[Bolzano] Iveco a(r)ma la guerra. Resoconto presidio 20 aprile

Mercoledì 20 aprile, all’incrocio fra via Volta e via Galvani, di fronte allo stabilimento Iveco Defence Vehicles, un presidio antimilitarista ha ricordato alla città che cosa si produce dietro alle mura della fabbrica: autoblindo come il Centauro e blindati leggeri come il Lince, utilizzati nei teatri di guerra degli ultimi 20 anni da parte – fra gli altri – dell’Esercito italiano come da quello tedesco, americano e russo. Dall’Afghanistan all’Iraq, dal Mali fino all’Ucraina nelle ultime settimane, i mezzi costruiti in via Volta sono stati – e vengono -utilizzati per la difesa degli interessi del capitale occidentale e di una ristretta élite di privilegiati legati al complesso militare-industriale-energetico che negli anni non ha esitato a ricorrere alla guerra per imporre la propria sete di profitto.

Dopo la manifestazione di sabato 9 aprile, un’altra tappa nella costruzione di un percorso che sappia trasformare l’opposizione alla guerra in un’occasione di critica del capitalismo e dei suoi derivati: guerre, sfruttamento, inquinamento.

Dalle ore 18 fino alle 20 circa una 50ina di compagni e compagne ha partecipato alla manifestazione tenendo lo striscione Iveco a(r)ma la guerra, distribuendo volantini, facendo interventi al megafono e rallentando il traffico, piuttosto intenso a quell’ora. Non è mancato l’interesse dei passanti così come lo stupore di alcuni nel venire a sapere che Iveco produce mezzi militari.

Una manifestazione per rendere visibile alla città la guerra e ciò che la permette ovvero il capitalismo e l’industria bellica, di cui Iveco, insieme a Leonardo e Fincantieri, rappresenta la punta di diamante.

Da quasi due mesi siamo immersi 24h su 24 in una martellante propaganda mediatica che vuole spingere l’Italia e il resto dell’Europa verso un’escalation bellica – potenzialmente nucleare – che si sta già estendendo in altre aree del mondo. Una guerra che in paesi dell’Africa come l’Egitto potrebbe scatenare conseguenze catastrofiche dal punto di vista alimentare. Una guerra che ha scatenato una  corsa al riarmo in cui il Governo di Draghi, in linea con Germania e altri Paesi occidentali, non ha esitato a tagliare risorse per ospedali e istruzione.

Giornalisti e opinionisti con l’elmetto, per legittimare l’interventismo armato e la relativa necessità di imporre sacrifici ai lavoratori, vogliono farci credere che l’invasione dell’Ucraina e il conseguente conflitto sia interpretabile come uno scontro fra regimi autoritari e democrazie, fra libertà e oscurantismo autoritario. Ancora una volta la loro propaganda mistificatoria, dopo aver costruito negli anni le basi della guerra, vuole imporci l’arruolamento e mandarci al massacro. 

Ogni voce fuori dal coro che ricordi i doppi e tripli standard dell’Occidente così come il passato recente e la volontà degli Stati Uniti di provocare lo scontro contro la Russia, viene criminalizzata ed emarginata. I giornalisti di Repubblica, Corriere della sera o di altri media mainstream fortemente legati all’industria bellica non mancano di emettere delle vere e proprie fatwa contro chi contesta la linea politica totalmente asservita agli Stati Uniti e alla NATO di Mario Draghi e dell’accozzaglia reazionaria che ne costituisce il governo. Adirittura l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI) da settimane è diventata il bersaglio di una campagna diffamatoria per le sue posizioni pacifiste, contro l’invio di armi.

In un clima politico in cui troppi cervelli sono in lockdown e in cui la razionalità è sempre più messa al bando a favore dell’emotività manipolata e distorta ad uso e consumo del Governo e dei suoi interessi, diventa fondamentale tornare nelle piazze, uscire dalle bolle virtuali e imparare a riconoscere che il nemico è a casa nostra. Lo stesso nemico che negli anni passati ha promosso, giustificato e finanziato guerre per opprimere afghani, iracheni, siriani e libici oggi non ha fatto nulla per impedire l’escalation in Ucraina e ora vuole imporci la corsa al riarmo (in poche ore come se nulla fosse Draghi ha portato la spesa militare da 25 a 38 miliardi di euro all’anno, come richiedeva da tempo la NATO) per tutelare la “nostra” sicurezza.

Iveco non distingue buoni e cattivi. Fa affari con tutti

Affermare di essere allo stesso tempo contro la NATO e contro Putin non significa affatto essere equidistanti o neutrali come affermano alcuni opinionisti prezzolati bensì ritenere i due schieramenti militari parte dello stesso problema. A differenza dei vari Rampini, Riotta e Gramellini, che rispondono solo agli input dei propri padroni, la memoria deve essere coltivata e non è accettabile sostenere le forze armate della NATO nelle stesse ore in cui Erdogan sta promuovendo l’ennesima sanguinosa operazione militare contro i curdi. Non è possibile considerare la NATO e gli Stati Uniti difensori di libertà e democrazia dopo le guerre in Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, Libia, Siria; proprio in questi giorni il giornalista Julian Assange verrà estradato negli Usa dove è stato condannato a 175 anni di carcere per avere diffuso documenti segreti che provavano i crimini di guerra occidentali in Afghanistan, Iraq e le torture a Guantanamo.

“Le guerre dei ricchi le pagano i poveri”

Nelle nostre città e nelle nostre strade le aziende che vivono di guerra e che grazie ad essa maturano enormi profitti sono tantissime: Iveco con la sua produzione ne è l’esempio più evidente ma vanno ricordate anche banche come Unicredit, Intesa o Deutsche Bank, complici di infiniti affari sporchi di sangue. La lotta contro la guerra non si può slegare dalla critica al sistema economico che la produce.

Negli interventi in piazza è stata ricordata ancora una volta la lotta dei lavoratori portuali di Genova contro il trasporto di armi e mezzi militari nei porti e la repressione che gli ha colpiti così come lo sciopero nazionale contro la guerra del 22 aprile e la giornata di mobilitazione nazionale contro la guerra del 20 maggio.

Di seguito il testo del volantino distribuito durante la manifestazione: 

LA GUERRA COMINCIA ANCHE ALL’IVECO DI BOLZANO

NESSUNA PACE PER CHI VIVE DI GUERRA

Dopo due anni di gestione militare della pandemia con annessa “comunicazione di guerra”, ci troviamo di fronte alla mobilitazione –per il momento morale ed economica – per l’ennesima guerra preparata dagli Stati e dall’industria per accaparrarsi risorse (a partire da quelle necessarie per la “transizione energetica e digitale” come i minerali rari) ed estendere la propria influenza, e presentata come difesa dei diritti umani e del diritto internazionale. Questa volta però il confronto rischia di essere direttamente fra potenze nucleari, mentre si annuncia una corsa al riarmo da sostenere con nuovi “sacrifici”.

La nostra solidarietà con le popolazioni direttamente colpite e con i disertori e gli antimilitaristi di ogni parte non può che passare per la rottura del fronte interno italiano e occidentale e per il sabotaggio degli ingranaggi bellici più vicini a noi. Esempi di cosa si possa fare concretamente per togliere le basi materiali alla guerra ci arrivano da quei lavoratori che, in Grecia come in Italia, si sono rifiutati di trasportare armi dirette in Ucraina; ma ricordiamo anche le lotte che negli anni, dalla Sardegna al Trentino, hanno saputo individuare e attaccare i complici della guerra – e la repressione che le ha colpite.

In regione una delle realtà più direttamente implicate nell’industria bellica – insieme all’Università di Trento e ai suoi laboratori di ricerca – è l’Iveco Defence Vehicles di Bolzano. I blindati qui prodotti vengono impiegati dall’esercito russo in Ucraina come dagli eserciti Nato in Afghanistan, in Iraq e nell’infinita serie di “missioni di pace” (non solo in Russia la guerra non si può chiamare col suo nome) che hanno segnato gli ultimi decenni. Oggi più che mai questa fabbrica è una presenza che non dovrebbe passare inosservata, e che non dovrebbe essere lasciata lavorare in pace.

Antimilitariste e antimilitaristi

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