Processo per i fatti del Brennero. Un processo politico. Alcune considerazioni.

“Che cos’è un uomo in rivolta? Un uomo che dice no. Ma se rifiuta, non rinuncia tuttavia: è anche un uomo che dice di sì, fin dal suo primo muoversi. Uno schiavo che in tutta la sua vita ha ricevuto ordini, giudica ad un tratto inaccettabile un nuovo comando. Qual’è il contenuto di questo no? Significa, per esempio “le cose hanno durato troppo”, “fin qui sì, al di là no”, “vai troppo in là” e  anche “c’è un limite oltre il quale non andrai”. Insomma questo no afferma l’esistenza di una frontiera.”

“Nell’esperienza, assurda, la sofferenza è individuale. A principiare dal moto di rivolta, essa ha coscienza di essere collettiva, è avventura di tutti. Il primo progresso di uno spirito intimamente straniato sta dunqe nel riconoscere che questo suo sentirsi straniero, lo condivide con tutti gli uomini, e che la realtà umana, nella sua totalità, soffre di questa distanza rispetto a se stessa e al mondo. Il male che un solo uomo provava diviene peste collettiva. In quella che è la nostra prova quotidiana, la rivolta svolge la stessa funzione del “cogito” nell’ordine del pensiero: è la prima evidenza. Ma questa evidenza trae l’individuo dalla sua solitudine. E’ un luogo comune che fonda su tutti gli uomini il primo valore. Mi rivolto, dunque siamo.”

Albert Camus “L’uomo in rivolta”

Molte volte, a scuola, al lavoro e nelle piazze, ci siamo chiesti come è stato possibile che in passato siano accaduti orrori come l’olocausto, le persecuzioni razziali, i genocidi, le torture di massa, le pulizie etniche ecc. Come è stato possibile che determinati crimini venissero perpetrati sotto gli occhi di tutti e che, nell’annichilimento generale, nessuno facesse niente?

Come è stato possibile arrivare alle leggi razziali, alla costruzione, nel caso del nazifascismo, di un sistema industriale per cancellare dalla terra interi popoli? Come è stato possibile, ieri come oggi, permettere ai governi di trascinare milioni di persone in immensi conflitti e convincere le masse che venivano fatti nel loro interesse? Come è stato possibile che nessuno, o solamente pochi, abbiano trovato il coraggio di opporsi, spesso pagando il prezzo più alto, mentre la maggioranza stava a guardare? Quali sono stati i passaggi storici che hanno preparato il terreno, prima nelle coscienze e poi nella realtà, attraverso dispositivi giuridici, al compimento di tali orrori? Siamo sicuri che oggi, in un momento in cui parole d’ordine e pratiche razziste vengono sistematicamente sdoganate, sapremmo opporci alle stesse ingiustizie? In che modo? 

Non troveremo le risposte a queste domande fra le righe di un codice penale, lo stesso attraverso cui, la Procura di Bolzano intende, attraverso l’articolo 419 del codice fascista Rocco, seppellire sotto oltre 300 anni di carcere 63 compagni e compagne che sono scesi in strada al Brennero nel maggio 2016. 

“Abbattere le frontiere-Grenzen Niederschlagen” Brennero 7 maggio 2016

Coloro che sono scesi in strada al Brennero oltre 4 anni fa erano mossi dalla consapevolezza che il principale alleato di chi costruisce progetti grondanti di sangue è l’apatia e la paura dei proletari. Vi era la consapevolezza che soltanto con un po’ di generosità, slancio e decisione sarebbe stato possibile inceppare la tragica normalità con cui gran parte delle persone diviene spettatrice di aberrazioni di ogni tipo e dimostrare come la martellante propaganda xenofoba non aveva anestetizzato tutte le coscienze. E per fare ciò non poteva certo bastare una lettera al giornale, un post sui social network oppure un flash mob sotto i flash dei giornalisti.

Non può essere normale costruire un muro antimigranti

Non può essere normale deliberare invasioni militari, guerre, bombardamenti e pulizie etniche

Non può essere normale assistere passivamente alle stragi nel Mediterraneo o alle morti su passi alpini.

Il banner che pubblicizzava il corteo del 7 maggio 2016 al Brennero

Sebbene materia per avvocati ci sarebbe molto da dire sull’entità di tali richieste da parte degli zelanti PM bolzanini, contro manifestanti accusati di devastazione e saccheggio per un corteo dove il Ministero dell’Interno ha chiesto (esagerando) poche migliaia di euro di risarcimento e dove i manifestanti sono stati inizialmente caricati dalla celere mentre si stavano portando sui binari.

Quale obiettivo si sono posti i procuratori bolzanini titolari dell’accusa?

E’ proprio questo il punto in cui il processo assume una valenza politica che si desume dall’incredibile discrepanza fra la realtà dei fatti accaduti in quella giornata e l’assurdo disegno accusatorio creato dalla Procura bolzanina che, supportata dalla grancassa mediatica, ha lavorato di fantasia costruendo una narrazione tesa a trasformare, agli occhi del Tribunale e in generale della società, una giornata di lotta contro il muro e le politiche razziste in una giornata dove un gruppo organizzato di vandali si è trovata al Brennero per distruggere il ridente paesino sul valico, perchè non avevano altro da fare.

L’obiettivo che essi si pongono è intimidire, punire e isolare, attraverso una pena volutamente sproporzionata, chi ha ancora la forza, il coraggio, la determinazione di lottare contro un sistema sociale ed economico che vive di guerra, razzismo, sfruttamento degli uomini e dell’ambiente.

Il solito vecchio giochino della peggiore repressione di ogni epoca: ignorare il contesto sociale e politico in cui un fatto è maturato riconducendo ad una devianza atavica il comportamento di chi è sceso in piazza o di chi ha violato, per qualche motivo, la legge. Seguendo tale schema retorico se i detenuti di un carcere o di un lager per immigrati si ribellano non è per colpa della sofferenza, del sovraffollamento, della mancanza di cure o di cibo decente ma è colpa di fantomatici istigatori o di presunti capi che fomentano. Con lo stesso schema i tribunali fascisti condannavano gli oppositori politici che si opponevano alla dittatura ed alle sue guerre e leggi razziali, i tribunali americani condannavano i militanti neri che si ribellavano alla segregazione razziale ed i tribunali turchi condannano oggi curdi e turchi che si oppongono ai progetti guerrafondai di Erdogan. La legge, ieri come oggi, serve a mantenere uno status quo ed esprime dei rapporti di forza fra classi sociali. Al riguardo le richieste di condanna dei procuratori bolzanini ne sono la dimostrazione più eclatante. Perchè ribellarsi dato che viviamo nel migliore dei mondi possibili?

Richiedere 338 anni di carcere per una manifestazione collettiva in cui sono stati contestati 8000 euro di danni è già di per sé, allucinante, ma ciò che deve far riflettere è la disinvoltura con cui alcuni uomini togati possano farlo, come essi, presi da una sorta di delirio di onnipotenza, si sentano in diritto di farlo. Un tentativo pericoloso di criminalizzazione del dissenso e che intende abbassare sempre più la tolleranza del potere nei confronti di ogni manifestazione di rabbia degli oppressi o di chi ne prende le parti. Negli ultimi anni infatti sono innumerevoli i processi istituiti in tutta Italia contro compagni e compagne, in particolare anarchici, per manifestazioni di piazza o per reati associativi. Oltre a ciò la repressione, forte anche degli strumenti forniti da Salvini e dal movimento 5 stelle con i decreti sicurezza I e II, si accanisce contro i lavoratori più combattivi, come gli operai del SiCobas, protagonisti di lotte durissime e vincenti oltre che oggetto privilegiato della repressione di polizia e magistratura come dimostra il maxiprocesso contro 400 operai colpevoli di aver scioperato, che a breve si terrà a Modena.

In un volantino pubblicato sulla pagina Facebook Bolzano Antifascista è stato scritto:

Centinaia di compagni e compagne sono scesi in strada al Brennero, 4 anni fa, per rompere l’indifferenza e l’inerzia con cui ormai troppe persone, accettano tutto, anche le peggior ingiustizie, consapevoli che non sarebbe stata sufficiente la marcia simbolica. Centinaia di compagni e compagne si sono assunti una responsabilità, ed hanno voluto interrompere la tragica normalità con cui certe decisioni vengono prese, come le guerre, i bombardamenti o la possibile costruzione di un muro a dividere due popolazioni, muri che non appartengono al passato, come vorrebbero farci credere coloro che celebrano solo la caduta del muro di Berlino, ma costituiscono un tragico presente: dal muro fra Israele e territori occupati palestinesi al muro fra Messico e Stati Uniti, dal muro fra Turchia e Siria alle barriere fra Serbia e Ungheria. Muri e fili spinati producono morte, paura, odio e razzismo. Centinaia di compagni hanno voluto rompere la mediocre apatia con la quale la maggioranza della popolazione vive ed apprende le più inaccettabili decisioni dei governi, attraverso uno schermo televisivo oppure limitandosi a commentare un inutile post su Facebook.”

É importante, oggi più che mai, ricordare e riaffermare, oltre ogni strumentalizzazione e mistificazione, lo spirito che portò centinaia di compagni e compagne a manifestare al Brennero in quella giornata.

Le prossime udienze del processo per i fatti del Brennero saranno l’11 settembre, quando sarà possibile fare delle dichiarazioni spontanee individuali e collettive, il 2 e il 9 ottobre, sempre alle ore 10.

Non lasciamo soli i compagni e le compagne sotto processo. 

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