[Bolzano] Un centinaio di solidali per Ambra – rompere il silenzio

Sabato 10 aprile sui prati del Talvera a Bolzano si è svolta una mobilitazione solidale per ricordare Ambra Berti, ragazza bolzanina di appena 28 anni morta in circostanze non chiare nel carcere di Spini di Gardolo il 14 marzo.

Almeno un centinaio di persone, parenti, amici e solidali hanno partecipato ad una giornata che aveva l’obiettivo di rompere il silenzio e la cinica indifferenza nei confronti dell’ennesima morte di carcere. Moltissime le persone che si sono fermate per prendere un volantino, parlare, capire, ascoltare, fra cui molti che l’abbruttimento del carcere nel corso della loro vita lo hanno conosciuto e vissuto sulla propria pelle.

Ambra veniva da una storia personale difficilissima ed alcune testimonianze dal carcere raccontano delle sue crescenti difficoltà all’interno del pentenziario trentino. La detenzione, la lontananza dai propri figli e affetti, la solitudine e il disinteresse colposo della responsabile sanitaria riguardo alla sua situazione, lasciano pensare come si tratti di una fine annunciata che sarebbe stato possibile evitare.

La sua morte ed il totale disinteresse che la sua fine ha trovato fra i media locali stride con la morbosa attenzione e sollecitudine con cui giornalisti e direttori di quotidiani locali hanno seguito – e seguono – per mesi il caso di Benno Neumair rispetto al quale il direttore dell’Alto Adige Alberto Faustini è arrivato addirittura a scrivere un’editoriale in cui denunciava la mancata trasmissione, da parte della magistratura, di informazioni ai cronisti locali. Lo stesso interesse evidentemente non ha riscontrato la morte di Ambra: la sua condizione di “dannata” per mille motivi e la sua fine, risucchiata nel buco nero del sistema carcerario italiano, non si prestava a narrazioni da film giallo in grado di appassionare il lettore e far vendere copie. Parlare di Ambra avrebbe significato affrontare l’indecente situazione delle carceri italiane, avrebbe significato evidenziare gravi responsabilità istituzionali ed il significato stesso che tale pena aveva per una giovane donna di 28 anni e madre di due figli. Insomma, una morte di carcere tutto sommato considerata di routine non poteva certo competere o rubare spazio al caso Neumair.

E anche qui emergono le implicazioni di classe che rispecchiano il diverso interesse che le due vicende riscuotono fra media, commentatori, opinionisti e tuttologi.

Ritornando al presidio, dalle 15 alle 17 circa sono stati fatti diversi interventi in cui si sono denunciate le responsabilità dell’amministrazione penitenziaria e dell’area sanitaria interna al carcere. È stata ribadita l’importanza di rompere l’isolamento fra interno ed esterno e di costruire solidarietà laddove le autorità vorrebbero che prosperasse solo solitudine e disperazione. Il carcere infatti causa ogni anno decine di suicidi e ancora più morti per mancanza di cure adeguate. Oltre a ciò l’abuso del consumo di psicofarmaci è favorito, anzi fomentato dalle amministrazioni carcerarie per mantenere dormienti i detenuti.

Il volantino distribuito durante il presidio

Dalle 17 alle 18.30 circa il presidio si è spostato sotto le mura del carcere di via Dante dove, fra una canzone e l’altra, sono stati salutati i detenuti che hanno risposto calorosamente facendo battiture. È stato spiegato loro il motivo della presenza sotto le mura: l’assurda fine di Ambra e la necessità di spezzare l’assordante silenzio di direttrice e autorità al riguardo. Ma si è parlato anche dell’importanza di rompere l’isolamento fra dentro e fuori le mura e lottare per evitare che il carcere continui ad essere un buco nero che risucchia la parte più povera e marginale della società e dove vige l’arbitrarietà più totale. Si sono ricordati i 14 morti durante le rivolte nelle carceri italiane nel marzo 2020 e le feroci rappresaglie dei secondini con sanguinosi pestaggi e torture diffuse contro i rivoltosi.

È stata una giornata positiva che ha saputo da una parte creare un momento di ricordo per Ambra oltre che di confronto riguardo alla necessità di organizzarsi per impedire che altre vite vengano spezzate dagli ingranaggi carcerari, dall’altro ha portato un po’ di calore e solidarietà nell’angolo più dimenticato e nascosto dell’Alto Adige, lontano dal clichè legato alla provincia più ricca d’Italia, così come la stessa storia di Ambra è lontana anni luce dalla retorica che dipinge la nostra provincia come un’isola felice. Una finzione buona solo per uno spot pubblicitario.

Essere in piazza per Ambra era il minimo da fare. Basta morti di carcere. Basta carcere. Rompiamo l’indifferenza e l’isolamento.

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