Quel trenta luglio 1970 alla Ignis di Trento. 50 anni fa.

Dei fatti avvenuti in Trentino negli anni Sessanta/Settanta, oltre alle lotte nate all’interno della facoltà di Sociologia di Trento ed il percorso politico successivo di alcuni suoi studenti, un episodio che colpì l’immaginario di compagni e compagne di tutta Italia fu la cosiddetta gogna che il 30 luglio 1970 venne fatta fare per le strade di Trento ai neofascisti Andrea Mitolo e Gastone del Piccolo.

Non avrebbe senso raccontare quell’episodio se non preceduto da una breve contestualizzazione in grado di far comprendere a chi legge il clima che si era venuto a creare a Trento nel periodo precedente. Solo pochi mesi prima, il 12 dicembre 1969, una bomba esplose in piazza Fontana a Milano e il movimento operaio e studentesco annusò subito l’aria che tirava attribuendo la responsabilità morale e politica di tale strage allo Stato. Dopo quella bomba nulla è come prima e sempre più compagni e compagne capiscono che ci sono settori più o meno oscuri del potere che pur di frenare e respingere l’avanzata delle rivendicazioni proletarie sono disposti a tutto, anche a compiere stragi per sfruttare il terrore, la paura della popolazione ed il conseguente bisogno di “sicurezza” che arriverebbe a far accettare possibili svolte autoritarie dello Stato.

In questo periodo, fra il 1970 ed il 1971, la città di Trento fu teatro di attentati dinamitardi e fatti mai del tutto chiariti ma che si possono ricollegare direttamente ad una volontà di creare, anche per mezzo della manovalanza neofascista, un clima di terrore per costringere a indietreggiare il movimento di classe e gli studenti della facoltà di Sociologia.

Ecco una breve cronologia di alcuni fatti significativi avvenuti in Trentino prima del 30 luglio 1970, dove la situazione degenerò in particolare dopo l’apertura della sede di Avanguardia Nazionale per opera di Cristiano De Eccher, uomo legato al nazista Franco Freda e alle sue edizioni AR. Negli anni successivi politico missino e poi deputato di Alleanza Nazionale, ricordato per il suo tentativo, nel 2011, di proporre una riforma costituzionale per abolire la XII norma della Costituzione italiana, che vieta “la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”.

-Nel gennaio 1970 l’Associazione degli Industriali tenta, senza riuscirci grazie all’opposizione ei sindacati, di accreditare il sindacato neofascista della Cisnal al tavolo degli incontri nella vertenza sindacali delle operaie tessili della Brinkmann.

-Il 26 gennaio 1970 la sede del Partito Socialista Italiano (PSI) di Trento è oggetto di un attentato incendiario rivendicato da scritte neofasciste.

-Il 12 febbraio, per la quarta volta, anonimi fascisti tentano di dare fuoco alla sede del Comitato di Quartiere di San Pietro.

-Il 23 marzo militanti del gruppo neofascista Avanguardia Nazionale [AN] si presentano armati di bastoni davanti al liceo Prati, a scopo intimidatorio contro compagni del movimento studentesco.

-Il 1° aprile quinto attentato incendiario contro la sede del Comitato di Quartiere di San Pietro. Vengono distrutti manifesti, tabelloni, fotografie che denunciavano la speculazione urbanistica del quartiere.

-Il 2 aprile la Cisnal, tenta di inserirsi nell’assemblea sindacale della fabbrica Michelin, ma è respinta ai cancelli dagli operai.

-Il 4 aprile viene commesso un attentato alla sede di un gruppo politico antifascista a Mezzolombardo.

-Il 5 aprile due croci runiche sono tracciate sulla sede del sindacato UIL di Trento, il giorno seguente anche le sedi del PCI e del PSIUP sono coperte dalle stesse scritte con lo stesso simbolo, adottato da AN.

-Il 7 aprile un altro attentato incendiario viene commesso contro la sede di un altro gruppo della sinistra di Mezzolombardo.

-Il 10 aprile nell’aula 3 della Facoltà di Sociologia è fatta esplodere una bomba che provoca il crollo della porta d’entrata e gravi danni.

-Il giorno seguente viene inaugurata la sede di Trento del Movimento Sociale Italiano [MSI]. Un giorno pieno di tensioni a Trento con i neofascisti di Avanguardia Nazionale guidati da De Eccher che durante un volantinaggio fuori dal liceo classico Prati di Trento, armati di bastoni, aggrediscono alcuni studenti, poi ricoverati in ospedale. Lo stesso giorno nel pomeriggio altri 3 studenti vengono aggrediti nei pressi di via Santa Maddalena, dove si trova la sede di Avanguardia Nazionale. A questo punto una grande manifestazione spontanea di studenti e abitanti del quartiere assediano fino a notte inoltrata la sede di AN.

Nel frattempo il giornale l’Adige legato alla DC di Flaminio Piccoli, dietro al paravento di una campagna “contro la violenza”, orchestra continui attacchi giornalistici contro le varie anime della sinistra e gli studenti di Sociologia.

-Il 30 aprile un attentato neofascista colpisce il monumento a Degasperi mentre il giorno seguente la Questura vieta una manifestazione ed un’assemblea popolare tenuta del Movimento Studentesco. Ciònonostante il corteo viene fatto.

In questo clima, a Gardolo, il 15 maggio apre la fabbrica Ignis, dentro sono impegnati almeno 600 operai su tre turni. Pochi giorni dopo, grazie ad una dura lotta, viene approvato lo Statuto dei lavoratori, all’interno della fabbrica si elegge il Consiglio in cui sono presenti anche operai di Lotta Continua, i cui militanti esterni sono spesso presenti ai cancelli per volantinare agli operai duranto il cambio turno. Nello stesso periodo dure lotte operaie si svilupparono alla Grundig di Rovereto.

Cosa successe il 30 luglio 1970?

Verso le ore 13 doveva aver luogo presso la stabilimento Ignis di Spini di Gardolo una assemblea del sindacato neofascista Cisnal. I lavoratori della fabbrica si organizzarono per impedirne lo svolgimento. A dar manforte agli esponenti del sindacato fascista arrivano picchiatori missini e di Avanguardia Nazionale provenienti da tutta la Provincia, ma anche dal Veneto e da Bolzano. Ecco i fatti nella testimonianza di un operaio pubblicata su un opuscolo/inchiesta di Lotta Continua:

Mi trovavo alle 12.20 sul posto davanti ai cancelli. Appena arrivato ho scorto una trentina di persone, arrivate con macchine targate TN, BZ, VR, con una fascia tricolore la braccio chiaramente riconoscibili come fascisti. Io e alcuni compagni di Lotta Continua che distribuivano un volantino ci siamo messi dal lato opposto dei cancelli con l’intenzione di rifiutare ogni provocazione da parte dei fascisti.[…] In quel momento stava arrivando un compagno operaio dell’Ignis che fu deriso e beffeggiato dai fascisti. […] Improvvisamente i fascisti lo rincorsero all’interno dello stabilimento pestandolo come bestie inferocite. Mentre tutto questo stava accadendo, sul posto si trovava una 850 Fiat con tre poliziotti in borghese a bordo, una macchina della volante e una del pronto intervento, che non hanno mosso un dito per evitare il linciaggio. Appena l’operaio cadde a terra, livido dalle botte, lo raccogliemmo e lo trasportammo dietro la cancellata, dentro lo stabilimento. Intanto sopraggiungevano altri operai che dovevano entrare per il secondo turno. Visti i fatti corsero in fabbrica gridando: “Stanno massacrando il nostro compagno di lavoro!”. In pochi minuti tutti gli operai erano davanti ai cancelli e quando invitarono i fascisti ad andarsene, ebbero per risposta una fitta sassaiola. Gli operai avrebbero voluto rispondere ma i fascisti erano barricati proprio dietro le nostre macchine. Ci fu un attimo di pausa. Ad un tratto furono scagliati contro di noi due ordigni che esplosero. Tutto questo provocò da prima panico tra di noi, ma subito fummo tutti decisi a cacciare via questi rpvocatori fascisti che, ci tengo a specificare, avevano nelle mani bastoni, catene e sassi. Avanzavamo piano piano invitando ancora i fascisti ad andarsene, ma alla distanza di circa dieci metri da loro, la risposta fu un’altra sassaiola. Una donna cadde colpita in piena fronte da un sasso e così successe per altri operai. Questo scatenò la nostra rabbia e si arrivò ad un corpo a corpo : fu allora che i fascisti estrassero i coltelli e colpirono due operai: uno al ventre e l’altro alla schiena mentre era caduto a terra. Poi i fascisti fuggirono per la campagna, ma due riuscimmo a fermarli. Decidemmo di fare un corteo e portarli fino a Trento. La polizia, tanto per precisare da che parte stava, caricò per ben due volte il corteo.”

Gli operai della Ignis accoltellati furono Paolo Tenuta e Adriano Mattivi.

Poco dopo la fine degli scontri, nel momento in cui la rabbia aveva raggiunto le stelle, comparvero di fronte ai cancelli il consigliere regionale del MSI Andrea Mitolo e il dirigente locale missino Ceccon, chiamato da Del Piccolo. Riconosciuti dagli operai, i neofascisti vennero circondati e nella borsa di Del Piccolo venne ritrovata un’ascia. La goccia che fece traboccare il vaso.

Il passaporto di Gastone Del Piccolo e l’accetta trovati nella sua borsa. Archivio dell’Università di Trento (fondo Giorgio Salomon)

Come riportato anche nei verbali del Processo che venne successivamente fatto:

L’Avv. Mitolo e il Del Piccolo venivano costretti a porsi alla testa del corteo con le mani dietro la nuca. Aveva così inizio per essi una specie di via Crucis. Dovettero infatti percorrere, assoggettati a periodici insulti, sputi, percosse […] la lunga strada di accesso alla città e quindi le centrali vie cittadine sino all’ospedale civile, per un totale di quasi 9 km.”.

Archivio dell’Unversità di Trento (fondo Giorgio Salomon)

Archivio dell’Unversità di Trento (fondo Giorgio Salomon)

Il corteo, composto da circa 400 fra operai e studenti, parte, a un certo punto arrivano voci drammatiche che parlano della possibile morte di uno degli operai accoltellati, la rabbia è tanta, due cartelli vengono appesi al collo dei due neofascisti. A Del Piccolo viene fatto portare il cartello con la scritta: “Siamo fascisti. Oggi abbiamo accoltellato 3 operai della Ignis. Questa è la nostra politica operaia. All’avvocato neofascista bolzanino, nonché ex repubblichino, Andrea Mitolo, viene invece fatto portare il cartello recante la scritta: “Siamo fascisti. Oggi abbiamo acoltellato 3 operai Ignis. Questa è la nostra politica pro operai”.

immagine di presentazione articolo

Archivio dell’Università di Trento (fondo Giorgio Salomon)

Archivio dell’Università di Trento (fondo Giorgio Salomon)

Archivio dell’Università di Trento (fondo Giorgio Salomon)

Archivio dell’Università di Trento (fondo Giorgio Salomon)

Racconta il sindacalista, allora operaio alla Ignis, Bruno Bernabé in una testimonianza pubblicata nel libro di Sandro Schmid intitolato 30 Luglio 1970: “Io facevo il secondo turno. Quindi sono arrivato con la mia macchina 15-20 minuti prima delle 14.  La confusione era totale. Grida e urla fra gli operai e i neofascisti. Gli scontri erano già in corso, ho visto i neofascisti armarsi di catene di ferro e bastoni. Poi gli scoppi delle bombe lanciate nel piazzale della Ignis verso gli operai. […] nel parapiglia sono colpiti tre operai che cadono riversi a terra pieni di sangue. Gli operai sono subito portati via dalle ambulanze verso l’ospedale. Pensavamo al peggio. […] Nel frattempo arrivano Prevè Ceccon e Mitolo, assieme a Del Piccolo (che li aveva avvisati). Sono riconosciuti. Nela breve coluttazione a Del Piccolo Sfugge la borsa. Un operaio la apre. Dentro c’era un’accetta e il passaporto. Gli animi si scaldano ancora di più. Prevè Ceccon viene caricato in macchina dalla polizia. Gli altri due pagano per tutti. La rabbia operaia è alle stelle. […] Che fare? Non era facile prendere una decisione. Nonostante la pioggia battente decidiamo tutti: portiamo Mitolo e Del Piccolo fino al Tribunale. Così avremmo potuto testimoniare cosa significa autorizzare l’ingresso in fabbrica, contro la volontà degli operai, del sindacato della Cisnal e il vero volto dell’aggressione neofascista e l’accoltellamenteo dei nostri tre compagni operai. Giusta o sbagliata questa è stata la decisione di tutti. […] Gli episodi e gli insulti più pesanti nei confronti di Mitolo e Del Piccolo, sono stati quando lungo la via Brennero siamo passati davanti alle fabbriche la Ferriera e la Prada. L’eco degli avvenimenti era già arrivato prima del corteo. ‘I fascisti hanno accoltellato tre operai della Ignis’ era il succo della notizia. Gli operai della Ferriera e della Prada al sopraggiungere del corteo sono usciti dalle fabbriche. Diversi avevano subito angherie e persecuzioni durante il fascismo. La loro rabbia era incontenibile, sono volate pesanti frasi ingiuriose, spinte e qualche sputo, impossibile frenarli. Il resto degli accadimenti è noto. All’Ospedale S. Chiara entra una delegazione con Giuseppe Mattei, per avere notizie sui tre operai feriti. Mattei riferisce che i tre sono sicuramente fuori pericolo e con noi tenta di dare uno sbocco alla manifestazione con la parola d’ordine di portare i due ostaggi in Questura. […] Nei pressi della Questura abbiamo così consegnato i due al brigadiere Raja, che li ha presi in consegna.”

Archivio dell’Unversità di Trento (fondo Giorgio Salomon)

Chi era Andrea Mitolo?

Durante la guerra, dopo l’8 settembre 1943 aderì alla Repubblica di Salò, combattendo al fianco della truppe naziste fino all’ultimo giorno. Fondatore della sezione bolzanina del Movimento Sociale Italiano, il neofascista fu rappresentante del MSI nel consiglio della Regione Trentino Alto Adige dal 1948 al 1973. Nel 1972 venne accusato di essere tra i finanziatori di un campo di addestramento paramilitare fascista a Passo Pennes. Nel 1974 venne eletto nel consiglio comunale di Bolzano, mentre nel 1987 fu eletto deputato nel Parlamento, fino alla morte, avvenuta nell’agosto 1991. Nella sua carriera di avvocato penalista difese, fra gli altri, noti picchiatori fascisti come Carlo Trivini, assassino nel 1971 di un cameriere del locale notturno di via Resia a Bolzano e successivamente trafficante di eroina, e militari come il tenente Palestro, incriminato nel 1972 per la morte in Val Venosta di 7 militari di leva, seppelliti da una slavina.

Il 2 agosto 1970, sulle colonne del Giorno il giornalista Giorgio Bocca scrisse “L’avvocato Andrea Mitolo è una mia vecchia conoscenza: lo facemmo prigioniero ufficiale fascista nel ’45 in una valle del Cuneese. Aveva combattuto assieme ai nazisti fino all’ultimo giorno. L’ordine sarebbe stato di fucilarlo visto che aveva le armi in pugno al momento dell’arresto, ma lo facemmo tornare a casa sua a Bolzano, dove a tavolino si mise a stendere una denuncia alla Magistratura contro di noi per omicidio e strage (in Trentino Alto Adige c’era ancora l’Alpenverland). C’è da credere che ora stia denunciando gli operai che non hanno risposto alle coltellate con le coltellate dei suoi sgherri perché è un uomo che crede nell’odio”.

A conferma del personaggio che Andrea Mitolo fu va ricordato come, oltre al suo passato nazifascista, egli non smise mai di abbracciare tali aberranti idee, continuando, con i mezzi messi a sua disposizione dal nuovo corso democratico a mistificare la storia e infangare la Resistenza. Ancora in una lettera da lui inviata e poi pubblicata sul quotidiano Alto Adige il 26 luglio 1975 Mitolo affermò come la condanna a 30 anni del partigiano Johann Pircher e la sua permanenza in carcere fino agli Settanta era ineccepibile dal punto di vista giuridico, negando –ovviamente– le fondamenta ideali e le ragioni storiche del suo agire e della sua scelta resistenziale. Curioso che un reduce nazifascista come Mitolo si appellò a cavilli giuridici e regolarità processuali per giustificare la condanna a vita di un partigiano. Assurdo vedere che chi collaborava e combatteva con chi costruiva Auschwitz puntava il dito invocando il carcere per chi si era ribellato, in condizioni impossibili come quelle presenti in Sudtirolo, agli orrori di cui lo stesso Mitolo era protagonista e servitore. Eppure anche questo è uno dei tanti paradossi e delle profonde ingiustizie che attraversarono questo paese, e questa Provincia.

Cosa successe dopo

Dopo i fatti della Ignis continua la campagna mediatica e politica tesa a delegittimare l’attività politica dei movimenti extraparlamentari e la presenza stessa degli studenti di Sociologia. Anche l’attività neofascista non si ferma: il 10 settembre venne compiuto un attentato alla linea ferroviaria del Brennero aTrento Sud. Rivendica il sedicente gruppo neonazista Mar -Movimento d’Azione Rivoluzionaria- che proclama: “Via Sociologia o Trento brucerà”.

Il 4 ottobre successivo vengono compiuti 3 attentati dinamitardi nei principali cinema di Trento. Lotta Continua attribuisce la responabilità degli attentati ad Avanguardia Nazionale. Nei mesi seguenti lotte operaie attraversano Trento, mentre i fascisti proseguono la loro attività di mazzieri con l’aggressione dell’ottobre 1970 contro alcuni studenti al caffè Italia in piazza Duomo. L’azione è rivendicata sul giornale missino Secolo d’Italia. Nel gennaio 1971 un attentato colpisce la sede del movimento studentesco in via Prati mentre due giorni dopo viene fatta esplodere l’auto del sindacalista trentino Giuseppe Mattei, della Cisl, contemporaneamente viene fatta esplodere una bomba davanti al collegio universitario di Corso Buonarroti.

Il 18 gennaio 1971 al monumento alla Resistenza di fronte al Tribunale di Trento, viene forse sventata una potenziale strage: fu ritrovata infatti, in una sacca sportiva, una potente bomba al plastico. Il giorno successivo nella stessa piazza era prevista una manifestazione studentesca.

Il processo venne però rinviato e così la bomba non serviva più: un intreccio di telefonate anonime aveva fatto così rinvenire la bomba. Un’inchiesta di Lotta Continua rivelò come dietro alla bomba c’era lo zampino di numerosi uomini di Stato che vennero coinvolti poi in un indagine processuale a riguardo. Come scritto anche dalla commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia del 1992: “Nell’ambito delle inchieste che riguardarono la strage vennero arrestati il colonnello del SID Pignatelli, il colonnello dei carabinieri Santoro, il vice-questore della polizia Molino e i confidenti dei tre servizi segreti Zani e Widmann. Furono tutti assolti nel prosieguo dei processi, ma nel corso dì quell’istruttoria vennero comunque alla luce le reti operative dei servizi di sicurezza, sperimentate in Alto Adige negli anni ’60 e trasferite di peso nel Trentino degli anni ’70 e anche sul piano nazionale.”

La gogna a Mitolo e Del Piccolo fu conseguente all’esasperante attività squadrista che oltre agli studenti ed ai militanti, colpiva anche gli operai ed i sindacalisti. Il fatto che un consigliere regionale come Andrea Mitolo ed i suoi sgherri si presentasse fuori da una fabbrica in cui erano appena stati accoltellati degli operai dai suoi camerati, con un’accetta nella borsa di Del Piccolo fu la goccia di troppo che portò tutti a dire basta. Un tassello di lotta operaia da conoscere e ricordare, da inserire nel campo più ampio delle lotte del tempo, in cui, dopo piazza Fontana, le regole del gioco cambiarono, ed attraverso l’utilizzo di provocatori legati a gruppuscoli nazifascisti, la borghesia tentava di disarticolare e condizionare obiettivi e modalità di lotta dei proletari e delle loro diverse organizzazioni. 

 

La vasta eco che il fatto suscitò in tutta Italia fu fonte di ispirazione di una canzone tratta dal canzoniere pisano:

Trenta luglio alla Ignis

Questa mattina, davanti ai cancelli
sono arrivati trenta fascisti:

erano armati di bombe e coltelli,
questi di Borghi son gli squadristi.

Han cominciato tirando sassi

contro i compagni di un capannello;
alle proteste han risposto sparando:

tre ne han feriti con il coltello.

Noi operai gli siam corsi dietro
ma quei vigliacchi sono fuggiti,

approfittando della confusione
mentre portiamo in salvo i feriti.

Subito dopo la vile aggressione

ecco arrivare due capi fascisti;
van con la borsa dal porco padrone

a prender la paga pei loro squadristi.

Li abbiamo presto riconosciuti:
uno è Del Piccolo, quell’assassino,

e l’altro è Mitolo, capo fascista,
torturatore repubblichino.

Dentro la borsa, coi passaporti,

hanno una scure ben affilata:
questa è la prova che i due compari

la sanno lunga su come è andata.

Gli abbiamo fatto alzare le mani,
gli abbiamo messo al collo un cartello

con sopra scritto: « Siamo fascisti,
facciam politica con il coltello ».

E dalla Ignis fino in città,

mentre tremavano per la vergogna,
li abbiam portati in testa al corteo

e tutta Trento li ha messi alla gogna.

E in fin dei conti vi è andata bene,
perché alla fine della passeggiata

quella gran forca che meritate
non ce l’avete ancora trovata.

Cari compagni, quella gran forca

dovremo farla ben resistente,
per impiccarci, assieme ai fascisti,

il padron Borghi porco e fetente.

Cari compagni, quella gran forca
dovremo farla ben resistente

per impiccarci, assieme ai fascisti,
ogni padrone, porco e fetente.”

 

 

Riferimenti bibliografici:

Sandro Schmid, Luigi Sardi, 30 luglio 1970, storia della Ignis e del neofascismo trentino

Maurizio Gretter, Le Bombe di Trento, in: “Controinformazione”, anno IV, n. 9/10, novembre 1977.

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