Nel febbraio 1934 si trasferisce in Spagna, presso Barcellona e l’anno successivo sposa Ana Canovas Navarro (Anita), operaia anarcosindacalista della Confederacion Nacional del Trabajo (CNT) da cui ha una figlia.
Nel luglio 1936, in seguito al tentato golpe dei militari spagnoli, Aldegheri si arruola nella milizia alpina di Sabadell con cui combatte ad Huesca. Il 16 dicembre da Sabadell scrive una lettera ai genitori da cui traspare la speranza che la lotta antifascista spagnola rappresenta:
“Carissimi genitori, Non ricevo mai vostre notizie, malgrado tutto spero che starete tutti in buona salute: io pure mi trovo bene, pure la mia situazione è ammirevole, ho radio, machina singer per io e per la mia compagna. Sta nascendo una nuova aurora in questa nazione, cosa che avevo suognato tutta la mia vita e, ora sto nel camino della vittoria, sto contribuendo in lei, e il giorno del trionfo sarò l’huomo il più felice che ci può essere sopra la terra.”
Agli inizi del 1939, dopo la sconfitta repubblicana e la rovinosa fuga di centinaia di migliaia di militari e civili repubblicani, Aldegheri è fra i volontari che vengono internati nei campi di concentramento francesi di Argeles-sur-mer e Gurs. Viene poi inquadrato nelle Compagnie di lavoro francesi destinate ai lavori di fortificazione della difesa francese. La rapida avanzata tedesca lo sorprende mentre è impegnato con la propria compagnia di lavoro a Dunkerque. Viene arrestato dalla Wehrmacht e inviato al campo di concentramento di Sagan. Viene poi riconsegnato alle autorità italiane e dopo essere stato preso in consegna al passo del Brennero nell’agosto 1941 viene rinchiuso nel carcere degli Scalzi di Verona. Il 3 settembre successivo è condannato a 5 anni di confino sull’isola di Ventotene. Dopo la caduta del fascismo Aldegheri, in quanto anarchico e perciò considerato fra i più pericolosi nemici anche dal “nuovo” corso badogliano, viene rinchiuso nel campo di Renicci di Anghiari dove viene ferito da una fucilata esplosa dalle guardie durante degli scontri. Nel gennaio 1944 riesce a raggiungere Caldiero, nella provincia di Verona, ed entra a far parte del Comitato di Liberazione Nazionale [CLN] locale.
Il 10 settembre successivo viene arrestato dai tedeschi ed internato nel campo di concentramento di Bolzano dove riesce ad evitare la deportazione grazie alla propria professione di calzolaio, come ebbe modo di raccontare anche nell’ intervista rilasciata in Brasile, poco tempo prima di morire. Nel lager di via Resia rimane fino al maggio 1945.
L’universo concentrazionario nazista si avvaleva in modo sistematico della manodopera dei prigionieri per perpetuarsi e in molti casi l’abilità lavorativa o determinate capacità potevano valere come merce di scambio all’interno del campo per acquisire piccoli privilegi che facevano la differenza nella generale miseria della situazione. Nell’intervista rilasciata nel 1994 in Brasile (dal minuto 16.45 al 23.10 circa) Aldegheri racconta come all’interno del campo bolzanino egli si sia salvato grazie al suo mestiere di calzolaio. Sebbene la “scelta” di lavorare per i tedeschi non mancò di destare sospetti fra gli altri internati, egli grazie alla sua attività lavorativa riuscì ad evitare la deportazione nei campi di sterminio nazisti ed a utilizzare la propria posizione per aiutare gli altri internati nel trovare razioni ulteriori di cibo.
Un altro piccolo tassello nella ricostruzione del dramma della deportazione che vedeva in Bolzano uno degli snodi di smistamento più importanti per il Nord Italia. Una testimonianza che restituisce le logiche e le dinamiche legate alla sopravvivenza del prigioniero di fronte all’arbitrio più totale degli occupanti nazisti.
Dopo la fine della guerra Aldegheri ritorna a Verona dove è attivo nell’Uvam (Unione veronese antifascisti militanti) ma ben presto la delusione per il nuovo corso democratico e le difficoltà lavorative portarono alla decisione di emigrare nuovamente; questa volta la destinazione era però il Brasile, nella zona di San Paolo.
Carlo Aldegheri nel 1964 in Brasile (con gli occhiali da sole) insieme ad altri compagni. Foto presa dalla pagina Fb dello spazio La Sobilla
“Il principio che professa l’anarchico è quello di annullare qualsiasi governo e che i lavoratori si autogestiscano attraverso la propria organizzazione. […] Noi crediamo che l’anarchia sia l’unico modo per l’umanità di vivere in una società davvero umana. Perchè l’uomo è per natura socievole. […] Siamo contrari all’autorità, perché l’autorità crea il dispotismo, crea le classi e crea l’ingiustizia. Crediamo che, tramite la filosofia anarchica, potremmo vivere in una società organizzata sull’impegno di ognuno di noi, a livello nazionale e internazionale, e vogliamo creare un mondo senza frontiere, senza frontiere e senza militari. […] L’anarchismo è un ideale che, per come è descritto dai nostri teorici, è utopico. Non che io sia contrario all’anarchismo, anzi, rappresenta la luce in fondo al tunnel. L’anarchismo è un giorno che l’umanità potrà essere obbligata a vedere, dopo che questo regime dei nostri tempi ci avrà mostrato tutte le ingiustizie del mondo.”
Nel Paese Sudamericano l’anarchico veronese trascorse gli ultimi decenni della sua vita, continuando la propria militanza politica che verso la fine degli anni Ottanta lo portò ad entrare in contatto con un gruppo di Punk brasiliani.
Foto presa dalla pagina Fb dello spazio autogestito La Sobilla
Aldegheri muore il 4 maggio 1995 a Guarujà, in Brasile. Sua moglie Anita morirà nel 2015, a 109 anni.
Nella notte fra il 20 e 21 ottobre 2021, in un magazzino di Bentivoglio in provincia di Bologna, è morto Yaya Yafa, 22enne originario della Guinea Bissau. Aveva firmato da appena 3 giorni il proprio contratto di lavoro interinale presso la SDA-Poste italiane dell’interporto di Bologna. Una morte non casuale, risultato della sistematica precarizzazione del lavoro con uomini e donne che vengono assunti, anche solo per pochi giorni, senza alcuna formazione e senza alcun rispetto delle norme di sicurezza.
Yaya Yafa, 22 anni, ucciso dal lavoro precario in un magazzino di Bologna
Striscione dei lavoratori del sindacato di base SICOBAS presso l’Interporto di Bologna
Anche a Bolzano alcuni compagni e compagne si sono uniti all’onda di rabbia e solidarietà che si è alzata in molti magazzini della logistica ma non solo, e sono andati di fronte alla sede della SDA di Bolzano per distribuire volantini e affiggere manifesti solidali con Yaya e con i lavoratori costretti in condizioni sempre più precarie, con il beneplacito dei sindacati confederali, inerti e complici di tale sistema.
Manifesti affissi in zona industriale a Bolzano
Di seguito il testo del volantino distribuito:
VOSTRI I PROFITTI,NOSTRI I MORTI
Un’altra, ennesima, morte sul lavoro.
Yafa Yaya ci lascia a soli 22 anni, originario della Guinea Bissau, costretto ad emigrare in cerca di un futuro migliore, giunto in Italia aveva iniziato a lavorare in SDA solamente due giorni fa e il terzo giorno è risultato fatidico per la sua vita.
«Stava controllando la ribalta e il camion non era frenato e improvvisamente si è mosso, schiacciandogli la testa tra la ribalta e il muro. Una morte bruttissima».
Molto probabilmente qualcuno parlerà di fatalità, ma noi sappiamo bene che la morte del lavoratore di SDA è la conseguenza delle condizioni di lavoro troppo spesso precarie, della mancanza di sicurezza sui luoghi di lavoro, che troppe volte sono il frutto della ricerca continua del profitto da parte dei padroni.
Se da un lato si cerca di dividere i lavoratori con la questione del Green Pass, dall’altre parte, le condizioni di lavoro nei magazzini o nei reparti peggiorano costantemente.
Al terzo giorno di lavoro è normale che un ragazzo, per di più così giovane, non abbia la capacità di tutelarsi dal punto di vista dei movimenti e quindi della sicurezza (FIGURIAMOCI SE LO FANNO LORO..), ma non è normale che nei posti di lavoro si dia vita a questo riciclo di lavoratori che, una volta spremuti per bene, vengono mandati a casa e sostituiti con altri attraverso queste maledette agenzie interinali che offrono continua manodopera a ribasso. Come lavoratori, senza distinzioni di sigle e di settori, dobbiamo impegnarci affinché questo abominio della forza lavoro somministrata termini, e lo possiamo fare solo attraverso il conflitto generalizzato ed organizzato nei luoghi di lavoro.
Non esistono lavoratori di serie A e lavoratori di serie B!
Padroni e governo, che in questi giorni si ergono a paladini della salute e della prevenzione del rischio pandemico, sono gli stessi che da anni smantellano ogni tutela sulla sicurezza nei luoghi di lavoro; sono gli stessi che incentivano l’utilizzo abnorme di manodopera precaria e interinale, più ricattata e più sfruttata, quindi più esposta al rischio di incidenti.
I posti di lavoro sono ogni giorno più un vero e proprio teatro di guerra!
È ORA DI DIRE BASTA A QUESTA MATTANZA!
È ORA DI METTERE FINE ALLA PROLIFERAZIONE SENZA LIMITE DI CONTRATTI INTERINALI E A TERMINE!
È ORA DI DAR VITA A UNA MOBILITAZIONE NAZIONALE CONTRO LE MORTI SUL LAVORO E PER LA DIFESA DELLA SICUREZZA E DELLA VITA DEGLI OPERAI!
Hai subito un’ingiustizia sul lavoro? Il tuo padrone è una merda? Scrivici all’indirizzo santabarbarabz@canaglie.net
La propaganda politica e le falsificazioni della realtà di partiti come la Lega portano molto spesso a risultati grotteschi, condivisi e sdoganati anche dalla cosiddetta “sinistra” di governo.
Sebbene da diversi anni i reati di ogni tipo siano in calo, una pletora di consiglieri comunali, provinciali e regionali sono in costante affanno alla ricerca di casi con cui allarmare la popolazione, esagerandone la portata, con l’obiettivo di indurre nella popolazione una sensazione di insicurezza con cui poi tali avvoltoi speculano politicamente richiedendo leggi e dispositivi giuridici sempre più punitivi, in particolare con i poveri. A Bolzano la propaganda costruita intorno al parco della Stazione è un caso esemplare.
Da molti anni ormai partiti razzisti e fascistoidi come Lega e Fratelli d’Italia tentano di legare la questione della sicurezza all’immigrazione di lavoratori stranieri, con l’obiettivo di costruire una società sempre più densa di paure e paranoie, in cui lo straniero -con o senza documenti- viene utilizzato da tali cialtroni per scaricare le tensioni sociali prodotte da essi stessi.
É però interessante notare, come nel bucolico paese di Egna/Neumarkt, nella Bassa Atesina, una consigliera comunale della Lega, tale Rosa Valenti, sia riuscita a convincere la giunta comunale di uno dei borghi più belli d’Italia a trovare i fondi per l’acquisto di 4 pistole, destinate al corpo locale della polizia municipale. La consigliera leghista dell’ondata salviniana, ha motivato tale posizione dicendo: «credo fortemente nella sicurezza dei cittadini ma anche del personale che opera sul territorio con i rischi che ne conseguono».
Cosa è successo a Egna negli ultimi anni di tanto grave da rendere necessaria la circolazione di altri uomini armati oltre ai Carabinieri che proprio nel paese hanno una stazione? Nulla, nel paese della Bassa Atesina non ci sono guerre fra narcos oppure cellule di Al-Qaeda eppure secondo la consigliera leghista era necessario armare nuove persone per garantire la sicurezza degli abitanti di un paese in cui non risultano esserci problemi di gravità tale che possano anche solo lontanamente giustificare un provedimento del genere. La pistola ai vigili è la bandierina che ora la leghista può sventolare e rivendicare come vittoria.
Avere più persone armate significa avere più sicurezza? Evidentemente no, la situazione esistente negli Stati Uniti, il paese con il più alto numero di armi in circolazione, dice l’esatto contrario. Portare una pistola oppure un’arma mortale come il Taser, può portare ovviamente al suo utilizzo e alla tentazione per gli uomini in divisa di trasformarsi in sceriffi. Recentemente, con il caso dell’assassinio di Matteo Tenni ad Ala, abbiamo visto cosa significhi dare armi in mano a persone incapaci di gestire la tensione. Sempre nel Trentino, nella fattispecie a Trento, un vigile alcuni anni fa sparò a dei ragazzini in fuga dopo un furto. I casi cronaca nazionale riportano numerosissimi casi di omicidi tentati o compiuti da vigili urbani nell’ambito della propria attività. Ricordiamo a Como nel 2006 un ragazzo di 19 anni ucciso perchè faceva dei graffiti, oppure il cileno di 28 anni ucciso da un vigile di Crescenzago, vicino a Milano, nel 2012.
La Lega è il principale partito che sostiene la liberalizzazione nella vendita di armi, ed è sempre in prima linea nel difendere gioiellieri o altri esercenti che uccidono autori di furti nelle proprie propretà. Nel marzo 2019, ai tempi del governo gialloverde che tanto si adoperò per inasprire le pene per chi lottava a difesa dei propri diritti o per salvare vite umane nel Mediterraneo, la Lega presentò una proposta di legge per facilitare l’acquisto di “un’arma destinata alla difesa personale”. Tale provvedimento era composto da tre articoli in tutto che puntavano ad “aumentare da 7,5 a 15 joule il discrimine tra le armi comuni da sparo e quelle per le quali non è necessario il porto d’armi”.
La misura proposta dalla leghista Valenti, ma appoggiata da tutto il resto del Consiglio comunale, SVP e PD in testa, contiene in sé la sintesi di tutta la propaganda leghista-salviniana che evidentemente ha fatto breccia, inventando emergenze là dove non ce ne sono.