[Repressione] Ennesima inchiesta per 270 bis in Trentino: richieste (e non concesse) 12 misure cautelari

Apprendiamo dal sito ilrovescio.info dell’ennesimo tentativo della Procura di Trento di ricorrere ai reati associativi per togliere dalla circolazione compagni e compagne che da anni lottano sul territorio contro – fra le altre cose – progetti di devastazione ambientale come il Bypass ferroviario, parte integrante del Treno Alta Velocità (TAV). Ma più in generale, come ben spiegato nel comunicato, ad essere sotto attacco è la campagna di solidarietà per il prigioniero Alfredo Cospito (tuttora al 41 bis) e ogni lotta che intenda “condizionare l’azione dello Stato”. Mentre la realtà che viviamo assomiglia sempre più alla distopia descritta da George Orwell in 1984, diventa sempre più urgente costruire solidarietà, rilanciare le lotte contro le miserie del presente e del futuro che lorsignori ci hanno apparecchiato. Una realtà in cui le guerre – per procura o meno – si moltiplicano, in cui l’ambiente è un argomento usato come spot dalle aree progressiste e in cui la repressione, in un periodo storico privo di conflittualità sociale, continua in modo ossessivo a perseguitare chi lotta e chi si organizza per resistere alle ingiustizie prodotte dal capitalismo in tutti i suoi tentacoli.

Di seguito riportiamo il comunicato dei compagni di Trento e Rovereto:

Ennesima inchiesta per 270 bis in Trentino: richieste (e non concesse) 12 misure cautelari

Nel mese di aprile scorso, i PM Raimondi e Ognibene avevano chiesto 9 misure cautelari in carcere e 3 divieti di dimora a Trento e a Rovereto per altrettanti compagni e compagne. Dal momento che il GIP ha rigettato le richieste, la Procura ha fatto ricorso: di qui la notifica ad alcuni indagati e indagate dell’udienza del riesame, fissata per il 1° agosto e rinviata al 12 settembre per difetto di notifica agli altri indagati. Questa ennesima inchiesta per «associazione sovversiva con finalità di terrorismo» – chiamata, per quel che si capisce, «Diana» – è stata aperta nel 2019, ma prende le mosse da un procedimento per «apologia del terrorismo» avviato dalla Procura di Brescia (in merito a un testo uscito sulla pubblicazione anarchica “Beznachalie”) e passato alla Procura di Trento. L’inchiesta trentina si è estesa poi a ritroso fino al 2013, anno in cui è uscito il primo numero di “Beznachalie”.

Procedendo in una direzione che assomiglia sempre di più a quella delle “leggi scellerate” con cui a fine Ottocento il governo francese aveva dichiarato “malfattori” gli anarchici in quanto tali, questa nuova inchiesta mira innanzitutto a considerare espressione di un «sodalizio terroristico» «l’ideazione, la predisposizione, la redazione, la stampa e la diffusione, anche con strumenti informatici e telematici, delle pubblicazioni denominate “Beznachalie”, “I giorni e le notti”, “Dietro le quinte”, nonché del sito web www.ilrovescio.info». I «luoghi di concertazione del programma criminoso, di raccolta e gestione fondi, di appoggio logistico e ricovero dei sodali» sarebbero gli spazi anarchici “El Tavan” di Trento e “La nave dei folli” di Rovereto, nonché alcune case private.

I «reati-scopo» di tale «sodalizio» sarebbero la contraffazione di documenti per favorire la «clandestinità ovvero la latitanza dei compartecipi», la realizzazione di attentati, l’organizzazione di manifestazioni non autorizzate e violente, la «imposizione e diffusione delle proprie idee politiche di destabilizzazione con violenza e intimidazione anche nei confronti di aziende private».

Nello specifico, si tratta dei documenti falsi per cui Agnese e Stecco sono stati condannati a 2 anni e Rupert a 1 anno e 10 mesi nel processo «Renata»; di quelli trovati a Juan in occasione del suo arresto (per cui Agnese è stata condannata a 2 anni nel primo grado della “operazione senza nome”); del «sostegno operativo» alla latitanza di Juan (per cui Manu è stato condannato a 10 mesi dopo esser stato detenuto per oltre un anno); delle azioni dirette contro il tribunale di sorveglianza di Trento (avvenuta nel 2014 e per cui Juan è stato condannato a 3 anni e 6 mesi nel primo grado dell’“operazione senza nome”), contro la sede della Lega di Villorba (Treviso) del 2018 (per cui Juan è stato condannato a 28 anni in primo grado e a 14 in secondo grado) e contro un Frecciargento a Bolzano nel 2015 (un tentato incendio che i PM vorrebbero attribuire a un compagno in base alle tracce di DNA rinvenute sull’ordigno incendiario, e per cui si indaga per «atto con finalità di terrorismo»); la manifestazione al Brennero del 2016 contro le frontiere (per la quale, in due diversi tronconi processuali, sono stati distribuiti in appello oltre 130 anni di carcere); il tentativo di leggere in una radio commerciale un comunicato contro la strage avvenuta nelle carceri nella primavera del 2020 (per cui Massimo è stato condannato a 1 anno e 1 mese nel primo grado dell’“operazione senza nome”); il tentativo di bloccare una trivella del TAV a Trento nel gennaio del 2022 (per cui esiste un altro procedimento penale in corso). A parte l’episodio del Frecciargento, quindi, si tratta di fatti già oggetto di altri processi o procedimenti. L’intento della Procura è quello di riutilizzare gli stessi episodi per giustificare quel 270 bis sempre caduto nelle inchieste precedenti. Intento che raggiunge i contorni di una vera e propria metafisica della repressione: i reati-scopo esprimono e sostanziano l’associazione sovversiva, la quale, però, nella sua dimensione «ontologica» (proprio così), prescinde dai singoli atti. Puro intelletto terroristico (per questo la centralità delle pubblicazioni), il quale, anche quando non si traduce in atti di eversione, comunque li istiga o ne fa l’apologia.

L’aspetto più pericoloso – oltre all’attacco alle pubblicazioni in quanto tali – è senz’altro la definizione di «terrorismo» impiegata da DIGOS e PM: «intimidire la popolazione e costringere i poteri pubblici a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto». Si tratta dell’ormai noto art. 270 sexies, introdotto dal “pacchetto Pisanu” nel 2005. Come è già stato detto e ridetto, «intimidire la popolazione» è un’attività che caratterizza lo Stato e non certo gli anarchici, mentre «costringere i poteri pubblici a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto» è quello che si prefigge ogni lotta. Fermare il TAV non è forse costringere governo e RFI ad astenersi dal realizzare l’opera? Bloccare un porto non è forse voler costringere il governo a ritirare il green pass oppure a non inviare armi in Ucraina? L’eventuale esplosione di rabbia sociale contro l’abolizione del reddito di cittadinanza non avrebbe lo scopo di costringere il governo ad astenersi dall’applicare dei provvedimenti già presi? E pretendere che un compagno esca dal 41 bis?

Benché questa definizione di «terrorismo» recepisca – con una formulazione ancora più generica e più adattabile – una definizione-quadro adottata in ambito europeo, l’Italia è l’unico Paese in cui essa viene sistematicamente usata contro il movimento anarchico (e non solo, come vedremo). L’estensione quantitativa e qualitativa del suo uso è un chiaro indicatore di ciò da cui non si può più prescindere: siamo in guerra.

Sul piano generale

Solo negli ultimi due mesi, ci sono state notifiche d’inchieste, anche con perquisizioni e talvolta misure cautelari, a Milano, Trieste, Bologna, Potenza, Torino, Palermo e Perugia. Al di là dei singoli episodi contestati, è evidente che la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo sta facendo il giro delle Procure con un messaggio esplicito: «Toglieteli di torno, con qualsiasi pretesto». Ma altrettanto evidente è il salto qualitativo: per un compagno è stata chiesta la misura cautelare in carcere per un intervento fatto durante un corteo contro il 41 bis a Torino; le inchieste di Bologna e di Potenza dicono chiaro e tondo che la campagna in solidarietà con Alfredo è di per sé «terroristica» in quanto vuole costringere lo Stato a compiere un atto che non vuole compiere: revocargli il 41 bis. Che tale intento venga perseguìto scrivendo sui muri, affiggendo striscioni, danneggiando una qualche multinazionale, interrompendo una messa, salendo su di una gru, incendiando dei cassonetti in mezzo alla strada o dei furgoni di una ditta implicata nel business penitenziario è in fondo secondario. Infatti a Perugia si è di recente aperta un’indagine per «istigazione alla violenza e apologia del terrorismo» per un lenzuolo con una scritta in solidarietà ad Alfredo e contro il 41 bis. La stessa logica viene applicata ben al di là dell’ambito anarchico. Infatti un paio di settimane fa alcuni militanti di “Antudo” sono stati perquisiti e indagati per «apologia del terrorismo» e per «atto con finalità di terrorismo» per aver pubblicato sul loro sito un video e un comunicato di rivendicazione relativi ad un’azione contro Leonardo-Finmeccanica. Colpire il maggior produttore di armi italiano non significa forse voler costringere lo Stato ad astenersi dal portare avanti le sue politiche di guerra? E chi diffonde le ragioni di tali pratiche di lotta non compie, per ciò stesso, apologia del terrorismo? Non serve certo un disegno per capire dove porta una tale logica inquisitoriale.

Sul piano locale

Si tratta almeno della quinta inchiesta per «associazione sovversiva con finalità di terrorismo» contro compagne e compagni in Trentino in meno di vent’anni, parlando di quelle di cui siamo a conoscenza in quanto notificate agli indagati. Se a questo aggiungiamo lo stillicidio di processi e condanne per altri reati, i compagni in carcere, ai domiciliari o uccel di bosco, le sorveglianze speciali e il fatto che alcuni compagni e compagne passano da una misura all’altra senza soluzione di continuità praticamente dal 2019, l’operazione «Diana» persegue e prosegue una strategia specifica: farla finita con la presenza anarchica in Trentino, le sue idee, le lotte che esprime o di cui è parte, i suoi spazi, le sue pubblicazioni. E non ci sembra un caso, ad esempio, che mentre sono cominciati a Trento sia i lavori per il TAV sia blocchi e contestazioni, in un’inchiesta per «terrorismo» venga inserita un’iniziativa pubblica di contrasto a una trivella e si vada a ripescare, grazie all’uso poliziesco-giudiziario della genetica, il tentato incendio di un Frecciargento avvenuto il 25 aprile del 2015. (Visto che a DIGOS e PM dà così fastidio che si pubblichino i comunicati di rivendicazione, queste le parole diffuse all’epoca dagli anonimi sabotatori: «In ricordo dei sabotaggi partigiani. Libertà per i compagni in carcere. Ciao Guccio. Non sempre la fortuna aiuta gli audaci»). Tra l’altro, il primo tentativo (fallito) di applicare il 270 sexies è stato quello della Procura di Torino nei confronti dei compagni e della compagna arrestati e condannati per l’azione incendiaria contro il cantiere chiomontino del TAV nel 2014 (il cosiddetto processo del «compressore»).

La morale dell’obbedienza

Negli stessi giorni in cui veniva notificata l’inchiesta «Diana» (con cui volevano sequestrare in carcere e togliere dalle lotte ben 12 compagni e compagne), i PM Raimondi e Ognibene ponevano sotto sequestro giudiziario una porzione del cantiere TAV a Trento Nord (senza che questo fermasse il prosieguo dei lavori complessivi). Un provvedimento interno a un’indagine per «disastro ambientale» – per ora nei confronti dell’amministratore delegato e di un altro responsabile di RFI – aperta in seguito all’esposto fatto da alcuni No Tav. Benché i lavori del TAV continuino tutt’attorno, il sequestro di alcune aree inquinate dall’ex Sloi e dall’ex Carbochimica (in particolare a causa del piombo tetraetile e di vari solventi chimici) e la realtà di un possibile avvelenamento di massa che diventa «ipotesi di reato» hanno sbugiardato le continue rassicurazioni di RFI e le palesi complicità di Provincia e Comune di Trento. Gli stessi magistrati che riconoscono formalmente la fondatezza degli allarmi contro il TAV, colpiscono chi da quegli allarmi trae la logica conseguenza sul piano etico e pratico: costringere con l’azione governo e imprese a non realizzare l’opera. Qual è la morale della storia? A noi sembra questa: se di fronte a un disastro ambientale si fa appello alla magistratura si è dei «cittadini»; se ci si organizza per bloccare o peggio ancora sabotare i mezzi del disastro si è «terroristi» – di più: si è «terroristi» anche se si difendono o soltanto si diffondono le ragioni dell’azione diretta. Si chiama morale dell’obbedienza.

Dal nostro lato della barricata, ogni giorno di obbedienza, ogni giorno di pace sociale è un giorno in più di guerra e di repressione.

anarchiche e anarchici di Trento e Rovereto

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I partigiani fucilati l’8 luglio 1944 a Bolzano. Una storia di Resistenza

Sul muro di un porticato del cimitero di Oltrisarco sono presenti tre lapidi che ricordano tre partigiani veneti fucilati a Bolzano l’8 luglio 1944. Una storia di Resistenza poco conosciuta che è doveroso ricordare. Perchè senza memoria non c’è futuro.

Lapide presente nel cimitero di Oltrisarco a Bolzano

Lapide presente nel cimitero di Oltrisarco a Bolzano

Lapide presente nel cimitero di Oltrisarco a Bolzano

Il diciottenne di Poleo (VI) Luigi Organo Vicchi e il 21enne di Santorso (VI) Luigi Dal Santo Baracca vennero catturati il 20 maggio precedente sull’Altopiano dei Sette Comuni durante il rastrellamento di Porta Manazzo che portò alla morte del partigiano Ferruccio Bergozza Speranza. Leo De Biasi invece fu catturato nel bellunese. Dopo l’arresto furono internati nel carcere di via Dante, a Bolzano. Qui vennero processati dal Tribunale speciale dell’Alpenvorland, che aveva sede a Villa Brigl in via Armando Diaz, e condannati a morte. Va ricordato che dopo l’8 settembre 1943 le province di Bolzano, Trento e Belluno entrarono a far parte della zona d’operazione delle Prealpi, sottoposta alla diretta amministrazione statale tedesca e di fatto sottratta al controllo della Repubblica di Salò.

Documento riportato da Gerald Steinacher nel suo articolo “richiedono il massimo della pena. Il Tribunale speciale per la zona d’operazione delle Prealpi 1943-1945”

Detenuti nel carcere di Bolzano, il sacerdote Don Giuseppe Nicolli riferì che Vicchi morì gridando “Viva l’Italia e viva i Partigiani!”.

Dal libro: “Aspetti e Problemi della Resistenza in Trentino Alto Adige”

Lo storico Gerald Steinacher in un suo articolo ha ricostruito il funzionamento del Tribunale speciale dell’Alpenvorland. Egli riportava come: “Qualora la domanda di grazia, ovvero il procedimento di revisione, veniva respinta, le sentenze di morte del Tribunale speciale venivano eseguite rapidamente con la fucilazione – più raramente con l’impiccagione. Le esecuzioni erano pubbliche a Belluno – meno nel Trentino. Nel territorio della provincia di Bolzano, invece, queste awenivano in luoghi nascosti come per esempio in caserme o cave, senza clamore”.

Si trattava di agire secondo criteri di opportunità politica, infatti:

“Il regime nazista nel Sudtirolo non voleva evidentemente turbare l’immagine di liberazione nazionale con cui si era presentata l’occupazione. Il motivo della diversità nelle forme di esecuzione però potrebbe essere ricercato nella lotta antipartigiana. In territori partigiani come nel Bellunese essa doveva avere un significato di drastico ammonimento. Il regime nazista tenne nascosto per la maggior parte dei casi in provincia di Bolzano non solo le esecuzioni, ma anche le condanne a morte. I casi pubblicati in provincia riguardavano partigiani italiani e casi di omicidio sensazionali. Su queste tematiche e sulla tipologia delle persone interessate la leadership nazista credeva di avere dalla sua parte l’opinione pubblica dei sudtirolesi.”

Prima di affrontare il plotone di esecuzione Luigi Dal Santo scrisse questa lettera alla famiglia:

Cara Mamma e fratelli, Vi faccio il mio ultimo augurio, state sempre allegri e non piangete perché io sono morto contento perché sono in grazia di Dio e per la mia idea. Ciò ancora due ore di vita e mi (…) davanti a tre sacerdoti e già (…) che faccio la comunione e (…) di tutto. Ringrazio di tutto il bene che mi (…) fatto dal mio primo giorno di vita (…) e ora chiedo perdono a tutti se avessi offeso qualcuno. Muoio tranquillo perché tra pochi momenti andrò a vedere Gesù e mio Papà. Mamma non piangere perché io pregherò per te in cielo. Mamma addio. Cara sorella un augurio anche per te, tu spero intercedi per me presso la Madonna, arrivederci a lassù. (…) fratello un ultimo pensiero anche (…) pensa a Mamma e prega per me. Addio in paradiso. Gesù benedica e faccia ritrovare ben preso la pace. Luigi Dal Santo”.

Foto di Luigi Dal Santo, dal profilo Facebook dello storico di Schio Ugo de Grandis

Foto presa dal profilo Facebook dello storico di Schio Ugo de Grandis

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[Bolzano] I detenuti di via Dante rispondono con calore al presidio solidale

Sabato 17 giugno nel pomeriggio, sui prati del Talvera di fronte al carcere di Bolzano, un gruppo di solidali ha espresso la propria vicinanza e la propria solidarietà ai detenuti della struttura di via Dante. Interventi al megafono e musica per far ricordare loro che fuori da quelle mura c’è chi non dimentica che una parte di umanità – spesso la più povera e priva di documenti “giusti” – è costretta a passare lunghi periodi della propria vita priva della libertà. Una presenza solidale per spezzare l’isolamento in cui una parte di umanità è costretta a vivere, o meglio, sopravvivere.

I detenuti hanno risposto con calore all’iniziativa, salutando ed esponendo fogli con ringraziamenti. Rompere l’isolamento è possibile. Il carcere non è la soluzione.

Di seguito il testo che accompagnava l’iniziativa:

Non lasciamo soli i detenuti del carcere di Bolzano

Mentre le condizioni nella fatiscente struttura di Via Dante sono sempre più insostenibili, e d’altra parte sappiamo che un nuovo carcere significherebbe solo più isolamento e controllo, la Provincia, su richiesta di Questura e Commissariato del Governo, erige una grottesca recinzione sul prato antistante le mura, che dichiaratamente dovrebbe inserirsi in una «strategia di contrasto all’universo anarchico dopo le prime offensive contro il 41 bis», per ostacolare iniziative solidali con i detenuti.

La lotta dell’anarchico Alfredo Cospito, che ha messo in gioco la propria vita in sei mesi di sciopero della fame, e la mobilitazione che l’ha accompagnata hanno squarciato come mai prima d’ora era accaduto il silenzio sul regime di annientamento del 41 bis e sull’ergastolo ostativo, mentre lo Stato si assumeva la responsabilità di condannare Alfredo a morte.

Lunedì 19 giugno a Torino è prevista l’udienza per la determinazione delle pene per Alfredo e Anna Beniamino – condannati per una strage senza strage attribuita senza prove – dopo che la Corte Costituzionale ha aperto alla possibilità di applicazione di attenuanti che gli eviterebbero l’ergastolo.

Nel frattempo un altro detenuto in 41 bis, Domenico Porcelli, è in sciopero della fame dal 28 febbraio, mentre si apprende che negli scorsi mesi altri due detenuti sono stati lasciati morire in sciopero della fame nel carcere di Augusta. Sono almeno 58 i morti in carcere dall’inizio dell’anno, di cui gran parte suicidi o per cause «da accertare», come Oskar Kozlowski, morto proprio nel carcere di Bolzano lo scorso anno.

Uno Stato in guerra ha bisogno di pace sociale al proprio interno. Il 41 bis e l’ergastolo ostativo sono le punte estreme di un sistema repressivo che si fa ogni giorno più feroce a tutti i livelli, dalle discariche per esclusi come il carcere di Via Dante ai lager per senza documenti ai giri di vite contro chiunque alzi la testa. Lotte coraggiose come le rivolte dei reclusi che negli scorsi mesi hanno portato – di nuovo – alla chiusura del CPR di Torino ci insegnano però che incrinarlo è possibile.

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[Guerra] Leonardo entra in un’azienda sudtirolese che produce droni

Dalle pagine dell’Alto Adige e del Dolomiten del 7 giugno apprendiamo che Leonardo – multinazionale italiana leader mondiale dell’industria bellica – ha acquisito il 10% della Start-up sudtirolese Flying Basket (FB), entrando così nel suo Consiglio d’amministrazione. Il 25% è in mano a Cysero, fondo di Venture Capital promosso da AVM Gestioni SGR e a Kilometro Rosso. Il restante 65% è invece ripartito tra fondatori e manager dell’azienda.

Dall’Alto Adige di mercoledì 7 giugno

Cysero, promosso congiuntamente con Kilometro Rosso, parco scientifico e tecnologico di Bergamo, investe in startup e Pmi innovative. Mira a sviluppare un polo italiano di cybersecurity e robotica umanoide.

Riguardo l’operazione commerciale l’Alto Adige scrive: «L’interesse di Leonardo è legato al ruolo che FlyingBasket potrebbe giocare nella futura rete logistica nazionale basata su droni cargo, un settore in costante espansione e che fa leva su un fortissima capacità di innovazione».

L’amministratore delegato Moritz Moroder, ha affermato: «Con l’ingresso di Leonardo si consolida un rapporto già sviluppato negli anni in cui il know-how e il network a disposizione della società ha permesso la crescita di FlyingBasket».

Dando una rapida occhiata al sito Internet si legge come la Mission societaria della Start-up sudtirolese sia diventare leader mondiale dei droni cargo per l’applicazione in situazioni critiche dal punto di vista della sicurezza. I valori alla base dell’attività aziendale sarebbero rappresentati dalla necessità di migliorare il modo in cui beni e materiali vengono trasportati: «Noi crediamo che ci sia il bisogno di concentrarsi sull’efficienza e sulla sostenibilità». Il principale prodotto dell’azienda è il drone FB3, capace di trasportare merci per un carico massimo di 100 kg per attività come la logistica industriale, il trasporto forestale, il montaggio di antenne per le telecomunicazioni e la costruzione di linee elettriche.

Sappiamo bene come il Greenwashing sia ormai d’obbligo per aziende e Start-up che intendano fare affari, magari accattivandosi le simpatie dell’opinione pubblica più liberal. Green economy con Leonardo, azienda leader mondiale nella produzione di armi e sistemi bellici?

Leggiamo con grande preoccupazione l’attività della multinazionale leader nei settori della difesa, dell’aerospazio e della sicurezza. Non ci possono essere dubbi sul senso di tale operazione commerciale: come insegna l’occupazione della Palestina da parte di Israele, le guerre statunitensi in Irak e Afghanistan ma ancora di più l’attuale conflitto fra NATO e Russia sul territorio ucraino, l’utilizzo e lo sviluppo di droni rappresenta un settore decisivo nella messa a punto di strategie militari sempre più devastanti. Siano essi utilizzati per azioni militari o per l’implementazione di reti logistiche poco importa: lo stato di guerra in cui ci troviamo spinge il capitale ad intensificare la ricerca intorno a droni e aerei guidati da remoto, strumenti centrali nelle guerre di oggi.

Intorno allo sviluppo di tali tecnologie si gioca una partita importante per il capitale e per le politiche imperialiste di oggi e domani; i movimenti di Leonardo nell’ultimo anno non lasciano spazio a dubbi.  Nel giugno 2022 la controllata statunitense Leonardo DRS e l’azienda israeliana RADA Electronic Industries Ltd. (leader nella fornitura di radar tattici militari e software avanzati) hanno firmato un accordo vincolante di fusione. Secondo il piano degli investitori la neonata società si concentrerà in quattro settori strategici: il rilevamento avanzato, le reti informatiche, la force protection, l’energia elettrica e i sistemi di propulsione, puntando in particolare allo sviluppo e produzione di sistemi di “difesa aerea” a corto raggio per contrastare gli attacchi con droni, missili, artiglierie e mortai, nonché di apparecchiature per la protezione di veicoli da combattimento.

Manifestazione “Disarmiamo Leonardo” a Genova. Leonardo produce e vende missili, siluri, droni, aerei ed elicotteri da combattimento, tecnologie per il controllo dei confini e delle rotte migratorie. Sono di Leonardo le armi con cui l’esercito saudita spara in Yemen, gli elicotteri e gli aerei con cui l’esercito turco bombarda il Rojava. Ecco cosa produce questa eccellenza nazionale. Chi vive di guerra non può farne a meno.

Intervistato dalla testata specializzata Breaking Defense, l’ex vicesegretario Usa ha pure rilevato che la fusione Leonardo DRS-RADA giunge in un momento storico cruciale che non potrà non avere effetti sulla domanda mondiale di sistemi anti-drone e anti-missile. “Il conflitto in Ucraina ha mostrato la vulnerabilità delle forze armate agli attacchi dei velivoli senza pilota e ha evidenziato la necessità di sistemi di protezione moderni ed efficienti”, ha dichiarato William J. Lynn III. “Ciò non sta solo accelerando le richieste degli Stati Uniti di questi sistemi, ma sta anche spingendo i paesi europei, che sono vicini a quest’area di guerra, ad acquistare sempre più numerosi assetti per la difesa delle proprie forze. Oltre all’odierno conflitto in Europa, la lotta al terrorismo e contro le minacce di Cina, Russia ed altri paesi, faranno accrescere la domanda di tecnologie avanzate prodotte dalla Compagnia Combinata”.

Nell’ottobre 2022 i dirigenti di Leonardo DRS (Arlington, Virginia) hanno reso noto che l’unità commerciale dei sistemi terrestri di St. Louis, Missouri, ha stipulato un accordo con la SpearUAV Ltd. di Tel Aviv per sviluppare una versione delle munizioni aeree Viper su scala nanometrica “per andare incontro alle richieste emergenti di molteplici clienti militari statunitensi”.

Si conferma clamorosamente ipocrita la retorica Green utilizzata da aziende come Flying Basket, che non si fanno scrupoli a collaborare ed entrare in società con multinazionali come Leonardo, colonne dell’apparato militare-industriale, che tanti interessi ha affinché la guerra continui a devastare e uccidere in Ucraina e ovunque ci siano profitti da spremere. Dal massacro dei curdi nella Siria del Nord all’occupazione israeliana della Palestina, il sangue di migliaia di proletari è versato anche grazie ai mezzi costruiti da Leonardo.

L’entrata di Leonardo nella Start-up sudtirolese conferma ancora una volta come i responsabili delle guerre che mietono vittime e distruzione inizino il lavoro nelle nostre città. Oltre a banche armate come Unicredit e Intesa San Paolo nella città di Bolzano è presente lo stabilimento Iveco Defence Vehicles. La presenza – per ora minima – di Leonardo all’interno di FB aggiunge un ulteriore tassello ad un’economia che per quanto provi a tingersi di verde, nella realtà continua a mietere distruzione, sfruttamento e morte. Oggi più che mai, in gran parte grazie ai droni.

Per approfondire riguardo le attività di Leonardo alcuni link:

Leonardo si fonde con l’israeliana RADA

La Leonardo DRS punta sulla produzione di droni-kamikaze

La regione Puglia produrrà droni con aziende israeliane

Leonardo prima azienda dell’UE per ricavi da vendita di armi

Leonardo punta tutto sulla guerra?

Riguardo il ruolo dei droni nei conflitti odierni si consiglia la lettura del libro Teoria del drone: principi filosofici del diritto di uccidere di Grégoire Chamayou

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[Bolzano] 2 giugno: La pace non si fa con gli eserciti

Nei giorni precedenti alla pubblicazione di queste righe sui principali giornali mainstream italiani si sono letti articoli che, in seguito all’appello lanciato da manager del settore informatico riportavano titoli apocalittici: Intelligenza artificiale come pandemia e guerra nucleare. Gli stessi ricercatori che hanno permesso lo sviluppo dell’Intelligenza artificiale (IA), fra cui l’amministratore di OpenAI Sam Altman, hanno firmato una lettera aperta in cui si afferma che l’IA «Pone una minaccia esistenziale all’umanità e dovrebbe essere considerata un rischio sociale come le pandemie e le guerre nucleari». Nella stessa lettera i firmatari si rivolgono a chi detiene il potere politico per esortarlo a mettere fra le proprie priorità la necessità di «mitigare il rischio di estinzione posto dall’intelligenza artificiale».

Una lettera del genere – nella sua follia – è indicativa dei tempi in cui viviamo e ricorda ciò che scriveva Karl Marx a proposito della borghesia, paragonata ad un apprendista stregone incapace di domare le potenze oscure da lui stesso evocate. 

Dopo due anni di pandemia – con annessa criminalizzazione del dissenso e gestione emergenziale – e relativa comunicazione bellica siamo passati, dal 24 febbraio 2022, alla guerra vera e propria, combattuta per ora sulla pelle della popolazione ucraina e dei soldati ucraini e russi, costretti a combattere e morire per gli interessi delle rispettive oligarchie. Una guerra di cui non si vede fine e che l’apparato propagandistico legato alla NATO intende portare avanti “fino all’ultimo ucraino”. 

Non serviva certo arrivare ai rischi connessi allo sviluppo dell’IA; la corsa verso il disastro prodotta dalla sete di profitto del grande capitale è già ampiamente avviata dallo sfruttamento intensivo della natura, dal moltiplicarsi di guerre che – dall’Ucraina al Sudan, dalla Siria alla Palestina – incendiano il mondo, dalla criminalizzazione del dissenso sempre meno tollerato da media e detentori del potere politico.

Una corsa che continua, anno dopo anno e che, in particolare nelle ricorrenze ufficiali come 4 novembre e 2 giugno, ne celebra la continuazione. Anche quest’anno la Festa della Repubblica, a Bolzano come nel resto d’Italia, è stata segnata dalla solita presenza in piazza delle forze armate e dalla retorica delle autorità, impregnate di sterili frasi preconfezionate il cui compito è salvaguardare gli interessi di chi ci sta portando verso un conflitto armato di proporzioni sempre più ampie, imponendo ai proletari condizioni di vita sempre peggiori, con continui tagli a sanità, Welfare e istruzione.

Anche durante le celebrazioni del 2 giugno 2023 in piazza Walther esposte armi e mezzi militari e grandi e piccini (foto presa dal giornale Alto Adige)

Soltanto il giorno dopo, dalle pagine dei giornali, è emerso come uno studente 16enne di un liceo cittadino si sia rifiutato di leggere il proprio discorso, pesantemente censurato e stravolto dalla Ripartizione pedagogica della Provincia. Un chiaro esempio di pedagogia istituzionale.

Nonostante l’impressionante campagna militarista e propagandistica messa in atto da Governo e media mainstream nell’ultimo anno e mezzo, la maggioranza della popolazione resta contraria all’invio di armi così come alle politiche che nella realtà stanno alimentando un conflitto in cui, al netto della propaganda, l’unico dato reale è la devastazione di un Paese e la morte di decine di migliaia di uomini, donne e bambini.

Nonostante le costanti calunnie, censure e false informazioni alimentate dalla propaganda militarista e guerrafondaia contro pacifisti e antimilitaristi la mobilitazione contro la guerra continua, a Bolzano così come in centinaia di altre città.

Dalle ore 10 in piazza Domenicani, un centinaio di persone hanno partecipato alla manifestazione organizzata dall’Assemblea antimilitarista bolzanina.

Dopo una buona mezzora di interventi al megafono (il cui eco giungeva anche nella piazza in cui si svolgevano le celebrazioni istituzionali) ascoltati con interesse dai passanti è partito un corteo che ha attraversato le vie del centro storico. Lo striscione che ha aperto il corteo riportava la stessa scritta presente su quello che alcuni antimilitaristi avevano provato a srotolare in piazza Walther durante le cerimonie militari del 4 novembre scorso e perciò denunciati per vilipendio della Repubblica e delle Forze armate. Una frase semplice che riassume un concetto altrettanto semplice: La pace non si fa con gli Eserciti. 

“Governo Meloni Governo dei padroni”

Dopo una sosta in piazza Erbe la manifestazione è proseguita verso piazza del Grano (a pochi passi dalla piazza delle celebrazioni) dove il corteo si è concluso e in cui sono ripresi interventi e slogan contro la guerra e tutto ciò che la permette. 

Una bella giornata di lotta, che ha saputo riempire di contenuti una celebrazione altrimenti ridotta a sfilata delle forze armate ed esaltazione del militarismo. In un momento storico in cui la guerra fa parte della nostra realtà non si può lasciare lavorare in pace chi ci lucra sopra e chi, su giornali e televisioni, la giustifica. Di seguito il testo del volantino distribuito in centinaia di copie durante la manifestazione, che riassume una parte dei contenuti espressi e condivisi dall’Assemblea.

2 Giugno: Una Repubblica fondata sulla guerra?

Il 2 giugno lo Stato italiano celebra la Festa della Repubblica con parate, esposizioni di armi e altri strumenti di guerra. Ogni anno anche a Bolzano in piazza Walther le varie forze armate nei loro stand offrono ad adulti e bambini la possibilità di salire su veicoli militari e familiarizzare con le armi.

Una celebrazione dell’apparato militare-industriale e dell’Esercito italiano, da 30 anni impegnato in decine di missioni militari all’estero, ovunque gli interessi del capitale lo richiedano. Almeno 1500 soldati italiani si trovano oggi al confine con l’Ucraina, pronti a intervenire contro la Russia.

È passato oltre un anno dall’inizio della fase più cruenta della guerra in Ucraina. Non si tratta di una guerra fra Russia e Ucraina: è una guerra tra la NATO e la Russia sul territorio ucraino. Un conflitto preparato da molti anni: le truppe di Kiev erano armate e istruite dalla Nato almeno dal 2014, dopo il golpe di Euromaidan. Dopo 8 anni di guerra in Donbass, l’invasione russa è la tragica conseguenza di una crisi iniziata prima del 2014 e che ha visto degenerare in conflitto armato la rivalità fra blocco occidentale e Russia per il controllo delle immense risorse naturali dell’Ucraina (nel Donbass si trovano fra l’altro le maggiori riserve europee di metalli rari, che sono alla base dell’industria hi-tech e della cosiddetta green economy).

La guerra in Ucraina, per ciò che è e per il futuro che prepara, è una guerra contro i proletari ucraini, russi e di tutto il mondo. Mentre le industrie del complesso militare-industriale (fra cui la bolzanina Iveco) maturano osceni profitti e le spese militari aumentano in modo esponenziale, i folli costi delle politiche guerrafondaie di riarmo vengono come al solito scaricati sui lavoratori tagliando laspesa sanitaria, scolastica e sociale e intensificando lo sfruttamento, mentre lo stato di emergenza spinge a militarizzare la società, inasprendo la repressione e restringendo gli spazi di dissenso, sempre più criminalizzato e marginalizzato.

Giornalisti e intellettuali con l’elmetto sono arruolati a tempo pieno – ora anche nel Comitato per la cultura della Difesa istituito dal ministro Crosetto – con l’incarico di diffondere false informazioni, avvelenare il dibattito, inquinare i ragionamenti, stilare liste di proscrizione e calunnie contro i pacifisti e gli antimilitaristi, e legittimare il partito unico della guerra che – da Fratelli d’Italia al Partito Democratico – ci sta portando verso un punto di non ritorno.

La guerra inizia qui. Mentre il governo Meloni, in perfetta continuità con quello Draghi, obbedisce ai diktat degli USA inviando navi militari al largo della Cina – principale obiettivo delle politiche guerrafondaie americane – sul fronte interno il territorio italiano, come quello di altri paesi europei, è diventato di fatto una retrovia del fronte ucraino. In Italia vengono addestrati soldati ucraini, dalla base NATO di Sigonella in Sicilia partono droni di supporto ad azioni militari in Ucraina, la Sardegna con i suoi poligoni e le sue basi – italiane e USA – è trasformata in un’area di esercitazioni belliche, così come le montagne del Sudtirolo, dove lo scorso marzo si è svolta un’esercitazione cui hanno partecipato, oltre ad alpini e aeronautica, soldati francesi e statunitensi.

Solo una vasta mobilitazione dal basso può imporre la pace, a partire dallo stop all’invio di armi sempre più micidiali. Finché non ci sarà una rottura del fronte interno in Russia, Ucraina o nei paesi Nato, la guerra continuerà. Con ciò anche la possibilità di un terzo conflitto mondiale, verso cui ci stanno trascinando. Muoviamoci prima che sia troppo tardi. Smascheriamo la propaganda e gli sporchi interessi di chi vuole che la guerra continui.

Solidarietà ai disertori di entrambi i fronti!

Il nemico è alle spalle, in casa nostra!

Organizziamoci contro le guerre degli stati e dei padroni!

Disertiamo la loro guerra!

Assemblea antimilitarista bolzanina

Per contatti: bzantimilitarista@inventati.org

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[Bolzano] 2 giugno: Censurato discorso di uno studente

In occasione della Festa della Repubblica, durante le cerimonie istituzionali svoltesi in Piazza Walther, sono stati a chiamati a fare degli interventi anche alcuni studenti delle scuole superiori del Sudtirolo.

Come si apprende dai giornali locali e nazionali pubblicati il giorno successivo, un giovane studente 16enne iscritto ad un liceo cittadino si è rifiutato di salire sul palco delle autorità per leggere un discorso che aveva subito una pesante censura.

Secondo quanto riportato da Il Fatto quotidiano del 3 giugno il giovane sarebbe stato invitato sul palco proprio perché appassionato di politica. Avrebbe voluto portare sul palco alcuni dei temi che gli stanno più a cuore e contribuire così a riempire di senso una celebrazione altrimenti carica solo di retorica e frasi di circostanza. Il suo discorso in cui denunciava il pericolo neofascista, il divario crescente fra richhi e poveri, la distruzione dell’ambiente è stato riscritto e distorto, a sua insaputa, dalla Ripartizione pedagogica della Provincia: salvo alcune righe, tutto il resto è stato censurato, cancellato, svuotato e sostituito da un contenuto ritenuto più consono a tale celebrazione in cui, secondo la versione riveduta e corretta, l’unico rischio per la democrazia sarebbe ridotto alla diffusione di false informazioni.

Sempre secondo quanto riportato da Il Fatto il discorso, una volta passato al vaglio del Commissariato del Governo, era stato rispedito allo studente che avrebbe dovuto pronunciarlo nella sua nuova versione.

A questo punto il giovane si è rifiutato di leggere un testo snaturato, sterilizzato e di fatto non più suo. Come egli stesso ha affermato: «Non c’era praticamente più nulla di mio di ciò che ritenevo importante dire in un giorno tanto importante per la democrazia». Di fronte alle proteste della madre per l’accaduto gli è stato detto che il discorso non andava bene perché “troppo politico”.

Un piccolo episodio di ordinaria censura che restituisce bene un clima politico in cui gli unici autorizzati ad esprimersi sono coloro che si uniscono al coro. 

Confidiamo che il giovane studente saprà trarre da tale esperienza una lezione che vale per ogni persona che lotta o che intende lottare contro le ingiustizie strutturali della nostra società: il dissenso è tollerato solo se non rompe gli schemi e se viene ridotto a sterili slogan incapaci di colpire il cuore decisionale che le produce. 

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[Trentino – Sudtirolo] 27/5 e 2/6 Continua la mobilitazione contro la guerra

A distanza di oltre un anno dall’inizio della fase più cruenta della guerra in Ucraina, nonostante la propaganda guerrafondaia bipartisan ed a canali unificati, continua in Regione la mobilitazione contro la guerra e gli interessi che ne sono alla base, perfettamente rappresentati dagli ospiti che interverranno al Festival dell’Economia che si svolgerà a Trento dal 25 al 28 maggio. L’organizzazione del Festival fa capo al giornale di Confindustria Il Sole 24 ore e dal programma si vede chiaramente.

In una città appestata dalla propaganda capitalista che si prepara ad allestire scenari sempre più distopici in cui schiacciare i proletari, l’assemblea contro la guerra di Trento ha lanciato per per sabato 27 maggio un corteo contro la guerra che partirà alle ore 15 da piazza Dante, di fronte alla stazione dei treni. Un raggio di luce e umanità nella realtà sempre più grigia in cui ci costringono a vivere. 

Pochi giorni dopo, il 2 giugno a Bolzano, l’assemblea antimilitarista bolzanina ha lanciato un’altra manifestazione che si terrà alle ore 10 in piazza Domenicani, per contestare la parata militare che si tiene ogni anno in piazza Walther, in occasione della Festa della Repubblica. In un momento storico in cui la guerra scivola verso esiti sempre più imprevedibili, rilanciare la necessità di costruire un’opposizione dal basso alla guerra e al disastro verso cui il potere ci sta trasciando, è il minimo che si possa fare. Per rompere l’apatia con cui la maggioranza dell’umanità assiste inerme ai disastri commessi da chi detiene il potere. Perchè, come scritto nel testo che lancia l’iniziativa:

La guerra in Ucraina, per ciò che è e per il futuro che prepara, è una guerra contro i proletari ucraini, russi e di tutto il mondo. Mentre le industrie del complesso militare-industriale (fra cui la bolzanina Iveco) maturano osceni profitti e le spese militari aumentano in modo esponenziale, i folli costi delle politiche guerrafondaie di riarmo vengono come al solito scaricati sui lavoratori tagliando la spesa sanitaria, scolastica e sociale e intensificando lo sfruttamento, mentre lo stato di emergenza spinge a militarizzare la società, inasprendo la repressione e restringendo gli spazi di dissenso, sempre più criminalizzato e marginalizzato.

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A oltre 6 anni dall’arresto di Firas Fadel al Brennero. Una riflessione

L’8 gennaio 2017 i giornali locali annunciavano con enorme enfasi l’arresto di Firas Fadel, operatore della Cooperativa Volontarius responsabile del Centro di accoglienza migranti al passo del Brennero.

Va ricordato come l’arresto avvenne in un contesto politico preciso e molto teso in merito alla questione migratoria. Solo l’anno precedente l’Austria minacciava di costruire un muro contro i profughi che intendevano raggiungere il nord Europa, il confine era militarizzato ed alla stazione di Bolzano i reparti celere dei Carabinieri eseguivano controlli al viso sui passeggeri che salivano sui treni diretti a Monaco. Contro il muro minacciato dall’Austria nel maggio 2016 si era svolta una manifestazione contro le frontiere che aveva portato oltre 600 compagni e compagne a manifestare al confine. Nel corso della giornata di lotta si erano verificati scontri con i reparti celere di Polizia e Carabinieri e per alcune ore la circolazione al confine di merci e persone fu completamente bloccata. In particolare la Lega di Salvini – ma anche tutto il sottobosco neofascista da Fratelli d’Italia in poi – era da tempo attiva nella costruzione di una violentissima campagna di odio verso profughi e migranti, individuati come il nemico interno ideale verso cui indirizzare l’odio e la frustrazione dei proletari italiani. Era il tempo in cui la “Bestia” di Salvini e dei suoi epigoni locali (vedi Maturi) macinava quotidianamente falsità su stranieri e immigrati da dare in pasto ai follower assetati di sangue. Era il tempo in cui la Lega di Filippo Maturi (che si vantava pubblicamente delle proprie delazioni a danno di senzatetto e stranieri che vivevano in alloggi di fortuna) organizzava convegni insieme ad Andrea Crippa ed a esponenti di Generazione Identitaria per promuovere raccolte fondi da destinare a progetti antiimmigrazione poi naufragati miseramente.

Un periodo difficile che aveva visto crescere in modo esponenziale la violenza verbale e le calunnie della destra più o meno estrema, impegnata nell’attaccare i “buonisti” ovvero tutti coloro che non rimanevano indifferenti al passaggio di migliaia di esseri umani in cerca di fortuna e che in qualche modo si adoperavano per aiutarli. Era un periodo in cui numerosi centri di accoglienza vennero attaccati con bombe molotov in Trentino (azioni tollerate ed a volte giustificate da politica e istituzioni) ma anche nel resto d’Italia, e in cui Salvini metteva alla pubblica gogna chiunque – da avvocati a gestori di alberghi – si mettesse a dare una mano nell’accoglienza di stranieri.

All’interno di questo contesto di forte pressione politica e mediatica che evidentemente influenzò anche la magistratura, nel gennaio 2017 venne arrestato Firas Fadel, nell’ambito dell’indagine Nockel, condotta dalla squadra mobile di Bolzano, dalla Bundespolizei tedesca e del Bundeskriminalamt (BK) di Vienna, sotto la supervisione di EUROPOL e coordinata dalle Procure di Berlino, Vienna e Bolzano. Secondo l’indagine coordinata dal Pubblico ministero della Procura di Bolzano Igor Secco, l’operatore Fadel Firas sarebbe stato il punto di riferimento di un’associazione criminale dedita al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina a scopo di lucro. Ad inchiodarlo, secondo l’accusa, la testimonianza di una famiglia siriana che gli avrebbe dato 1700 euro nel bagno del centro profughi al Brennero. Va ricordato come, sempre in quel periodo diversi paesi europei (fra cui Croazia e Ungheria) stavano studiando nuove leggi repressive per arrestare e colpire chiunque aiutasse anche solo materialmente, i profughi in transito per il proprio paese. Ad essere sotto accusa era la stessa umana solidarietà, di fatto criminalizzata.

Intorno al suo arresto ci fu una vera e propria gogna mediatica in cui tutti – senza rilevanti eccezioni – accorsero a scagliare pietre sull’indagato. Dalla Lega a Fratelli d’Italia fino alle organizzazioni neofasciste come CPI e Forza Nuova tutti videro nell’arresto di Firas la conferma delle proprie deliranti posizioni. La Cooperativa Volontarius si riservava inoltre di costituirsi parte civile nel Processo.

Nel frattempo Fadel ha conosciuto carcere e un lungo periodo di detenzione domiciliare preventiva, ha perso il lavoro ed è stato sbattuto sui giornali locali e nazionali come un profittatore che speculava sul bisogno della povera gente.

A distanza di oltre 6 anni dall’arresto, adesso è caduta l’aggravante del “fine di lucro” insomma è caduto il nucleo principale dell’accusa. Appurato che non ci ha guadagnato nulla nell’avere aiutato i profughi il 26 giugno 2023 ci sarà presumibilmente l’ultima udienza in cui verrà emessa la sentenza sulla base delle accuse del solo “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”. Una formula che potrebbe portare a condanne anche solo per aver fornito delle informazioni o fornito un aiuto materiale a chi intendeva passare il confine.

Una notizia su cui non c’è alcun clamore, il tritacarne della magistratura, sostenuto dall’apparato mediatico, ha già avuto il suo pasto.

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[Bolzano] Corteo del 25 aprile contro Guerra, fascismo, sfruttamento.

Martedì 25 aprile, in occasione del 78° anniversario della liberazione dal nazifascismo, un corteo pieno di contenuti e determinato ha attraversato le strade della città di Bolzano. Almeno 300 persone hanno partecipato alla manifestazione, partita intorno alle 11.30 dal parco della stazione. Lo striscione di apertura riportava il titolo del volantino e della stessa manifestazione: “Contro Guerra. Fascismo e sfruttamento: Ora e sempre Resistenza”. Per ribadire che oggi, in tempi di guerra, essere antifascisti non basta: occorre rilanciare la lotta per cambiare radicalmente un sistema economico costruito sullo sfruttamento indiscriminato di uomini e natura, che sta portando l’intera umanità al disastro in cui, come sempre, saranno i poveri a pagare il prezzo più alto.

Le idiozie pronunciate dal Presidente del Senato, il nostalgico del fascismo Ignazio La Russa, hanno occupato pagine di giornali per giorni. Ma poco o nessuno spazio è stato riservato alle proposte di legge che intendono restringere, in modo ben più concreto e strutturale, spazi di libertà e lotta. Il Governo Meloni nei pochi mesi in cui è al potere, oltre ad avere confermato il proprio appoggio acritico alle politiche guerrafondaie degli Stati Uniti, sta portando avanti una violentissima politica di guerra ai poveri e alle parti più deboli della società.

Dopo il cosiddetto “Decreto Rave”, che ha introdotto il carcere da 3 a 6 anni per chi promuove raduni musicali in aree occupate, nuovi provvedimenti repressivi sono stati proposti contro chi promuove occupazioni a scopo abitativo (fino a 9 anni di carcere) e contro gli attivisti ambientalisti di Ultima Generazione, per i quali è stato preparato un disegno di legge ad hoc che prevede “la reclusione da sei mesi a tre anni per chi deturpa o imbratta edifici pubblici o di culto ed edifici sottoposti a tutela come beni culturali”.

Altri provvedimenti a cui sta lavorando il Governo seguono la stessa linea: colpire il dissenso oppure i settori più deboli e marginali della popolazione. Ricordiamo ad esempio la proposta di legge per inasprire le pene carcerarie per i consumatori di droga, quella proposta da 13 senatori per abolire di fatto le pene alternative al carcere oppure la volontà di abolire la protezione speciale per i richiedenti asilo.

Allo stesso tempo il partito di maggioranza al Governo ha formulato una proposta di legge per abrogare il reato di tortura. Insomma, oltre allo stato di guerra permanente in cui viviamo da oltre un anno i motivi per contestare il Governo andando oltre le stupidaggini del Presidente del Senato, sono concreti, reali ma purtroppo da rendere visibili agli occhi della popolazione. 

La partenza del corteo dal parco dela Stazione

Dopo la partenza, il corteo ha percorso via Grappoli, piazza Muncipio, via Portici e via Museo. Durante il tragitto numerosi interventi si sono susseguiti a proposito di repressione, devastazione ambientale e sfruttamento dei lavoratori. Non sono mancati interventi contro la guerra e contro la deriva guerrafondaia in cui la borghesia ci sta trascinando.

 

Il volantino condiviso dall’assemblea e distribuito durante il corteo.

In piazza Municipio e dopo aver attraversato Ponte Talvera la musicista Valentina Soster ha intonato alcuni canti partigiani, accompagnata dai partecipanti. Il corteo è poi finito al Parco Petrarca, presso la festa organizzata dal Comitato LAC, ritornata ad essere dal vivo dopo 3 anni di sospensione a causa del COVID. Il corteo è poi stato seguito da una diretta di Radio Tandem, a completare una giornata che ha visto una grande e intensa partecipazione. 

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[Sudtirolo] Springerstiefel und Lederhosen. La violenza neonazista a Merano nei primi anni 2000

La storia del neofascismo in Sudtirolo e in generale di tutto l’estremismo di destra è ancora tutta da scrivere. Una storia costellata di violenze, in alcuni casi degenerata in omicidi come nel caso del cameriere ucciso in via Resia nel 1971 da un militante missino oppure il brutale pestaggio ad opera di neonazisti italiani che nel 2003 portò alla morte del 26enne Fabio Tomaselli. In altri casi solo per fortuna non si sono avute conseguenze gravissime sulla vita delle persone aggredite. Il mito della violenza e la sua esaltazione è parte centrale nella militanza neofascista, la cui attività politica è sostanzialmente basata su un uso sistematico della violenza nei confronti di chi esce dai loro miseri schemi, in particolare contro stranieri, senzatetto e coloro che si oppongono alla loro propaganda politica. Nella stessa Bolzano così come in altre parti della Provincia non si contano gli episodi più o meno grandi che negli anni hanno visto neonazisti o neofascisti – a seconda del gruppo linguistico di appartenenza – protagonisti di violenze a danno di giovani “di sinistra” o genericamente “alternativi”. Episodi spesso sottovalutati e ridotti dai media borghesi come “scontri fra bande” oppure “opposti estremismi”; formule mistificatorie oggettivamente complici di tali aberranti ideologie poiché non è  accettabile mettere sullo stesso piano chi si rivendica Auschwitz e la guerra con chi lotta per la giustizia sociale e la libertà, contro razzismo, sfruttamento e violenza.

Negli ultimi mesi, a Bolzano e Merano è stato presentato il lavoro Springerstiefel und Lederhosen; una ricerca multimediale curata da Alexander Indra e Mara Stirner sulla violenza neonazista nella zona di Merano all’inizio degli anni 2000. Un progetto che ha il merito di avere recuperato una memoria e un percorso di lotta e resistenza in un contesto ostile ed estremamente violento in cui anche spazi di libertà minimi andavano conquistati e difesi con i denti.

Attraverso alcune interviste audio alle vittime – e a coloro che si sono oppost* attivamente alle attività dell’estremismo di destra – viene riallacciato un filo di ricordi personali e memorie che diventa storia collettiva. Un mosaico che descrive una realtà sconosciuta a chi non frequentava concerti, discoteche e la vita serale a Merano e dintorni nel primo decennio degli anni 2000. Sostanzialmente una realtà sconosciuta a chi – per un motivo o per l’altro – non era un obiettivo delle minacce e violenze neonaziste. Fra aggressioni e intimidazioni infatti essere punk o avere un look “alternativo” rappresentava un radicale atto di resistenza.

Come racconta uno dei protagonisti: “brutti ricordi ma è anche stato un bel momento perchè fra amici si è rimasti uniti e si combatteva per una buona causa”. Un periodo da cui nasce l’esperienza dell’Antifa Meran come risposta politica alla necessità di rompere il clima omertoso presente intorno alla violenza neonazista e alle protezioni che essa godeva negli ambiti tradizionalisti della società sudtirolese.

Un lavoro che ha il merito di aver fatto raccontare quelle difficili esperienze a chi le ha vissute direttamente sulla propria pelle, senza mediazioni, e che, come ricorda il titolo (tradotto significa Anfibi e pantaloni di pelle) attraverso i ricordi di alcuni protagonisti indaga sul brodo di coltura in cui i neonazisti in alcuni casi hanno prosperato: associazioni degli Schuetzen e partiti cosiddetti patriottici come Suedtiroler Freiheit oppure Freiheitlichen.

La ricerca è divisa in 4 capitoli intitolati violenza, strutture, conseguenze e resistenza. Una storia da conoscere perchè parla anche del presente, della necessità di non abbassare mai la guardia di fronte alle aberranti ideologie nazifasciste, sempre presenti e oggi più che mai legittimate dalla presenza al Governo italiano di un Partito – Fratelli d’Italia – che non fa mistero dei propri legami con il neofascismo. Ricordiamo come oltre alle interviste audio, del progetto fanno parte anche foto e altri materiali esposti in una mostra presso il circolo culturale Est Ovest a Merano fino al 29 aprile 2023.

Le interviste che potete ascoltare nei video “sottolinkati” sono tutte trascritte in tedesco e tradotte in italiano.

Capitolo 1: Violenza

Capitolo 2: Strutture

 

https://youtu.be/I0tIJNVmDL0

Capitolo 3: Conseguenze

Capitolo 4: Resistenza

 

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