Giovedì 10 marzo via Cappuccini a Bolzano è stata teatro di due gravissimi episodi. Al mattino presto, alle 7.30 circa, è crollata l’impalcatura di un cantiere e solo per caso un operaio, precipitato a terra, non è morto.
Verso sera, intorno alle 18.30 in un cortile interno della via, un uomo è stato gravemente ferito dallo sparo esploso da un carabiniere intervenuto “per sedare una lite tra il ristoratore e gli operai di un cantiere vicino per una banale questione di parcheggi” come riportato dal giornale Alto Adige.
Nelle ore successive le testate giornalistiche locali e nazionali hanno rilanciato la notizia che l’uomo ferito dal colpo di pistola avrebbe tentato di aggredire con un coltello da cucina il milite, ferendolo al volto.
Mentre sulle pagine social dei quotidiani esplodeva una sequela di insulti al ristoratore ferito e di applausi al carabiniere, dopo pochi giorni il ristoratore, ricoverato nel frattempo in ospedale, è stato liberato, con accuse sensibilmente ridotte rispetto a ciò che i media avevano riportato con titoli roboanti.
Sebbene sia stato riportato e rilanciato più volte come il carabiniere sarebbe stato aggredito con un coltello da cucina, l’accusa rivolta all’aggressore è “resistenza a pubblico ufficiale”, un reato spesso utilizzato dai Pubblici ministeri per condannare, a volte solo sulla parola dei militari, gli imputati.
L’intervento dei carabinieri avrebbe potuto provocare ancora una volta la morte di una persona.
Ricordiamo come meno di un anno fa, ad Ala, un carabiniere sparò a Matteo Tenni, uccidendolo. Stavolta a rischiare di morire in una situazione ancora tutta da chiarire, anch’egli di fronte agli occhi dei propri cari, è stato un cittadino turco. Anche lui, come Matteo Tenni, un essere umano di serie B e perciò immediatamente meritevole di metodi più spicci, oltre che di un trattamento giuridico “speciale”.