[Bolzano] Le loro guerre, I nostri morti. Resoconto corteo antimilitarista

Sabato 9 aprile, un corteo antimilitarista ha attraversato le strade del centro di Bolzano. Da circa un mese e mezzo, in seguito all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin, siamo immersi in un clima sempre più pesante e velenoso, determinato dal fatto che l’Italia è un paese in guerra, per il momento ancora per procura, ma è in guerra.

I principali giornali e i rispettivi editorialisti hanno da tempo indossato l’elmetto nel tentativo di costruire un opinione pubblica che accetti l’invio di armi allo Stato ucraino nonché l’imposizione di ulteriori sacrifici ai lavoratori europei riassumibile nella ridicola frase di Mario Draghi «O la pace o il condizionatore d’aria acceso». I sacrifici ovviamente non li farà Draghi o la classe sociale di ricchi e privilegiati da lui rappresentata bensì i soliti noti: lavoratori dipendenti, precari, pensionati ma non solo. Sull’onda emotiva della guerra in Ucraina il Governo ha deciso, pressochè senza alcun tipo di dibattito, l’aumento delle spese militari – che passano così da 25 a 38 miliardi di euro l’anno – in ottemperanza alle richieste dell’alleanza atlantica, che richiede ad ogni Stato membro una quota del 2% del rispettivo Prodotto Interno Lordo da destinare alla spesa di armi e sistemi militari. 

La corsa al riarmo è sostenuta e fatta passare come necessaria da una lunga serie di opinionisti, giornalisti e tuttologi da talk-show. Nel dibattito pubblico che da alcune settimane tiene banco il passato è stato abolito, e di conseguenza ogni ragionamento e riflessione che cerca di analizzare le responsabilità della NATO, degli Stati Uniti e dell’Unione Europea nell’avere – nella migliore delle ipotesi – fatto nulla per prevenire un conflitto annunciato e ampiamente previsto, viene tacciato come “giustificazionista”, “filorusso” o altre calunnie del genere. Una volta cancellato il passato rimane quindi solo un presente in cui la propaganda dei vari Gianni Riotta, Rampini, Gramellini o Panebianco ci impone l’arruolamento in un campo o nell’altro. Ed ecco che uno slogan come “Nè con Putin né con la Nato” anziché il giusto rifiuto di due aspetti dello stesso problema, diventa sinonimo di equidistanza, di sostegno all’invasore.

In un clima del genere, dove ogni voce critica alle scelte del Governo viene sistematicamente distorta e mistificata, i motivi per scendere in piazza erano quindi tanti, le cose da dire ancora di più.

Dalle 15.30 al parco della stazione di Bolzano è iniziata la manifestazione con alcuni interventi in cui, oltre alla solidarietà alla popolazione ucraina ed alla logica condanna dell’aggressione russa, sono state ricordate le guerre condotte negli ultimi 20 anni dalla NATO e dai suoi membri: Afghanistan, Iraq, Libia. Invasioni e aggressioni condotte per difendere gli interessi del capitale occidentale ma che non hanno avuto reporter o inviati sul campo di battaglia a raccontarcele. Il giornalista che ha saputo svelare le menzogne su cui sono state giustificate, Julian Assange, è privo della libertà da oltre 10 anni e adesso la Gran Bretagna ha concesso la sua estradizione negli Stati Uniti, dove è stato condannato a 175 anni di carcere. Sono state ricordate l’occupazione militare subita da decenni dal popolo palestinese e quella subita dalla popolazione curda del Rojava, nel nord della Siria, ad opera della Turchia di Erdogan, paese membro dell’alleanza atlantica. Sono stati ricordate le lotte dei portuali genovesi, in sciopero contro il traffico di armi saudite nel porto di Genova. Armi e mezzi militari destinati alla guerra in Yemen, che negli ultimi  7 anni ha causato oltre 370mila morti. Non sono potuti mancare i riferimenti all’esistenza a Bolzano dello stabilimento industriale-militare di IVECO Defence Vehicles, dove vengono prodotti mezzi militari venduti all’Esercito russo come ad altri eserciti occidentali. 

Per questi e tanti altri motivi il rifiuto dell’imperialismo russo, i cui crimini sono sotto i nostri occhi da settimane, non deve spingere verso l’imperialismo americano, le cui responsabilità nelle devastazioni provocate negli ultimi anni in Medio Oriente ma non solo, sono ben note e sui cui crimini i giornalisti e politici con l’elmetto che ci stanno spingendo all’escalation non hanno mai pronunciato una parola di condanna. La NATO può esistere solo in funzione di un nemico e se non c’è occorre inventarlo. Oggi la Russia è tornata ad essere un rivale da abbattere, domani potrebbero spingerci in un conflitto con la Cina. Uscire dalla spirale militarista che porta dritti all’autodistruzione dovrebbe essere l’imperativo di ogni movimento politico che aspiri ad unire il rifiuto della guerra, della logica capitalista e la difesa dell’ambiente.

Se gli ucraini stanno pagando con il sangue il prezzo di una guerra per procura, i proletari europei vengono arruolati a forza per pagare il costo economico di una guerra in cui gli ucraini vengono usati come fanteria per indebolire la Russia, rivale degli Stati Uniti. Un cinico gioco in cui alcuni paesi dell’Europa orientale come lo stesso governo di Zelenskij, spingono per l’intervento diretto della NATO, una scelta che porterebbe all’escalation atomica. Ancora una volta nessuno ci aiuterà a tirarci fuori dal pantano, tranne noi.

La manifestazione di sabato 9 aprile è stata un momento di utile confronto, in cui condividere riflessioni e critiche con la città, fuori dalle bolle mediatiche. Un piccolo passo a cui dovranno seguirne altri. Di seguito il testo del volantino distribuito durante la manifestazione: 

LE LORO GUERRE I NOSTRI MORTI

Da circa un mese e mezzo le truppe dell’esercito russo hanno iniziato l’invasione dell’Ucraina provocando la distruzione di intere città, la morte di migliaia di civili e la fuga di milioni di persone, profughe nel resto d’Europa. Dopo oltre 20 anni di devastanti guerre di aggressione, missioni militari e invasioni – Afghanistan, Iraq, Libia su tutte – condotte dai paesi occidentali per difendere e imporre i propri interessi economici, ora la guerra è portata alle nostre porte da Putin; i profughi e i disperati in fuga non sono più neri, arabi o musulmani, ma sono europei di pelle bianca e le città distrutte sono simili alle nostre.

Oltre che sui campi di battaglia, la guerra viene combattuta attraverso la propaganda, capace di mistificare la realtà oltre ogni immaginazione. La martellante narrazione del conflitto dei media mainstream sta omettendo volutamente di raccontare il recente passato (8 anni di guerra nel Donbass, inosservanza degli accordi di Minsk, violenze contro la popolazione russofona, messa fuorilegge dei partiti di sinistra ucraini) con l’obiettivo di negare le corresponsabilità degli Stati Uniti e della NATO nella genesi del conflitto e contribuire così all’escalation militare con cui gli ucraini stanno, loro malgrado, combattendo una guerra per procura per conto degli Stati Uniti, che stanno già passando all’incasso con la vendita di armi e di gas.

Sebbene il governo americano come quelli europei fossero da tempo a conoscenza del piano russo di invadere l’Ucraina qualora non si fossero trovati accordi sullo status neutrale del Paese, nulla di concreto è stato fatto a livello diplomatico per evitare un conflitto da tempo annunciato. I paesi, le città, i condomini abitati dalla popolazione ucraina sono così diventati il terreno di un feroce scontro fra Stati Uniti e Russia, due opposti imperialismi che per difendere i propri interessi economici non hanno esitato, oggi come in passato, a far ricorso a guerre, torture sistematiche degli oppositori e utilizzo di armi chimiche.

Ancora una volta la guerra diventa strumento per ridefinire le sfere di influenza del potere, in cui i proletari ucraini pagano il prezzo più alto, venendo arruolati a forza nell’Esercito, venendo massacrati, costretti all’esodo e ridotti a miseria. Nel resto d’Europa e dei paesi della NATO il conflitto sta determinando una ristrutturazione generale dell’economia e delle priorità politiche. I primi pesanti effetti li stiamo già vedendo con il drastico aumento delle bollette oppure con la decisione del Governo di aumentare le spese militari – già in progressivo aumento da anni – da 25 a 38 miliardi di euro l’anno, raggiungendo così il 2% del PIL, come richiede da tempo l’alleanza atlantica. Dopo due anni di emergenza sanitaria che ha visto ospedali e medicina di base sull’orlo del collasso il Governo Draghi dimostra quali siano le priorità del Governo: aumentari i profitti dell’industria bellica (ricordiamo che Iveco DV di Bolzano ha venduto i propri mezzi all’Esercito russo) e di chi specula sulla corsa al riarmo come le banche Unicredit e Intesa, per citarne due fra le più importanti. Le guerre dei ricchi le paga sempre la classe operaia.

La lotta contro la guerra in Ucraina e la solidarietà alla sua popolazione non può essere slegata dalla critica e dalla lotta contro un sistema economico basato sulla predazione delle risorse e sulla violenza armata con cui vengono difesi – e imposti – gli interessi economici del capitalismo. I profughi ucraini non sono diversi dai profughi afghani, iracheni o da chi scappa dalla Libia, trasformata in un lager a cielo aperto anche per conto dell’Italia: sono vittime delle stesse politiche, applicate da criminali diversi e giustificate con retoriche propagandistiche diverse.

La guerra in Ucraina dimostra come tutti i governi in causa – nessuno escluso – non abbiano alcun interesse a difendere gli interessi delle classi popolari. La vera solidarietà può crescere solo dal basso, dalle lotte dei lavoratori come quelle dei portuali di Genova, dei ferrovieri in Grecia, o dalle mobilitazioni studentesche che negli ultimi giorni hanno portato all’occupazione di varie scuole in Italia, senza dimenticare le migliaia di antimilitaristi russi arrestati dalla polizia nel corso delle proteste contro l’invasione.

Antimilitaristə bolzaninə

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