Giovedì 14 novembre il Ministro dell’Interno Piantedosi è intervenuto alla Conferenza provinciale sulla sicurezza che si è tenuta al NOI Techpark, a Bolzano.
La presenza di Piantedosi in città è stata contestata da un gruppo di compagni e compagni durante un presidio organizzato dall’Assemblea solidale con il popolo palestinese in cui sono state evidenziate le sue responsabilità nell’accelerazione del Governo Meloni verso la costruzione di uno Stato di polizia. Egli è infatti, insieme al ministro della Guerra Crosetto, il firmatario del DDL 1660, un provvedimento liberticida che rappresenta un atto di guerra senza precedenti contro i lavoratori, gli studenti e i proletari di questo Paese. Ma in generale è un atto di guerra contro il dissenso, contro ogni movimento che lotta per migliorare le cose, contro la guerra, contro il genocidio del popolo palestinese o per la giustizia sociale. Oltre a ciò numerosi interventi hanno evidenziato le complicità del Governo italiano nel genocidio del popolo palestinese.
Al presidio che contestava la presenza di Piantedosi al NOI erano presenti anche alcuni lavoratori e lavoratrici del NOI e una di queste è stata fermata dalla polizia politica e portata in Questura dove è stata schedata: le sono state prese le impronte digitali ed è stata fotosegnalata. Il motivo? Ha diffuso un volantino che criticava la presenza del Ministro dell’Interno a Bolzano. La vicenda – con l’inquietante contorno di intimidazioni poliziesche – è stata raccontata dalla testata online Salto.bz in un articolo che consigliamo a tutti di leggere con grande attenzione.
Questo atto di intimidazione poliziesca – da non sottovalutare e minimizzare – non ha precedenti negli ultimi decenni a Bolzano e rientra in un pesante clima di criminalizzazione e repressione del dissenso che è stato costruito dal Questore Paolo Sartori e dalla polizia politica, di fatto la sua longa manus.
L’azione violenta di Sartori, ovviamente esaltata dall’estrema destra provinciale (l’assessore Marco Galateo, Ulli Mair e leghisti vari) in questi mesi è stata contraddistinta da una certa frenesia in particolare su tre fronti:
1) la comunicazione ovvero la propaganda, tesa a costruire una certa immagine della sua attività. Continui comunicati stampa su fatti insignificanti, commenti copia e incolla su ogni tipo di fatto fino a fatti inventati di sana pianta come la psicosi collettiva costruita dai giornali padronali del gruppo Athesia in seguito al ritrovamento dell’adesivo “Sartori? Brindiamo se muori” su un lampione del centro storico. Una psicosi costruita a tavolino da una parte degli apparati di potere con l’obiettivo di creare l’immagine dei cattivi contestatori e manifestanti “che turbano l’ordine pubblico” da contrapporre allo sceriffo Law & Order catapultato in città per mettere ordine in una città “che non è più quella di una volta” quando “potevi lasciare le porte aperte e non c’erano immigrati in giro”. Una psicosi indotta e funzionale a loschi disegni repressivi che in questi mesi abbiamo visto messi in opera. In questa invenzione deliberata della realtà va ricordato il ruolo fondamentale di giornali come Alto Adige e Dolomiten, del gruppo Athesia.
2) la repressione e la criminalizzazione del dissenso e qui parliamo, oltre alle piogge di denunce, del divieto di manifestazioni, di prescrizioni restrittive, dell’abuso di misure di prevenzione come avvisi orali, fogli di via fino ad avvisi orali aggravati in cui viene vietato l’utilizzo di apparecchi per connettersi a Internet. Tutte le misure di prevenzione firmate da Sartori sono giustificate dal fatto che secondo il Questore i destinatari sarebbero soggetti “socialmente pericolosi” e che “turbano la tranquillità pubblica”. Misure con effetti violenti e devastanti nella vita quotidiana delle persone firmati con leggerezza spesso ricorrendo a deliberate falsificazioni. Fa particolarmente sorridere leggere che Sartori definisce socialmente pericoloso chi partecipa a una manifestazione nello stesso momento storico in cui un sottosegretario alla Giustizia come Andrea Delmastro fa pubblica apologia della tortura dei detenuti parlando di “intima gioia nel non lasciare respirare i detenuti”. Forse essere “socialmente pericolosi” è una variabile che dipende dalla classe sociale che difendi o cui appartieni? Tanto per cambiare…
3) la guerra ai poveri, ai proletari e ai marginali della città ovvero la criminalizzazione della povertà. Sono innumerevoli le richieste di revoca del permesso di soggiorno e i decreti di espulsione dati a lavoratori e proletari stranieri perché fermati nel corso di retate in case abbandonate dove dormivano e avevano trovato rifugio. In altri casi Sartori ha avanzato la richiesta di revoca della protezione internazionale per piccoli furti al supermercato. Questa spietata politica di cieca e zelante repressione – perfettamente in linea con il mandato politico di Galateo, Mair e leghistume vario – produce disperazione, marginalità e criminalizzazione di una condizione sociale.
Quello che appare sempre più evidente, anche in seguito alle minacce di richiedere la sorveglianza speciale per azioni di contestazione politica, è la sua volontà di mettere a tacere le pochi voci di dissenso che in questa città stanno denunciando le responsabilità politiche di chi collabora e fa profitti con la guerra e con il genocidio del popolo palestinese.
Fin dalle prime manifestazioni solidali con il popolo palestinese in seguito al 7 ottobre è stata evidente una frenetica attività di schedatura di ogni manifestante. L’arrivo di Sartori ha dato un’evidente accelerazione sull’utilizzo delle misure di intimidazione poliziesca, fino al fermo e alla schedatura di una manifestante perchè stava distribuendo un volantino di critica al Governo Meloni.
Cosa altro deve accadere perchè ci si renda conto che tutto ciò non è accettabile? Cosa altro deve accadere perchè anche chi non è direttamente coinvolto capisca la violenza di questa politica repressiva e di come essa riguardi tutti e tutte?
«Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare.»
Bertolt Brecht