[Bolzano] A proposito di Daspo, Decoro e Degrado. Un contributo critico

PER FARE POLITICHE DI DESTRA OCCORONO FIGURE POLITICHE DI SINISTRA

‘’Decoro, sanzioni e tanti ‘’vietato’’: Sindaco e destre presentano insieme la proposta di modifica del Regolamento di polizia urbana per far fronte alla fobia del “degrado”. La proposta di modifica del Regolamento di polizia urbana si caratterizza soprattutto per aver cambiato il proprio focus e orientamento: non più la salvaguardia del patrimonio in quanto tale ma il contrasto di tutto quello che possa minare il concetto morale e moralizzante di “decoro”. Gli strumenti? Daspo e multe salate.’’Salto.bz

Non è la prima volta che nella città di Bolzano vengono introdotte misure folli per contrastare la problematica ingigantita del degrado di Bolzano. Continue reading

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[Bolzano] 25 Novembre tutti i giorni – manifesti e volantini solidali

Il 25 novembre è la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Tale data è stata scelta per ricordare le sorelle Patria, Dedè, Minerva e Maria Teresa Mirabal, torturate e uccise dal feroce dittatore anticomunista e filoamericano della Repubblica Dominicana Rafael Trujillo. Oppositrici del feroce dittatore, la loro attività venne scoperta dalla polizia che le arrestò insieme ai mariti nella primavera del 1960. Continue reading

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[Storia di classe] Dalla guerra di Spagna al Durchgangslager di Bolzano fino al Brasile. Storia dell’anarchico Carlo Aldegheri

Per le CIERRE edizioni è uscito un libro curato da Andrea Dilemmi, recentemente presentato presso lo spazio autogestito La Sobilla di Verona, che racconta la vita di Carlo Aldegheri, un anarchico veronese che nel corso della sua vita attraversò da protagonista le lotte degli oppressi del Novecento. Una biografia che, riprendendo il titolo del libro a lui dedicato, attraversa 4 paesi e due continenti, specchio delle tormentate vicende vissute da migliaia di proletari e rivoluzionari a cavallo delle due guerre, perseguitati dalle polizie di mezza Europa e dai regimi nazifascisti. Una biografia che percorre anche una delle pagine più tragiche e dolorose che hanno segnato la città di Bolzano, dove venne allestito il Durchgangslager di via Resia, in cui venne internato anche Aldegheri.

Nato nel comune di Colognola ai Colli nel 1902 da una famiglia di braccianti ed avvicinatosi al Partito Socialista negli anni immediatamente successivi alla fine della Grande guerra, in seguito al dilagare delle violenze squadriste – appoggiate dalle autorità di polizia – fu costretto ad espatriare in Francia nel 1922.

Carlo Aldegheri 1902-1995

Negli anni dell’emigrazione per sopravvivere svolge numerosi lavori ed impara il mestiere di calzolaio, oltre a ciò l’emigrazione è anche una palestra di formazione politica; è proprio in questi anni infatti che egli si avvicina agli ideali anarchici. Nel febbraio 1934 si trasferisce in Spagna, presso Barcellona e l’anno successivo sposa Ana Canovas Navarro (Anita), operaia anarcosindacalista della Confederacion Nacional del Trabajo (CNT) da cui ha una figlia.

Carlo Aldegheri e la moglie Anita. Foto presa dalla pagina Facebook dello spazio La Sobilla

Nel luglio 1936, in seguito al tentato golpe dei militari spagnoli, Aldegheri si arruola nella milizia alpina di Sabadell con cui combatte ad Huesca. Il 16 dicembre da Sabadell scrive una lettera ai genitori da cui traspare la speranza che la lotta antifascista spagnola rappresenta:

Carissimi genitori, Non ricevo mai vostre notizie, malgrado tutto spero che starete tutti in buona salute: io pure mi trovo bene, pure la mia situazione è ammirevole, ho radio, machina singer per io e per la mia compagna. Sta nascendo una nuova aurora in questa nazione, cosa che avevo suognato tutta la mia vita e, ora sto nel camino della vittoria, sto contribuendo in lei, e il giorno del trionfo sarò l’huomo il più felice che ci può essere sopra la terra.”

Agli inizi del 1939, dopo la sconfitta repubblicana e la rovinosa fuga di centinaia di migliaia di militari e civili repubblicani, Aldegheri è fra i volontari che vengono internati nei campi di concentramento francesi di Argeles-sur-mer e Gurs. Viene poi inquadrato nelle Compagnie di lavoro francesi destinate ai lavori di fortificazione della difesa francese. La rapida avanzata tedesca lo sorprende mentre è impegnato con la propria compagnia di lavoro a Dunkerque. Viene arrestato dalla Wehrmacht e inviato al campo di concentramento di Sagan. Viene poi riconsegnato alle autorità italiane e dopo essere stato preso in consegna al passo del Brennero nell’agosto 1941 viene rinchiuso nel carcere degli Scalzi di Verona. Il 3 settembre successivo è condannato a 5 anni di confino sull’isola di Ventotene. Dopo la caduta del fascismo Aldegheri, in quanto anarchico e perciò considerato fra i più pericolosi nemici anche dal “nuovo” corso badogliano, viene rinchiuso nel campo di Renicci di Anghiari dove viene ferito da una fucilata esplosa dalle guardie durante degli scontri. Nel gennaio 1944 riesce a raggiungere Caldiero, nella provincia di Verona, ed entra a far parte del Comitato di Liberazione Nazionale [CLN] locale.

Il 10 settembre successivo viene arrestato dai tedeschi ed internato nel campo di concentramento di Bolzano dove riesce ad evitare la deportazione grazie alla propria professione di calzolaio, come ebbe modo di raccontare anche nell’ intervista rilasciata in Brasile, poco tempo prima di morire. Nel lager di via Resia rimane fino al maggio 1945. 

L’universo concentrazionario nazista si avvaleva in modo sistematico della manodopera dei prigionieri per perpetuarsi e in molti casi l’abilità lavorativa o determinate capacità potevano valere come merce di scambio all’interno del campo per acquisire piccoli privilegi che facevano la differenza nella generale miseria della situazione. Nell’intervista rilasciata nel 1994 in Brasile (dal minuto 16.45 al 23.10 circa) Aldegheri racconta come all’interno del campo bolzanino egli si sia salvato grazie al suo mestiere di calzolaio. Sebbene la “scelta” di lavorare per i tedeschi non mancò di destare sospetti fra gli altri internati, egli grazie alla sua attività lavorativa riuscì ad evitare la deportazione nei campi di sterminio nazisti ed a utilizzare la propria posizione per aiutare gli altri internati nel trovare razioni ulteriori di cibo.

Un altro piccolo tassello nella ricostruzione del dramma della deportazione che vedeva in Bolzano uno degli snodi di smistamento più importanti per il Nord Italia. Una testimonianza che restituisce le logiche e le dinamiche legate alla sopravvivenza del prigioniero di fronte all’arbitrio più totale degli occupanti nazisti.

Dopo la fine della guerra Aldegheri ritorna a Verona dove è attivo nell’Uvam (Unione veronese antifascisti militanti) ma ben presto la delusione per il nuovo corso democratico e le difficoltà lavorative portarono alla decisione di emigrare nuovamente; questa volta la destinazione era però il Brasile, nella zona di San Paolo.

Carlo Aldegheri nel 1964 in Brasile (con gli occhiali da sole) insieme ad altri compagni. Foto presa dalla pagina Fb dello spazio La Sobilla

“Il principio che professa l’anarchico è quello di annullare qualsiasi governo e che i lavoratori si autogestiscano attraverso la propria organizzazione. […] Noi crediamo che l’anarchia sia l’unico modo per l’umanità di vivere in una società davvero umana. Perchè l’uomo è per natura socievole. […] Siamo contrari all’autorità, perché l’autorità crea il dispotismo, crea le classi e crea l’ingiustizia. Crediamo che, tramite la filosofia anarchica, potremmo vivere in una società organizzata sull’impegno di ognuno di noi, a livello nazionale e internazionale, e vogliamo creare un mondo senza frontiere, senza frontiere e senza militari. […] L’anarchismo è un ideale che, per come è descritto dai nostri teorici, è utopico. Non che io sia contrario all’anarchismo, anzi, rappresenta la luce in fondo al tunnel. L’anarchismo è un giorno che l’umanità potrà essere obbligata a vedere, dopo che questo regime dei nostri tempi ci avrà mostrato tutte le ingiustizie del mondo.”

Nel Paese Sudamericano l’anarchico veronese trascorse gli ultimi decenni della sua vita, continuando la propria militanza politica che verso la fine degli anni Ottanta lo portò ad entrare in contatto con un gruppo di Punk brasiliani.

Foto presa dalla pagina Fb dello spazio autogestito La Sobilla

Aldegheri muore il 4 maggio 1995 a Guarujà, in Brasile. Sua moglie Anita morirà nel 2015, a 109 anni.

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[Bolzano] Volantinaggio solidale con Yaya Yafa e lavoratori SDA

Nella notte fra il 20 e 21 ottobre 2021, in un magazzino di Bentivoglio in provincia di Bologna, è morto Yaya Yafa, 22enne originario della Guinea Bissau. Aveva firmato da appena 3 giorni il proprio contratto di lavoro interinale presso la SDA-Poste italiane dell’interporto di Bologna. Una morte non casuale, risultato della sistematica precarizzazione del lavoro con uomini e donne che vengono assunti, anche solo per pochi giorni, senza alcuna formazione e senza alcun rispetto delle norme di sicurezza.

Yaya Yafa, 22 anni, ucciso dal lavoro precario in un magazzino di Bologna

Striscione dei lavoratori del sindacato di base SICOBAS presso l’Interporto di Bologna

Anche a Bolzano alcuni compagni e compagne si sono uniti all’onda di rabbia e solidarietà che si è alzata in molti magazzini della logistica ma non solo, e sono andati di fronte alla sede della SDA di Bolzano per distribuire volantini e affiggere manifesti solidali con Yaya e con i lavoratori costretti in condizioni sempre più precarie, con il beneplacito dei sindacati confederali, inerti e complici di tale sistema.

Manifesti affissi in zona industriale a Bolzano

Di seguito il testo del volantino distribuito:

VOSTRI I PROFITTI,NOSTRI I MORTI

Un’altra, ennesima, morte sul lavoro.

Yafa Yaya ci lascia a soli 22 anni, originario della Guinea Bissau, costretto ad emigrare in cerca di un futuro migliore, giunto in Italia aveva iniziato a lavorare in SDA solamente due giorni fa e il terzo giorno è risultato fatidico per la sua vita.

«Stava controllando la ribalta e il camion non era frenato e improvvisamente si è mosso, schiacciandogli la testa tra la ribalta e il muro. Una morte bruttissima».

Molto probabilmente qualcuno parlerà di fatalità, ma noi sappiamo bene che la morte del lavoratore di SDA è la conseguenza delle condizioni di lavoro troppo spesso precarie, della mancanza di sicurezza sui luoghi di lavoro, che troppe volte sono il frutto della ricerca continua del profitto da parte dei padroni.

Se da un lato si cerca di dividere i lavoratori con la questione del Green Pass, dall’altre parte, le condizioni di lavoro nei magazzini o nei reparti peggiorano costantemente.

Al terzo giorno di lavoro è normale che un ragazzo, per di più così giovane, non abbia la capacità di tutelarsi dal punto di vista dei movimenti e quindi della sicurezza (FIGURIAMOCI SE LO FANNO LORO..), ma non è normale che nei posti di lavoro si dia vita a questo riciclo di lavoratori che, una volta spremuti per bene, vengono mandati a casa e sostituiti con altri attraverso queste maledette agenzie interinali che offrono continua manodopera a ribasso. Come lavoratori, senza distinzioni di sigle e di settori, dobbiamo impegnarci affinché questo abominio della forza lavoro somministrata termini, e lo possiamo fare solo attraverso il conflitto generalizzato ed organizzato nei luoghi di lavoro.

Non esistono lavoratori di serie A e lavoratori di serie B!

Padroni e governo, che in questi giorni si ergono a paladini della salute e della prevenzione del rischio pandemico, sono gli stessi che da anni smantellano ogni tutela sulla sicurezza nei luoghi di lavoro; sono gli stessi che incentivano l’utilizzo abnorme di manodopera precaria e interinale, più ricattata e più sfruttata, quindi più esposta al rischio di incidenti.

I posti di lavoro sono ogni giorno più un vero e proprio teatro di guerra!

È ORA DI DIRE BASTA A QUESTA MATTANZA!

È ORA DI METTERE FINE ALLA PROLIFERAZIONE SENZA LIMITE DI CONTRATTI INTERINALI E A TERMINE!

È ORA DI DAR VITA A UNA MOBILITAZIONE NAZIONALE CONTRO LE MORTI SUL LAVORO E PER LA DIFESA DELLA SICUREZZA E DELLA VITA DEGLI OPERAI!

Hai subito un’ingiustizia sul lavoro? Il tuo padrone è una merda? Scrivici all’indirizzo santabarbarabz@canaglie.net

organizziamoci assieme contro lo sfruttamento!

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[Egna] Pistole ai Vigili. L’ebbrezza della sicurezza

La propaganda politica e le falsificazioni della realtà di partiti come la Lega portano molto spesso a risultati grotteschi, condivisi e sdoganati anche dalla cosiddetta “sinistra” di governo.

Sebbene da diversi anni i reati di ogni tipo siano in calo, una pletora di consiglieri comunali, provinciali e regionali sono in costante affanno alla ricerca di casi con cui allarmare la popolazione, esagerandone la portata, con l’obiettivo di indurre nella popolazione una sensazione di insicurezza con cui poi tali avvoltoi speculano politicamente richiedendo leggi e dispositivi giuridici sempre più punitivi, in particolare con i poveri. A Bolzano la propaganda costruita intorno al parco della Stazione è un caso esemplare.

Da molti anni ormai partiti razzisti e fascistoidi come Lega e Fratelli d’Italia tentano di legare la questione della sicurezza all’immigrazione di lavoratori stranieri, con l’obiettivo di costruire una società sempre più densa di paure e paranoie, in cui lo straniero -con o senza documenti- viene utilizzato da tali cialtroni per scaricare le tensioni sociali prodotte da essi stessi.

É però interessante notare, come nel bucolico paese di Egna/Neumarkt, nella Bassa Atesina, una consigliera comunale della Lega, tale Rosa Valenti, sia riuscita a convincere la giunta comunale di uno dei borghi più belli d’Italia a trovare i fondi per l’acquisto di 4 pistole, destinate al corpo locale della polizia municipale. La consigliera leghista dell’ondata salviniana, ha motivato tale posizione dicendo: «credo fortemente nella sicurezza dei cittadini ma anche del personale che opera sul territorio con i rischi che ne conseguono».

Cosa è successo a Egna negli ultimi anni di tanto grave da rendere necessaria la circolazione di altri uomini armati oltre ai Carabinieri che proprio nel paese hanno una stazione? Nulla, nel paese della Bassa Atesina non ci sono guerre fra narcos oppure cellule di Al-Qaeda eppure secondo la consigliera leghista era necessario armare nuove persone per garantire la sicurezza degli abitanti di un paese in cui non risultano esserci problemi di gravità tale che possano anche solo lontanamente giustificare un provedimento del genere. La pistola ai vigili è la bandierina che ora la leghista può sventolare e rivendicare come vittoria.

Avere più persone armate significa avere più sicurezza? Evidentemente no, la situazione esistente negli Stati Uniti, il paese con il più alto numero di armi in circolazione, dice l’esatto contrario. Portare una pistola oppure un’arma mortale come il Taser, può portare ovviamente al suo utilizzo e alla tentazione per gli uomini in divisa di trasformarsi in sceriffi. Recentemente, con il caso dell’assassinio di Matteo Tenni ad Ala, abbiamo visto cosa significhi dare armi in mano a persone incapaci di gestire la tensione. Sempre nel Trentino, nella fattispecie a Trento, un vigile alcuni anni fa sparò a dei ragazzini in fuga dopo un furto. I casi cronaca nazionale riportano numerosissimi casi di omicidi tentati o compiuti da vigili urbani nell’ambito della propria attività. Ricordiamo a Como nel 2006 un ragazzo di 19 anni ucciso perchè faceva dei graffiti, oppure il cileno di 28 anni ucciso da un vigile di Crescenzago, vicino a Milano, nel 2012.

La Lega è il principale partito che sostiene la liberalizzazione nella vendita di armi, ed è sempre in prima linea nel difendere gioiellieri o altri esercenti che uccidono autori di furti nelle proprie propretà. Nel marzo 2019, ai tempi del governo gialloverde che tanto si adoperò per inasprire le pene per chi lottava a difesa dei propri diritti o per salvare vite umane nel Mediterraneo, la Lega presentò una proposta di legge per facilitare l’acquisto di “un’arma destinata alla difesa personale”. Tale provvedimento era composto da tre articoli in tutto che puntavano ad “aumentare da 7,5 a 15 joule il discrimine tra le armi comuni da sparo e quelle per le quali non è necessario il porto d’armi”.

La misura proposta dalla leghista Valenti, ma appoggiata da tutto il resto del Consiglio comunale, SVP e PD in testa, contiene in sé la sintesi di tutta la propaganda leghista-salviniana che evidentemente ha fatto breccia, inventando emergenze là dove non ce ne sono.

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[Internazionalismo-Bolzano] Né con i Talebani né con l’occupazione. Volantinaggio e striscioni solidali con le donne afghane

Durante la sbornia mediatica durata settimane in cui i principali media e politici – dopo avere per anni sostenuto e finanziato la guerra di occupazione – hanno versato ipocrite lacrime di coccodrillo per commentare la rovinosa sconfitta delle forze occidentali nella guerra di invasione in Afghanistan non è stato detto praticamente nulla riguardo i crimini commessi dalle forze occidentali e dal loro governo fantoccio di collaborazionisti afghani nel corso di 20 anni di occupazione da parte della NATO. Un gruppo di compagne e compagni bolzanine/i con buona memoria e consapevoli dell’evidente strumentalizzazione e mistificazione mediatica della condizione delle donne afghnane operata dai principali media col fine di giustificare vecchie e nuove guerre neocolonialiste, ha distribuito per le strade del centro di Bolzano volantini e affisso striscioni in occasione di una giornata di mobilitazione internazionale chiamata dall’associazione rivoluzionaria delle donne afghane (Revolutionary association of the women of Afghanistan – RAWA) per costruire la solidarietà dal basso nei confronti delle donne afghane. Per combattere la narrazione guerrafondaia e colonialista occidentale così come contro il regime oscurantista talebano da poco insediatosi Kabul.

Foto presa dalla pagina Fb Bolzano antifascista

Di seguito il volantino che è stato distribuito per le vie della città:

Né con i Talebani, né con l’occupazione: femminismo e rivoluzione!

L’emancipazione delle donne afghane non potrà essere mai raggiunta finché l’occupazione non avrà termine e i talebani e i criminali del “fronte nazionale” non saranno eliminati!”

Associazione Rivoluzionaria delle Donne d’Afghanistan (RAWA)

Oggi lasciamo a casa paternalismo e sguardi coloniali: lasciamo parlare Rawa e le “sue” donne rivoluzionarie afghane contro i

governi e il femminismo bianco borghese, prendendo posizione contro l’imperialismo, le occupazioni e il militarismo.

Con Rawa e con tutti i popoli oppressi per denunciare le politiche neocoloniali, il commercio di armi e il sistema industriale

militare che trae vantaggio dalle guerre in atto in Afghanistan e in altre parti del mondo.

Questo scriveva RAWA il 9 marzo del 2010 riguardo alla condizione delle donne e in generale della popolazione afgana sotto l’occupazione NATO:

Febbraio 2010: i signori della guerra locali nella provincia di Ghor in Afghanistan occidentale frustato pubblicamente due donne afgane. Sebbene non ci si possa aspettare nulla di diverso dal regime fantoccio più corrotto e sporco del mondo, il dolore delle donne afghane viene condannato a diventare

cronico nel momento in cui il mondo crede che gli USA e la NATO hanno portato libertà, democrazia e diritti delle donne in Afghanistan.

Otto anni dopo l’aggressione degli USA e dei loro alleati, compiuta sotto la bandiera della “guerra al terrore” che ha messo al potere i più brutali terroristi della Alleanza del Nord e i vecchi

burattini dei servizi segreti filosovietici Khalq e Parcham, facendo affidamento sulla loro collaborazione, gli USA hanno imposto al popolo afghano un governo fantoccio. E invece di sradicare le loro proprie creature – i talebani e Al-Qaeda – gli USA e la NATO continuano a uccidere poveri e innocenti civili, perlopiù donne e bambini, nei loro micidiali attacchi aerei.

Oggi, a distanza di 20 anni dall’inizio della famigerata operazione “Enduring freedom”, salutata da tutti i governi occidentali e dalla stampa prezzolata come guerra umanitaria contro il terrorismo e per la democrazia, siamo qui a fare i conti umani ed economici che le popolazioni afgana e occidentali hanno pagato. Per quanto riguarda le conseguenze dirette di 20 di guerra in Afganistan, le organizzazioni internazionali governative e non riportano i seguenti dati: 240.000 morti tra civili (la stragrande maggioranza) e guerriglieri; 66.000 fra vedove e orfani, Oltre un milione di disabili permanenti e feriti; 5,5 milioni di sfollati interni e

profughi nei paesi confinanti; Il raddoppiamento della percentuale di abitanti in condizioni di povertà estrema (6 su 10); 3,8 milioni di bambini necessitano di aiuto umanitario, 3,7milioni non accedono all’istruzione scolastica; 600 mila soffrono di grave malnutrizione. L’1,6% delle partorienti muore di parto; Il 9% della popolazione adulta è tossicodipendente.

Di seguito i costi economici dell’occupazione militare imposti dai governi della coalizione internazionale alle rispettive popolazioni:

2261 miliardi di dollari spesi dal governo USA (330 milioni al giorno); 8,5 milioni di euro spesi dall’inizio dell’invasione dai governi italiani di ogni colore politico (Berlusconi, Prodi, D’Alema, Monti , Letta, Renzi, Gentiloni, Conte 1, Conte 2, Draghi)

Nonostante l’evidente disastro umanitario e politico prodotto dall’intervento imperialista, i media asserviti ai governi coinvolti

continuano ancora oggi a insistere sulla legittimità di questa guerra coprendo i reali interessi economici e geopolitici che

l’hanno originata, con una pretestuosa motivazione umanitaria in difesa delle donne e dei diritti civili. Nonostante 20 anni di

guerra contro il “terrorismo” e di occupazione militare dell’Occidente, l’Afghanistan è rimasto il “posto peggiore per nascere come donna”

Da un’ intervista a RAWA, agosto 2021:

Qual è stato il ruolo delle ONG occidentali nel Paese, positivo o negativo?

Le ONG nel nostro Paese facevano parte dell’occupazione militare dell’Occidente. Sono state tutte create come funghi dopo l’11 settembre. A parte alcuni piccoli ed efficaci

progetti, hanno principalmente giocato un ruolo negativo. L’USAID (I’agenzia governativa americana) ha attuato principalmente le politiche degli Stati Uniti e così molte altre

ONG internazionali. La ragione principale dietro parte della corruzione e delle tangenti erano queste ONG. Hanno fatto progetti buoni solo sulla carta sotto la supervisione degli

stranieri e che non hanno portato a un effettivo cambiamento di vita sulla nostra gente. I Paesi occidentali hanno lasciato l’Afghanistan uno dopo l’altro.

Il ritiro americano è stato un errore? E se no, perché?

Sì, quasi tutti i Paesi se ne sono andati. Non è assolutamente un errore per noi, piuttosto è qualcosa di positivo. Eravamo totalmente contro questa occupazione e la presenza

di queste truppe. Ma purtroppo il ritiro è frutto di un accordo diplomatico tra gli Stati Uniti ei talebani. Ancora una volta, come per gli anni precedenti, sono i civili afgani che

ne stanno pagando l’enorme costo. I combattimenti in corso uccidono civili, bruciano le loro case e le loro fattorie e li costringono a lasciare i villaggi. Rawa crede fermamente

che nessuna nazione possa ricevere la pace e il progresso come se fosse un regalo. Le nazioni devono lottare, per costruire la pace con le proprie mani, per avere un solido

legame con essa.

Oggi abbiamo accolto la richiesta di amplificare la voce di chi da anni si batte per la propria libertà e quella del suo popolo ricordandoci che: “La resistenza fa parte della natura umana e la storia ne è testimone. Abbiamo gli esempi gloriosi della lotta dei

movimenti “Occupy Wall Street” e “Black Lives Matter”. Abbiamo visto che nessuna oppressione, nessuna tirannia, nessuna

violenza per quanto intense possono fermare la resistenza. Le donne non saranno più ostacolate!”

Sempre a fianco di chi lotta, sempre a fianco di chi combatte occupazioni militari e patriarcato. Guerra alla guerra!

Nemiche e nemici del patriarcato

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[Fridays for future-Bolzano] La loro normalità è il problema. Un contributo alla lotta

Venerdì 24  settembre in piazza Tribunale a Bolzano vi è stato il ritorno in piazza del movimento internazionale Fridays for Future, nato in seguito allo sciopero scolastico individuale della giovanissima attivista svedese Greta Thunberg e che ha avuto il merito – al di là degli evidenti limiti di tale mobilitazione – di porre il tema della devastazione ambientale e dello sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali del pianeta alle nuove generazioni. Qui potete ascoltare alcune interviste fatte da Radio Tandem ad alcuni giovani manifestanti

Per l’occasione alcuni compagni e compagne di Bolzano hanno scritto e diffuso un testo (pubblicato anche sulla pagina Facebook Bolzano Antifascista) il cui obiettivo è sollecitare lo sviluppo di una critica più precisa e radicale delle cause alla base del cambiamento climatico, dell’inquinamento, dello sfruttamento delle risorse naturali e delle guerre ad esse collegate.

La distruzione del pianeta non è un fenomeno naturale ma è il risultato di criminali politiche economiche capitaliste il cui unico obiettivo è massimizzare i profitti di pochi ultramiliardari e di multinazionali senza scrupoli a discapito del resto dell’umanità. E’ evidente il motivo per cui aspettarsi un cambiamento di tali politiche dagli stessi uomini che sono fino ad oggi i difensori degli interessi che stanno distruggendo ciò che rimane degli ecosistemi naturali è illusorio. 

Continuare la mobilitazione ed affilare le armi della critica è necessario per colpire e far retrocedere i responsabili del disastro verso cui siamo avviati, in maniera forse irreversibile.

Non c’è ambientalismo senza anticapitalismo. Manifestazione Fridays for future a Bolzano. Piazza Tribunale 24 settembre 2021

Di seguito riportiamo il testo del volantino stampato e diffuso per le strade della città:

LA LORO NORMALITÀ É IL PROBLEMA

L’ambientalismo senza la lotta di classe è giardinaggio

Chico Mendes

Da diversi mesi il governo italiano come quelli dei principali paesi occidentali stanno organizzando la campagna vaccinale con la convinzione di poter così tornare alla normalità. Al di là della possibilità di bere una birra al bar o di mangiare una pizza al ristorante bisognerebbe capire cosa intendono lorsignori come normalità: continuare con le guerre, i bombardamenti, il commercio di armi, il landgrabbing, la distruzione ambientale dei paesi poveri per aumentare i profitti?

Se agli inizi del primo lockdown – nel marzo 2020 – giravano discorsi apparentemente critici verso l’insostenibilità sociale e ambientale del sistema economico capitalistico in cui viviamo, ora ad un anno e mezzo di distanza tali riflessioni e argomenti sono pressoché spariti. L’unico discorso ammesso sui principali media è la promozione della campagna di immunizzazione per poter tornare finalmente a lavorare, a produrre, a far riprendere a correre l’economia continuando ad arricchire i soliti noti, proprio come prima.

Allo stesso tempo sono sempre più numerosi i segnali di allarme che provengono dal pianeta. Lo scioglimento dei ghiacci ai poli e l’alterazione della corrente oceanica del Golfo del Messico sono due fra i più gravi. Dalla Siberia all’Amazzonia, dalla Grecia alla Turchia passando per Italia, Spagna e Algeria, negli ultimi anni sono milioni gli ettari di foresta andati in fumo nel corso di incendi dolosi appiccati per impiantare allevamenti intensivi di bovini o per arricchire speculatori e mafie più o meno legali.

Il capitalismo dei paesi occidentali, la sua continua necessità di cercare sempre nuovi mercati e di reperire materie prime a costi sempre minori, innesca guerre per favorire le proprie politiche predatorie ai danni dei paesi più poveri. Così è accaduto negli ultimi 20 anni in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Yemen e così accade oggi nei paesi dell’Africa subsahariana come Mali, Niger o Congo, dove contingenti militari europei e milizie addestrate o armate dall’Occidente vengono schierate per difendere gli interessi economici europei o nordamericani ovvero materie prime come minerali che abbondano nel sottosuolo africano.

La distruzione sistematica dell’ambiente da parte dell’uomo è alla base dell’alterazione del clima che sta provocando fenomeni atmosferici sempre più violenti e devastanti. La stessa pandemia legata al virus Sars-Covid 19 è legata alla distruzione degli ecosistemi in cui vivono gli animali selvatici.

Di fronte a questi cambiamenti epocali il vaccino rappresenta un piccolo cerotto del tutto insufficiente per fermare un’emorragia che, se non viene fermata in tempo, porterà in tempi brevi ad un collasso irreversibile il pianeta su cui viviamo.

Va da sé che non ci si può aspettare nulla dai padroni di industrie, della finanza, del commercio internazionale o dalla stessa classe politica che è direttamente responsabile e complice del disastro in cui stiamo vivendo e che al massimo tenta – attraverso politiche di greenwashing – di recuperare un certo dissenso istituendo il fantomatico Ministero della Transizione ecologica presieduto da Cingolani che – fra le altre cose – ha recentemente approvato nuove trivellazioni nel mare Adriatico alla ricerca di petrolio dicendosi inoltre disponibile a riavviare il programma nucleare, nonostante in passato due referendum nazionali si siano espressi contro.

La distruzione dell’ambiente è quindi il risultato di politiche economiche criminali che anche attraverso il landgrabbing e monocolture intensive stanno impoverendo e desertificando le terre di molti paesi africani costringendo sempre più persone all’emigrazione.

I responsabili – fra gli altri – sono istituti di credito come Unicredit, fra le principali banche compromesse con l’industria bellica e in progetti inquinanti ma anche aziende come la multinazionale italiana ENI, corresponsabile del disastro ambientale nel Delta del Niger o della guerra in Libia per citare due casi emblematici. Ricordiamo come anche nel nostro piccolo, a Bolzano, gli interessi di bottega legati al miliardario austriaco Benko arrivino, nel caso della costruzione del centro commerciale Waltherpark, a danneggiare la falda acquifera della città oppure a spingere per l’ampliamento dell’aeroporto di San Giacomo, indifferenti alla contrarietà di gran parte della popolazione.

Chi detiene il potere economico e politico rinuncerà ai propri interessi ciechi ed egoistici solo se costretto da una continua e ampia mobilitazione dal basso capace di individuare responsabilità e di colpire gli interessi che ci stanno avvelenando. Lo sciopero di oggi è un importante segnale, non fermiamoci.

CONTRO DEVASTATORI E SACCHEGGIATORI DELL’AMBIENTE: AGIRE ORA!

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[Bolzano] Oltre l’arresto di Max Leitner. Alcune note e riflessioni

Il contesto in cui è avvenuto il recente arresto di Max Leitner, noto ai più per le sue rapine a banche, furgoni portavalori e le numerose evasioni che lo avevano fatto diventare il Vallanzasca sudtirolese, ha fatto rimergere, al di là della sua biografia, un dato cui non è stato dato il necessario risalto: l’ennesima violenza nei confronti di una donna che avrebbe potuto trasformarsi nell’ennesimo femminicidio.

Certamente per i cronisti nostrani il dato eclatante del fatto che ha portato a ritenere utile scriverne un po’ più del solito era il nome di Leitner, non certo l’episodio in sé, riconducibile alle dinamiche che attraversano i cosiddetti bassifondi della città, vissuti da uomini e donne marginali come prostitute, vagabondi, immigrati irregolari, senzatetto la cui sorte solitamente non interessa alla Bolzano perbene.

La città di Bolzano negli ultimi anni ha visto lo sviluppo di un’isterica campagna securitaria costruita su episodi legati al cosiddetto decoro urbano ovvero piccoli atti di vandalismo, piccolo spaccio che ha preparato il terreno all’approvazione del progetto Waltherpark del miliardario austriaco Benko, venduto come progetto di riqualificazione urbana che avrebbe nei fatti portato all’espulsione del sottoproletariato immigrato che vive il parco della stazione. Oltre a ciò si sono avute continue ordinanze antidegrado e centinaia di telecamere a 360 gradi disseminate per la città trasformando di fatto il capoluogo sudtirolese in un set del Grande fratello.

Politicanti locali, legati in particolare alla Lega di Matteo Salvini e fascistoidi ma non solo, supportati da giornali, giornaletti e canali televisivi locali hanno cavalcato ogni piccolo episodio di cronaca in cui il protagonista era straniero per costruire e alimentare una diffusa percezione di insicurezza che ha portato sempre più persone a vedere nel senzatetto, nel marginale o nell’immigrato la causa della propria paura. Ciò è valido in particolare per la zona dei Piani di Bolzano, dove il tema della presenza di prostitute e di un centro di accoglienza per immigrati è stato negli anni sfruttato per alimentare la paura, costruire  consenso e raccattare voti.

Se leggiamo fra le righe ma senza sforzarcisi nemmeno troppo, l’episodio dell’arresto di Max Leitner dimostra per l’ennesima volta come a vivere ogni giorno nel vero terrore siano molto spesso le donne, in questo caso le prostitute che lavorano per le strade di Bolzano. Un tema che si presta molto meno alla propaganda spicciola e che – benchè abbia provocato in città e provincia una lunga scia di sangue e barbarie – non desta lo stesso allarme sociale riservato per esempio al parco della stazione per anni.

Vale la pena ricordare, per i troppi smemorati come nel corso degli anni in città siano accadute infamie di ogni tipo nei confronti delle prostitute, a contatto con le miserie e le frustrazioni di uomini che con il denaro, oltre alla prestazione sessuale, spesso ambiscono a comprare ed esercitare le proprie ambizioni di potere e dominio su una donna tout court.

Non occorre essere degli investigatori per immaginare la quantità di violenze fisiche e psicologiche, minacce e intimidazioni che le prostitute che spesso vediamo nelle vie della città vivono e subiscono quotidianamente. La paura che accompagna ogni nottata, dal momento della contrattazione del prezzo, alla salita in auto fino al momento della prestazione ed al ritorno a casa.

Fra le decine di donne uccise da mariti o fidanzati negli anni in Alto Adige di cui colpevolmente dimentichiamo senz’altro alcune (5 nel 2018: Monika Gruber, Nicoleta Caciula, Rita Pissarotti, Alexandra Riffeser, Maria Magdalena Oberhollenzer. Nel 2019 Fatima Zeeshan, incinta all’ ottavo mese, nel 2020 Barbara Rauch, nel 2021 Maria Waschler) ricordiamo come una parte particolarmente colpita dalla violenza maschile sono proprio le prostitute.

Non si possono dimenticare le vittime dell’assassino seriale bolzanino Marco Bergamo, il quale fra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta oltre alla giovanissima Marcella Casagrande, uccise a decine di coltellate la escort Annamaria Cipolletti e successivamente le prostitute Renate Rauch, Renate Troger e Marika Zorzi.

Nel settembre 2012 ai Piani di Bolzano, la giovane prostituta bulgara Svetla Fileva venne accoltellata 36 volte dal sudtirolese Kevin Montolli.

Nel 2015 il boscaiolo sudtirolese Klaus Rabanser venne condannato a 3 anni e 8 mesi per lo stupro di tre prostitute nigeriane. Oltre ai brutali pestaggi, in almeno un caso egli intimò alla donna di avere un rapporto orale sotto minaccia di un trapano acceso.

Nel giugno 2021 due giovani uomini rumeni sono stati condannati per sfruttamento della prostituzione avendo schiavizzato e sfruttato tre donne connazionali, costrette a vivere in condizioni disastrose in una tenda lungo il Talvera.

Basta fare una rapida ricerca su un motore di ricerca e la quantità di violenze commesse da uomini contro le prostitute in tutta Italia è agghiacciante: dalle rapine agli stupri di gruppo, dalle aggressioni, pestaggi, minacce fino alla tratta e al sistematico ricatto e sfruttamento. Data la condizione in cui si svolge tale attività oltre che la situazione irrregolare di molte donne straniere è facile immaginare come la stragrande maggioranza delle violenze da loro subite non venga neppure denunciata e di conseguenza non sia pubblica. Come abbiamo visto troppo spesso se è difficile denunciare per una donna garantita sotto ogni punto di vista (la paura di subire una vittimizzazione secondaria) figuriamoci per chi non ha soldi o documenti.

Se il contesto in cui è avvenuto l’arresto di Max Leitner conferma – a maggior ragione per chi ci ha avuto a che fare – come dell’aura a tratti mitica che circondava il suo nome alla prova dei fatti non rimane che il nulla, l’episodio di cronaca permette di evidenziare come l’unica vera emergenza sicurezza è legata alla condizione di molte, troppe donne; in particolare le prostitute che lavorano sulle strade, alla mercè dei peggiori istinti dell’uomo frustrato medio e delle miserie che lo caratterizzano. Un fatto su cui ragionare e riflettere, per capire come non lasciarle sole, per non farle sentire abbandonate.

Come ci hanno insegnato l’associazione GEA e le manifestanti che hanno portato solidarietà a MC sotto il Tribunale di Bolzano nei mesi scorsi, la solidarietà alle donne va data quando sono ancora vive; le panchine rosse, i discorsi retorici così come le mimose nelle feste comandate una volta all’anno non servono a nulla se non si è in grado di stare a fianco delle donne ogni giorno mentre sono ancora in piedi, riconoscendo il pericolo prima che diventino l’ennesimo femminicidio annunciato.

Combattere giorno per giorno la cultura dello stupro e il patriarcato che le prostitute subiscono ogni giorno senza voltarci dall’altra parte è il minimo che possiamo fare.

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[Waltherpark-Bolzano] Danni alla Falda. Da tre mesi cantiere allagato

In un articolo pubblicato sul sito Salto.bz il 22 giugno 2021 l’attivista bolzanino Claudio Campedelli – da anni impegnato a fondo nella lotta contro  devastazioni come il tunnel del Brennero e progetti nocivi  che danneggiano ambiente e salute – aveva avuto modo di denunciare come all’interno del cantiere del Walther park a Bolzano i lavori di scavo delle fondamenta del centro commerciale Waltherpark avessero intercettato la falda acquifera provocando l’allagamento del cantiere e di conseguenza il rallentamento dei lavori.

Foto del giugno 2021 presa da salto.bz

Circa tre mesi dopo il cantiere è ancora allagato ed è evidente come la fonte idrica da cui attinge l’acquedotto cittadino rischi così di riportare delle gravi conseguenze sulla qualità dell’acqua.

Un sogno per ricchi e per chi specula e come sempre perdite e danni vengono socializzati

foto scattata alla fine di agosto 2021

Foto scattata a fine agosto 2021

Foto scattata a fine agosto 2021

Sul giornale Alto Adige Heinz Hager, consulente della società Signa nonché braccio destro del miliardario Renè Benko, attribuisce l’incidente al “cambiamento climatico” e ribadisce per l’ennesima volta come i paletti legali ed una serie di atteggiamenti “poco collaboranti” da parte di alcuni uffici provinciali, a suo avviso metterebbero a rischio lo “sviluppo” della città ovvero la costruzione di nuove grandi opere che inevitabilmente andrebbero a toccare la falda che rifornisce di acqua potabile gli abitanti della città di Bolzano.

Detto in modo più schietto e banale Hager vorrebbe avere per i cantieri della sua società mani libere e se viene bucata la falda tanto peggio per la falda…che vengano azionate le pompe. 

Dal giornale locale “Alto Adige 12 settembre 2021

E’ bene ricordare a chi ha la memoria corta che per fare approvare il progetto del Kaufhaus è stata fatta finire anzitempo una legislatura del consiglio comunale, sono state invalidate votazioni dello stesso ed è stato necessario ricorrere ad un referendum farsa spalmato su 5 giorni in cui le forze in campo erano impari. Chi deteneva un capitale finanziario immenso come Signa, supportata dai principali media locali come Alto Adige e Dolomiten, ebbe gioco facile nel costruire una narrazione che – supportata pressochè da tutti i partiti, dal PD-SVP ai neofascisti di CasaPound – vedeva nell’espulsione di poveri e marginali dal parco della stazione e nella trasformazione della zona in un luogo “pulito e decoroso” la panacea di tutti i mali della città. 

Come al solito chi protestava contro chi ha messo “le mani sulla città” vedeva giusto.

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[Afghanistan] Le loro guerre, i nostri morti. Un testo distribuito a Bolzano

Riportiamo di seguito un testo distribuito a Bolzano per tentare di smontare la retorica dell’occupante buono che negli ultimi giorni sta venendo costruita sui principali media. La precipitosa fuga dei soldati occidentali da Kabul chiude – almeno provvisoriamente – un capitolo della guerra infinita iniziata dopo l’11 settembre che ha portato al radicale impoverimento ed alla destabilizzazione di un’intera area geografica e politica e ad una marea montante di islamofobia nel mondo occidentale cavalcata in particolare da partiti razzisti e fascistoidi come Lega e Fratelli d’Italia per fomentare paura e costruire consenso agitando lo spettro del musulmano cattivo terrorista (ricordiamo che negli anni in Italia le uniche stragi o tentate stragi di matrice politica sono di stampo fascista e razzista vedi il militante di CasaPound Gianluca Casseri a Firenze nel 2011 ed il fascioleghista Luca Traini a Macerata). Guerra in cui lo Stato italiano e il suo esercito – apprendisti stregoni sulla pelle dei proletari afghani – sono stati partecipi fin dall’inizio e delle cui nefaste conseguenze devono assumersi la responsabilità morale.

Per un approfondimento consigliamo la lettura del seguente articolo:

Afghanistan: Una disfatta storica per gli Stati Uniti e l’Italia. E ora?

Le montagne afghane si rivelano ancora una volta la tomba dell’Impero

LE LORO GUERRE, I NOSTRI MORTI

Un contributo al dibattito

“Ora avviene che quando un colonizzato sente un discorso sulla cultura occidentale, tira fuori la roncola o per lo meno si accerta che gli è a portata di mano. La violenza con la quale si è affermata la supremazia dei valori bianchi, l’aggressività che ha impregnato il vittorioso confronto di quei valori coi modi di vivere o di pensare dei colonizzati fan sì che, per un giusto capovolgimento, il colonizzato sogghigna quando si evocano davanti a lui quei valori. Nel contesto coloniale, il colono non si ferma nel suo lavoro di stroncamento del colonizzato se non quando quest’ultimo ha riconosciuto a voce alta e chiara la supremazia dei valori bianchi. Nel periodo di decolonizzazione, la massa colonizzata se ne infischia di quegli stessi valori, li insulta, li vomita a gola spiegata”

Frantz Fanon, I dannati della Terra

Nelle ultime settimane, in seguito alla disfatta politica e militare della coalizione occidentale in Afghanistan, all’aeroporto di Kabul è in corso una caotica ritirata in cui gli Stati Uniti in particolare stanno cercando di rimpatriare i propri soldati, i collaborazionisti afghani compromessi con l’occupazione occidentale nonché le migliaia di contractors statunitensi, ossia mercenari privati pagati per compiere operazioni militari segrete per conto degli eserciti occupanti. Nessuno creda che le operazioni di fuga siano dettate da un pur minimo slancio umanitario: chi si imbarca è selezionato in una cerchia determinata di persone, si tratta di salvare il poco che rimane della propria faccia, almeno di fronte alle migliaia di afghani che, per denaro, ingenuità o costrizione, in questi anni si sono compromessi con gli occupanti e le sue istituzioni costruite sulla sabbia, crollate infatti con un soffio di vento.

Un caos determinato dagli invasori ma intorno a cui negli ultimi giorni i principali media nazionali stanno costruendo una stucchevole narrazione mistificatoria (Il marine che aiuta i bambini, il console che salva i bambini, ecc.) che ha l’obiettivo di nascondere e far dimenticare la bruciante sconfitta subita ad opera dei talebani, barbari che non hanno saputo cogliere la lezione di civiltà democratica dispensata a suon di bombardamenti con jet e droni, massacri di civili e torture inflitte a volte per gioco, come emerso nel caso dei soldati australiani, responsabili di sadiche azioni contro inermi civili afghani. Una narrazione tossica funzionale alla giustificazione di un fallimento durato 20 anni in cui i lavoratori italiani ma non solo, mentre veniva tagliata la sanità e la scuola, hanno dovuto mantenere con oltre 8 miliardi di euro una struttura militare parassitaria che si è resa corresponsabile della costruzione di uno Stato fantoccio corrotto ad ogni livello e percepito come tale da gran parte della società afghana.

Venti anni di occupazione di uno dei paesi più poveri al mondo che ha prodotto 240.000 civili uccisi fra civili (grande maggioranza) e guerriglieri, almeno un milione di persone che vivranno il resto della vita con disabilità permanente oltre a 5,5 milioni di sfollati interni e profughi in Pakistan, Iran e decine di altri paesi (una minima parte in Occidente). Inoltre, al di là della propaganda mediatica, la condizione delle donne non è affatto migliorata, anzi le piccole (e ristrette a piccole cerchie privilegiate della società afghana) concessioni degli occupanti verranno con ogni probabilità fatte pagare a chi rimane dai nuovi padroni del Paese. E così, come in un sadico gioco dell’oca organizzato dalle potenze occidentali, la lotta per l’emancipazione delle donne e degli uomini afghani – che avverrà solo per opera loro e con la solidarietà internazionalista dal basso, non certo attraverso i bombardamenti della NATO – torna indietro, rendendo il loro percorso futuro più arduo e difficile.

L’invasione e l’occupazione dell’Afghanistan, avvenuta nell’ottobre 2001 rappresentò l’iniziò della cosiddetta guerra al terrorismo iniziata dopo l’attacco alle torri gemelle di New York. Come ricordò lo stesso Gino Strada – fra i pochi, pochissimi, che negli anni ha mantenuto un’integrità antimilitarista denunciando spesso nel silenzio la tragedia della guerra afghana – mentre destra e sinistra in Parlamento riferivano le menzogne su cui giustificare il continuo finanziamento della guerra permanente, chi allora scendeva in piazza contro un’annunciata criminale operazione militare veniva accusato di essere filotalebano. Lo stesso schema propagandistico mediatico venne utilizzato da politica e media ufficiali per giustificare due anni più tardi, l’invasione dell’Iraq costruita su spudorate falsità che portò alla distruzione di un paese ricco di risorse ed alla generale destabilizzazione di un’area – il Medio Oriente – tutt’oggi in uno stato di guerra permanente. Nel 2011 le attenzioni occidentali, e la sete di profitto delle multinazionali petrolifere, si rivolsero alla vicina Libia che, sotto l’egida delle nazioni unite, venne bombardata dall’aviazione occidentale con la complicità italiana e trasformata in un lager a cielo aperto, governato da milizie che negli anni hanno trovato nei lager per immigrati un business di grande profitto. La Siria da oltre 10 anni è oggetto di una guerra mondiale per procura in cui decine di Stati sono intervenuti finanziando milizie oppure bombardando per fini di consenso interno. Lo Yemen è un paese devastato dalle bombe prodotte in occidente (fra cui la RWM in Sardegna) e sganciate dall’Arabia Saudita, alleato dell’Occidente e in cui evidentemente alla destra razzista e alla sinistra guerrafondaia – Renzi in testa – la condizione della donna non suscita grande sdegno.

La retorica della guerra al terrorismo – sviluppatasi in particolare dopo l’11 settembre – ha costituito l’ipocrita sovrastruttura ideologica dietro a cui Stati, Comandi militari e multinazionali occidentali hanno nascosto la propria politica predatoria che in 20 anni ha prodotto un radicale impoverimento della popolazione dei paesi coinvolti oltre che un terreno fertile per la rapida diffusione del fondamentalismo islamico, il singhiozzo di una creatura oppressa, a cui migliaia di giovani – in mancanza di valide alternative – si sono aggrappati per tentare di resistere a delle aggressioni militari di stampo neocoloniale.

La cosiddetta guerra al terrorismo in 20 anni ha prodotto centinaia di migliaia di morti nei paesi coinvolti, in gran parte civili, decine di milioni di profughi intorno a cui la destra neofascista e xenofoba ha costruito il proprio consenso anche se, come abbiamo visto con Minniti ministro dell’Interno, la sinistra istituzionale del PD non è stata molto diversa nel momento in cui non si è fatta alcun problema nello stringere accordi con milizie di tagliagole libici e aguzzini gestori di lager in cui si praticavano sistematicamente torture e stupri.

Non accettiamo una retorica ufficiale che oggi cerca di coprire le gravissime responsabilità delle democrazie occidentali e dei comandi militari strumentalizzando a proprio uso e consumo la condizione delle donne afghane, di cui a Bush come a tutti i presidenti via via succedutesi in Occidente non importa nulla se non come argomenti per la propria propaganda bellica.

Nemici del capitalismo e delle sue guerre

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