[Processo Brennero] Venerdì 14 maggio sentenza e presidio solidale a Bolzano

Ad oltre 5 anni dalla manifestazione contro la costruzione del muro antimigranti al Brennero, venerdì 14 maggio, presso il Tribunale di Bolzano, verrà pronunciata la sentenza relativa al secondo troncone processuale che vede 63 compagni/e imputati di vari reati fra cui il famigerato articolo 419 del codice penale ossia il reato di “Devastazione e saccheggio”. Per approfondimenti riguardo questo reato rimandiamo alla puntuale analisi di Prison Break Project (PBP) pubblicata nell’articolo Devastazione e saccheggio: un reato politico da abolire.

Ricordiamo che un primo filone processuale nello scorso novembre è già arrivato alla sentenza di primo grado ed ha visto condanne molto pesanti contro altri 63 manifestanti, in gran parte dei casi condannati a pene comprese fra 7 e 10 mesi per i reati di radunata sediziosa, interruzione di pubblico servizio e travisamento. Condanne spesso assurde ma non sarà nel presente articolo che si farà il compito che spetta agli avvocati nelle aule del Tribunale.

Tuttavia il filone che richiede la massima attenzione è quello che sta per giungere alla sentenza il prossimo venerdì. I pubblici ministeri rappresentanti dell’accusa hanno richiesto infatti condanne per un totale di oltre 330 anni di carcere. Per alcuni imputati le richieste di condanna arrivano a 15 anni di carcere, ridotti per via della scelta del rito abbreviato.

Solo chi è in malafede può pensare che il processo in atto non abbia connotazioni politiche di cui i magistrati dell’accusa si sono fatti carico di rappresentare. Al di là dei farfugliamenti mediatici che hanno avuto – e hanno – l’evidente obiettivo di mistificare lo spirito di quella giornata che i compagni hanno apertamente rivendicato, i magistrati inquisitori bolzanini si sono posti l’obiettivo di far pagare il prezzo più alto possibile a chi non è rimasto al caldo mentre le politiche governative determinavano la morte di migliaia di dannati in fuga da guerre e miseria. Alcune decine di compagni rischiano condanne di carattere persecutorio per avere espresso il proprio dissenso contro la costruzione di un muro che avrebbe reso la frontiera ancora più un fattore mortale.

Riprendiamo un testo scritto in solidarietà ai compagni sotto processo apparso sulla pagina Facebook di Bolzano antifascista:

Venerdì 14 maggio presso il Tribunale di Bolzano verrà pronunciata la sentenza per i fatti relativi alla manifestazione contro le frontiere del 7 maggio 2016 al Brennero. Per 63 compagni/e imputati/e l’accusa ha richiesto oltre 330 anni di carcere complessivi. Molti di loro sono imputati dell’articolo 419 del codice penale ossia Devastazione e saccheggio, un reato indefinito e dai contorni ambigui, utilizzato sempre più spesso nei processi politici – legati a manifestazioni o rivolte nelle carceri – poiché si presta a paradossali ed acrobatiche interpretazioni che possono trasformare un semplice danneggiamento in un’azione che può incredibilmente portare a condanne fino a 15 anni di carcere. Tutto ciò sulla base della discrezionalità del giudice.

A 5 anni da quella giornata di lotta le ragioni che animarono centinaia di compagni e compagne a scendere in strada al Brennero non sono venute meno, anzi. Il razzismo strutturale ed il neocolonialismo dei paesi occidentali continua a provocare la morte e la sofferenza di migliaia di uomini e donne, nei lager in Libia, sul fondo del Mediterraneo, supportando regimi dittatoriali complici, vendendo armi o sganciando bombe dove il profitto di imprese e multinazionali lo richiede. In Italia invece da un lato mani padronali sparano ai braccianti schiavizzati nei campi agricoli, come successo da poco in Puglia, mentre dall’altro si attivano le Procure per intimidire i lavoratori che scioperano ricattando chi è di origine straniera, come successo a Piacenza dove un’inchiesta contro il locale movimento operaio ha portato, fra le altre cose, all’avvio di alcune procedure di revoca del permesso di soggiorno per chi ha scioperato. All’interno di tale terrificante situazione il decreto sicurezza voluto da Salvini e dal movimento 5 stelle ma accettato di buon grado da tutte le principali forze politiche criminalizza con anni di carcere ogni forma di lotta politica e sociale estendendo a tutta la popolazione la condizione che prima era riservata agli stranieri, con o senza documenti. Oltre a ciò, in particolare durante lo stato d’emergenza, numerose sono state in tutta Italia le operazioni repressive orchestrate contro compagni solidali con i detenuti o contro attivisti solidali con gli immigrati, venendo per ciò accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. In poche parole si conferma il principio per cui – nelle intenzioni del potere – la repressione e l’intimidazione della minoranza ha la funzione di allineare la maggioranza.

Nel 2016 il Governo austriaco – dopo aver militarizzato la frontiera del Brennero – intendeva costruire una barriera per impedire agli immigrati di raggiungere il Nord Europa. Sempre più muri e barriere (Palestina-Israele, Messico-Usa, Siria-Turchia, Ungheria-Serbia) sorgono in tutto il mondo per difendere i privilegi di pochi dalla miseria dei più e chi scese in piazza al Brennero quel giorno non aveva intenzione di girarsi dall’altra parte o fare finta di nulla mentre, a pochi passi da casa nostra venivano attuati dispositivi che avrebbero avuto l’unico risultato di aumentare il numero di morti fra i dannati costretti a estenuanti fughe e pericolosi viaggi per cercare una situazione dignitosa in cui vivere. L’ennesimo provvedimento di una lunga guerra ai poveri che nello stesso periodo vedeva giornalieri controlli al viso nella stazione dei treni di Bolzano da parte dei carabinieri antisommossa, in cui chi aveva la pelle di un colore diverso dal bianco veniva sistematicamente fermato e controllato.

Ogni lotta per affermare un principio di giustizia e libertà ha storicamente comportato un prezzo, spesso pesante per chi non è rimasto indifferente alle sofferenze dei più deboli ed al grido soffocato di chi non ha voce per farsi sentire. Abbiamo visto come i procuratori bolzanini siano determinati a farlo pagare.

É fondamentale che venga compreso come questo processo non riguardi solo i singoli imputati bensì tutti e tutte, poiché se passano tali folli teoremi accusatori il prossimo ad essere accusato potrebbe essere, nei prossimi tempi che si annunciano a dir poco difficili, chiunque lotti attivamente contro un sistema economico capitalistico che devasta e saccheggia – questo sì – ambiente e risorse naturali, scavando abissi sempre più profondi fra una piccola minoranza di miliardari e borghesi privilegiati ed un’enorme massa di proletari, sempre più sfruttati e privati dei residui diritti faticosamente strappati con le lotte del passato, e alla mercè dei provvedimenti emergenziali di turno.”

Ricordiamo inoltre come nel tardo pomeriggio, alle ore 18 sui prati del Talvera, vi sarà un presidio solidale con gli imputati a cui invitiamo tutti e tutte a partecipare per non fare passare sotto silenzio questa operazione repressiva che ha l’obiettivo di intimidire e impedire – anche in funzione futura – ogni forma di lotta e mobilitazione proletaria.

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[Bolzano] A fianco di MC. Il 29 aprile torniamo in piazza Tribunale

Giovedì 29 aprile 2021 dalle ore 14.45 in piazza Tribunale a Bolzano l’associazione GEA per la solidarietà femminile chiama tutte e tutti a manifestare la propria solidarietà a MC, la donna che il 1° marzo 2019 venne accoltellata dal marito per strada a Bolzano, di fronte alla figlia. Una vile aggressione omicida da cui ella riuscì però a salvarsi.

Da allora però per lei la vita non è più la stessa e nonostante abbia trovato il coraggio e la forza di denunciare il percorso per avere giustizia è ancora lungo e non immune da ulteriori forme di violenza (vittimizzazione secondaria) di cui i processi per questo tipo di reato sono pregni. Basta ricordare le vergognose recenti affermazioni pubbliche di Beppe Grillo riguardo alla denuncia per stupro ricevuta dal proprio figlio, in cui colpevolizza la vittima.

Grazie alla mobilitazione solidale lanciata e promossa da GEA negli ultimi mesi e raccolta da centinaia di solidali, MC ha scoperto però di non essere sola. Ha scoperto che in questa città – nonostante la diffusa apatia – c’è un cuore che batte e che non è indifferente alla sua sofferenza e alla grave ingiustizia da lui subita. Non solo, ci sono centinaia di persone – donne e uomini – che hanno fatto propria la sua battaglia, decidendo di sostenerla e supportarla, con la propria presenza fisica prima, durante e dopo le udienze del processo, e con ogni altro mezzo utile.

Le notizie di ogni giorno, riportano continuamente storie di donne oppresse dai propri mariti, fidanzati o padri. Storie con contorni spesso aberranti che svelano come la cosiddetta famiglia sia in realtà per molte donne una gabbia carica di oppressione e violenza da cui non è semplice liberarsi, in particolare se non sono indipendenti economicamente, poco istruite o con poca padronanza della lingua italiana.

Storie di oppressione che è possibile spezzare soltanto costruendo solidarietà, spazi di incontro e discussione ma soprattutto lottando e prendendo posizione combattendo in ogni modo il retaggio patriarcale diretto responsabile dell’oppressione di troppe donne in tutto il mondo, anche a Bolzano.

Riportiamo il comunicato dell’associazione GEA:

Giovedì 29 aprile alle ore 15.00 riprende il processo contro l’uomo che, due anni dopo essere stato arrestato in flagrante per questo tentato omicidio, vive libero, senza nessun obbligo di dimora, firma, senza nessun controllo elettronico, senza una valutazione del rischio per M.C. che invece è ancora costretta a vivere nascosta. Questa purtroppo è la realtà per moltissime donne che hanno il coraggio di rompere il silenzio, scappare, cercare aiuto e denunciare. Con la loro presenza in piazza le cittadine e i cittadini esprimono solidarietà non solo a M.C. ma anche a tutte le donne in situazione di violenza che chiedono semplicemente giustizia,”

La presenza fisica dei solidali fuori dal Tribunale è fondamentale poiché:

Un sostegno così visibile e così forte è di enorme conforto per M.C. e continua a darle la forza per andare avanti. È un segnale importantissimo per tutte le donne che subiscono violenza.”

Il 29 aprile essere in piazza per manifestare solidarietà a MC è un modo per estenderla a tutte le donne che come lei si trovano ad affrontare situazioni analoghe.

Per ricordare che la violenza subita da lei riguarda tutte e tutti.

Verranno letti alcuni testi dedicati a M.C., invitiamo chiunque voglia esprimersi a portare una lettera o un testo di solidarietà da condividere durante la manifestazione.

Siamo il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che più non hanno voce

“Ogni donna è una rivolta” Donne polacche a una manifestazione a Varsavia contro la legge antiabortista recentemente promossa dal governo reazionario di estrema destra polacco.

Di seguito riportiamo il testo di chiamata della manifestazione in tedesco:

SOLIDARITÄT MIT FRAUEN IN GEWALTSITUATION: mit deiner Stimme, deiner Anwesnheit, deinem Beitrag.

Der Verein GEA gegen Gewalt an Frauen lädt noch einmal alle dazu ein für M.C. die Stimme zu erheben. M.C. ist jene Frau welche am 1. März 2019 auf offenere Straße, vor den Augen ihrer Tochter, von ihrem Ehemann erstochen wurde.

Donnerstag den 29. April um 15 Uhr wird der Prozess an jenem Mann wieder aufgenommen, welcher vor zwei Jahren auf frischer Tat ertappt wurde und heute in Freiheit lebt. Ohne Aufenthalts- oder Unterschriftspflicht, ohne elektronischer Kontrolle, ohne jeglicher Risikoeinschätzung für die Frau M.C. welche weiterhin ihre Wohnadresse geheim halten muss.

Dies ist leider die bittere Realität für viele Frauen die den Mut aufbringen das Schweigen zu brechen, sich vom Peiniger abwenden und nach Hilfe suchen.

Mit ihrer Anwesenheit, drücken die Bürger und Bürgerinnen ihre Solidarität für M.C. und auch für alle Frauen welche Opfer von Gewalt sind und Gerechtigkeit fordern, aus“ sagt Christine Clignon, Präsidentin des Vereines GEA. „Ein so deutlicher Ausdruck von Solidarität stärkt M.C. ungemein und gibt ihr die Kraft diesen schwierigen Weg weiterzugehen. Es ist ein wichtiges Zeichen für alle Frauen welche Gewalt erfahren.“

Wir laden somit alle ein, am Donnerstag den 29.04.2021 um 14.45 Uhr am Gerichtsplatz in Bozen mit uns gemeinsam in einer unparteiischen Demonstration für die Gerechtigkeit und Solidarität teilzunehmen.

Bei dieser Gelegenheit werden einige Texte welche für M.C. verfasst wurden, vorgelesen. Wir begrüßen es, wenn weitere Personen ein Gedicht oder einen Brief der Solidarität für M.C. vortragen möchten.

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[Bolzano] “Resistenza è tutti i giorni”. Manifestazione 24 aprile al Talvera

Sabato 24 aprile sui prati del Talvera (lato Theiner) è stata organizzata un’importante manifestazione che rappresenta una preziosa occasione di confronto e discussione pubblica su ciò che abbiamo vissuto nell’ultimo anno, le pesanti limitazioni alla libertà e le pericolose derive a cui lo stato d’emergenza – che diventa regola – può portare.

Dopo oltre un anno di distanziamento, isolamento e incontri virtuali, un momento in cui parlare liberamente, discutere e riprendere i fili di un discorso che è urgente riprendere con forza per imparare ad affrontare collettivamente una situazione in cui ci vorrebbero come singoli individui isolati l’uno dall’altro.

Una giornata per ridare valore, slancio e forza al 25 aprile, alla festa della liberazione dal nazifascismo, di cui ricorre quest’anno il 76° anniversario. Una giornata per sfuggire alla pericolosa deriva celebrativa a cui tali giornate possono portare, se non rinvigorite da contenuti, critica, passione e voglia di continuare a ribellarsi ad uno stato di cose sempre più inaccettabile, che vede i ricchi sempre più ricchi ed i poveri in condizioni sempre peggiori. 

Dalla pagina Bolzano antifascista:

Mai come quest’anno abbiamo bisogno di riprenderci il concetto di resistenza; viviamo in città occupate militarmente da forze di polizia, blindate da regolamenti e coprifuoco dove in nome dell’emergenza siamo costrette e costretti in casa, “liberx” solo di lavorare, consumare e crepare.

Mai come in questi anni abbiamo bisogno di resistere.

Resistere contro il controllo delle nostre vite, contro il razzismo di stato, contro la devastazione dei territori, contro lo sfruttamento e condizioni lavorative sempre più disumane.

Mai come in questi anni abbiamo bisogno di resistere e combattere contro uno Stato che attraverso la violenza e la repressione della polizia, perseguita, punisce e incarcera chi ogni giorno resiste, lotta e si oppone a un sistema sempre più opprimente.”

In questo ultimo anno, a fianco dei continui appelli alla responsabilità rilanciati da media e politici di tutti i tipi, la repressione ha continuato la propria nefasta opera colpendo compagni e compagne, lavoratori, sindacalisti, ambientalisti, NO TAV, immigrati senza documenti, attivisti solidali con i migranti (vedi gli arresti a Trieste con cui si criminalizza la solidarietà). Numerosi – da nord a sud – sono stati gli spazi sociali sgomberati e le case da cui proletari sono stati sfrattati. Viene ricordato inoltre come nella stessa città di Bolzano è in corso un processo in cui il folle e pericoloso teorema accusatorio della Procura locale richiede oltre 330 anni di carcere per alcune decine di manifestanti che nel maggio 2016 protestarono contro la costruzione del muro antimigranti che lo Stato austriaco voleva costruire al passo del Brennero. Sempre a Bolzano, due diverse sentenze del giudice Perathoner hanno condannato diversi compagni e compagne ad alcuni mesi di carcere per il semplice fatto di aver manifestato.

Siamo solidali e al fianco di chi in nome della libertà di tutte e tutti rischia 330 anni di galera per aver partecipato alla manifestazione del Brennero contro la chiusura dei confini. Siamo solidali con chi difende il proprio territorio e la natura dalla devastazione ambientale delle grandi opere, a fianco del movimento NO TAV al quale la polizia ha dichiarato guerra sparando lacrimogeni ad altezza uomo. Siamo al fianco di tutte le operaie e gli operai denunciati, picchiati e licenziati per aver lottato contro condizioni di lavoro che a seguito della pandemia peggiorano costantemente.”

L’appello chiude ricordando la necessità di costruire la solidarietà laddove ci vorrebbero soli, impauriti ed isolati. L’unico modo per cambiare le cose è incontrarsi, parlare e riprenderci le nostre vite.

Con lo stesso desiderio di cambiamento, con la stessa rabbia dei nostri nonni e le nostre nonne che lottarono contro il regime fascista, riprendiamoci il nostro tempo e i nostri spazi di libertà ed autogestione, prendendoci cura dell’altro e dell’altra alle nostre condizioni.

Episodi che avvengono anche a Bolzano come le retate al talvera e allo Skatepark, gli sgomberi delle persone senza fissa dimora, le multe e i controlli “a viso” della polizia richiedono un’opposizione decisa. Non ci rimane che costruire alternative a colpi di azione diretta e solidarietà.”

Perchè come diceva Bertolt Brecht:

Quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere.”

Invitiamo tutte e tutti a partecipare a questa importante manifestazione. Adesso la parola la prendiamo noi.

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[Bolzano] Resoconto manifestazione studentesca sui prati del Talvera del 16/4

Venerdì 16 aprile, sui prati del Talvera a Bolzano, nei pressi del bar Theiner, si è svolta una manifestazione organizzata da un gruppo di studentx iscritti ad alcune scuole superiori della città, decisx a rompere l’apatia, l’indifferenza e la rassegnazione con cui una grande parte degli studenti, ma non solo, sta vivendo lo stato di emergenza attuale. 

Dalle ore 16 circa circa una cinquantina di persone hanno partecipato all’importante iniziativa, mentre moltissimi sono stati coloro che si sono fermati per fare due chiacchere, per prendere un volantino, discutere e confrontarsi: ciò che non è stato di fatto possibile per migliaia di studenti di tutta la Provincia che nell’ultimo anno si sono trovati a fare i conti con le difficoltà ed i pesanti limiti che la Didattica a distanza (DAD) comporta. Vedersi negli occhi, discutere all’aria aperta, intervenire al megafono, ha rappresentato infatti un modo per riprendere in mano le proprie vite.

Lo stato di continua emergenza in cui tutti siamo immersi da oltre un anno porta il rischio di far accettare in modo passivo e acritico ogni tipo di provvedimento, trasformando l’eccezione in regola. 

Un rischio che hanno evidenziato gli studenti e le studentesse in diversi interessanti interventi effettuati nel pomeriggio, dove hanno ricordato come la scuola sia soprattutto fatta di rapporti, sguardi, intese, complicità con i propri amicx e compagnx di classe. Un luogo in cui i rapporti umani diretti non potranno mai essere sostituiti da asettici dispositivi informatici e che dovrebbe essere fondamentale per la costruzione della capacità di pensiero critico e non uno spazio di indottrinamento in cui assumere nozioni per trasformare gli studenti in automi passivi del domani. 

Nel volantino che pubblicizzava la manifestazione veniva inoltre ricordato come la crisi pandemica in corso e la relativa DAD è soltanto l’ultimo passo negativo fatto dalla scuola negli ultimi anni, flagellata da riforme che hanno avuto il costante obiettivo di trasformare la scuola in funzione del mercato del lavoro. Una giornata importante perchè finalmente, dopo mesi in cui hanno parlato politici e uomini di potere, finalmente hanno preso la parola i diretti interessati: studentx delle superiori e universitari, professori e solidali consapevoli che la giornata di oggi deve interessare tutti e non solo chi è al momento coinvolto, a vario titolo, nella scuola. 

Il volantino distribuito durante la manifestazione

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[Bolzano] Carabinieri con cani antidroga allo Skatepark

Nel pomeriggio di venerdì 16 aprile, sui prati del Talvera di Bolzano è stata messa in scena dall’Arma dei carabinieri un’operazione antidroga con l’impiego delle unità cinofile. Militi con cani antidroga al seguito sono arrivati in forze allo skatepark, particolarmente affollato da ragazzi e ragazze che si stavano godendo la giornata di sole, effettuando perquisizioni a ragazzini spesso minorenni, in cerca di qualche grammo di fumo.

Alcuni skater hanno raccontato come sia già accaduto che carabinieri con cani antidroga arrivassero allo skatepark, ripetendo le stesse grottesche scene.

Ecco i risultati del delirio securitario: decine di carabinieri che – in un’operazione spot – interrompono partite di calcio e il divertimento di alcuni skater per trovare un paio di grammi di fumo con cui giustificare il successo della “brillante” operazione. 

Immagini che si commentano da sole

Cani antidroga all’opera nello skatepark di Bolzano

 

 

 

 

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[Bolzano] Manifestazione studentesca venerdì 16 aprile al Talvera

Venerdì 16 aprile sulle passeggiate del Talvera, sul lato di Theiner, il gruppo di studenti Opposizione studentesca ha organizzato, dalle ore 16, una manifestazione per contestare gli effetti disastrosi che la Didattica a distanza (DAD) sta avendo sull’insegnamento e in generale sull’apprendimento e l’esperienza scolastica degli studenti. Adesso parlano i diretti interessati.

Tuttavia, come giustamente sottolineano gli studenti, la crisi della scuola non è certamente iniziata in anni recenti: essa è un processo maturato nel corso degli anni, con il susseguirsi di riforme che hanno svuotato la scuola, appiattendola sulle necessità del mercato del lavoro e della produttività piuttosto che sulla formazione di un pensiero critico.

L’ultimo anno scolastico, caratterizzato dall’ampio utilizzo della DAD ha evdenziato e amplificato le disuguaglianze fra studenti. Ma il futuro degli studenti è nelle loro mani, ed è soltanto scendendo in piazza, lottando e contestando che essi potranno riprendersi ciò che gli spetta e far tornare la scuola un luogo di confronto e crescita anziché uno spazio in cui si assimilano in modo acritico i principi funzionali al mercato del lavoro.

Sosteniamo la giusta lotta degli studenti. Siamo realisti, vogliamo l’impossibile.

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[Bolzano] Un centinaio di solidali per Ambra – rompere il silenzio

Sabato 10 aprile sui prati del Talvera a Bolzano si è svolta una mobilitazione solidale per ricordare Ambra Berti, ragazza bolzanina di appena 28 anni morta in circostanze non chiare nel carcere di Spini di Gardolo il 14 marzo.

Almeno un centinaio di persone, parenti, amici e solidali hanno partecipato ad una giornata che aveva l’obiettivo di rompere il silenzio e la cinica indifferenza nei confronti dell’ennesima morte di carcere. Moltissime le persone che si sono fermate per prendere un volantino, parlare, capire, ascoltare, fra cui molti che l’abbruttimento del carcere nel corso della loro vita lo hanno conosciuto e vissuto sulla propria pelle.

Ambra veniva da una storia personale difficilissima ed alcune testimonianze dal carcere raccontano delle sue crescenti difficoltà all’interno del pentenziario trentino. La detenzione, la lontananza dai propri figli e affetti, la solitudine e il disinteresse colposo della responsabile sanitaria riguardo alla sua situazione, lasciano pensare come si tratti di una fine annunciata che sarebbe stato possibile evitare.

La sua morte ed il totale disinteresse che la sua fine ha trovato fra i media locali stride con la morbosa attenzione e sollecitudine con cui giornalisti e direttori di quotidiani locali hanno seguito – e seguono – per mesi il caso di Benno Neumair rispetto al quale il direttore dell’Alto Adige Alberto Faustini è arrivato addirittura a scrivere un’editoriale in cui denunciava la mancata trasmissione, da parte della magistratura, di informazioni ai cronisti locali. Lo stesso interesse evidentemente non ha riscontrato la morte di Ambra: la sua condizione di “dannata” per mille motivi e la sua fine, risucchiata nel buco nero del sistema carcerario italiano, non si prestava a narrazioni da film giallo in grado di appassionare il lettore e far vendere copie. Parlare di Ambra avrebbe significato affrontare l’indecente situazione delle carceri italiane, avrebbe significato evidenziare gravi responsabilità istituzionali ed il significato stesso che tale pena aveva per una giovane donna di 28 anni e madre di due figli. Insomma, una morte di carcere tutto sommato considerata di routine non poteva certo competere o rubare spazio al caso Neumair.

E anche qui emergono le implicazioni di classe che rispecchiano il diverso interesse che le due vicende riscuotono fra media, commentatori, opinionisti e tuttologi.

Ritornando al presidio, dalle 15 alle 17 circa sono stati fatti diversi interventi in cui si sono denunciate le responsabilità dell’amministrazione penitenziaria e dell’area sanitaria interna al carcere. È stata ribadita l’importanza di rompere l’isolamento fra interno ed esterno e di costruire solidarietà laddove le autorità vorrebbero che prosperasse solo solitudine e disperazione. Il carcere infatti causa ogni anno decine di suicidi e ancora più morti per mancanza di cure adeguate. Oltre a ciò l’abuso del consumo di psicofarmaci è favorito, anzi fomentato dalle amministrazioni carcerarie per mantenere dormienti i detenuti.

Il volantino distribuito durante il presidio

Dalle 17 alle 18.30 circa il presidio si è spostato sotto le mura del carcere di via Dante dove, fra una canzone e l’altra, sono stati salutati i detenuti che hanno risposto calorosamente facendo battiture. È stato spiegato loro il motivo della presenza sotto le mura: l’assurda fine di Ambra e la necessità di spezzare l’assordante silenzio di direttrice e autorità al riguardo. Ma si è parlato anche dell’importanza di rompere l’isolamento fra dentro e fuori le mura e lottare per evitare che il carcere continui ad essere un buco nero che risucchia la parte più povera e marginale della società e dove vige l’arbitrarietà più totale. Si sono ricordati i 14 morti durante le rivolte nelle carceri italiane nel marzo 2020 e le feroci rappresaglie dei secondini con sanguinosi pestaggi e torture diffuse contro i rivoltosi.

È stata una giornata positiva che ha saputo da una parte creare un momento di ricordo per Ambra oltre che di confronto riguardo alla necessità di organizzarsi per impedire che altre vite vengano spezzate dagli ingranaggi carcerari, dall’altro ha portato un po’ di calore e solidarietà nell’angolo più dimenticato e nascosto dell’Alto Adige, lontano dal clichè legato alla provincia più ricca d’Italia, così come la stessa storia di Ambra è lontana anni luce dalla retorica che dipinge la nostra provincia come un’isola felice. Una finzione buona solo per uno spot pubblicitario.

Essere in piazza per Ambra era il minimo da fare. Basta morti di carcere. Basta carcere. Rompiamo l’indifferenza e l’isolamento.

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[Carcere] Doppia manifestazione per Ambra sabato 10/4 a Bolzano

Se giornali e autorità speravano che la morte di Ambra venisse accolta nel silenzio e nella cinica indifferenza dei più, hanno sbagliato i loro conti. Nella consapevolezza che solo la solidarietà e la mobilitazione dal basso riesce a scalfire il muro di omertà che spesso circonda le strutture carcerarie, per sabato 10 aprile a Bolzano sono state organizzate due manifestazioni per ricordare Ambra, una giovane ragazza di Bolzano morta in circostanze ancora misteriose nel penitenziario di Spini di Gardolo, e per pretendere immediata chiarezza su ciò che le è accaduto all’interno delle mura. Allo stesso tempo un occasione per ricordare le decine di persone che ogni anno si tolgono la vita o che muoiono per mancanza di cure nelle carceri italiane. Per ricordare anche i 13 morti durante le rivolte carcerarie del marzo 2020 e per denunciare le responsabilità delle autorità nella feroce rappresaglia a colpi di pestaggi contro i detenuti che ne è seguita. Perché nessuno muoia più di carcere.

Per chi volesse contribuire economicamente per sostenere la famiglia di Ambra e le spese relative al funerale, segnaliamo la raccolta fondi aperta da alcuni suoi amici, che potete trovare al seguente link .

Riportiamo di seguito testo e volantino di chiamata delle manifestazioni per Ambra a Bolzano:

Sabato 10 Aprile doppia manifestazione.

—15:00 prati del talvera (lato Thainer) presidio in memoria di Ambra, perché di carcere non debba morire più nessunx.

—17:00 saluto solidale con i detenuti, sotto le mura del carcere di Bolzano (lato talvera).

Le due manifestazioni sono state comunicate in questura, per dare la possibilità a tuttx di partecipare, anche a chi risiede fuori provincia.

AMBRA E’ STATA UCCISA DAL CARCERE

Domenica 14 marzo nel carcere di Spini di Gardolo è morta una ragazza di Bolzano di appena 28 anni. Si chiamava Ambra Berti.

Nel comunicare la sua morte ai famigliari le autorità carcerarie hanno parlato di “cause naturali” nonostante la detenuta fosse stata portata da alcune ore in infermeria, quindi teoricamente sotto controllo del personale sanitario.

Nessuno fino ad ora ha spiegato la morte di una donna giovane fisicamente sana, madre di due figli, senza problemi di salute.

Di certo sappiamo come – a causa delle misure prese contro la pandemia – nell’ultimo anno le difficoltà e le sofferenze per le detenute ed i detenuti siano state amplificate dalla mancanza di contatto umano con i propri affetti. A ciò si aggiunge il rifiuto dei magistrati di sorveglianza di concedere ad Ambra, come a molti altri detenuti che avrebbero avuto i requisiti per accedervi, misure di pena alternative alla detenzione.

Sappiamo anche come ogni morte in carcere sia una morte di carcere e come essa sia strutturale all’istituzione carceraria, dove l’abuso del consumo di psicofarmaci, i suicidi, così come i decessi per la mancanza di cure adeguate e controlli medici, siano all’ordine del giorno.

La tragica morte di Ambra è stata del tutto ignorata dai media, complici nel tentativo di far passare in silenzio l’ennesima morte nel carcere di Spini.

Rompiamo l’indifferenza. Non si può morire così.

Pretendiamo di sapere ciò che è successo ad Ambra.

Il silenzio della responsabile sanitaria del carcere di Spini di Gardolo è un silenzio complice e omertoso come quello della direttrice del carcere di Trento e Bolzano, che dopo l’ennesima morte di una persona sotto la sua responsabilità, non ha ancora trovato modo di lasciare alcuna dichiarazione pubblica sull’accaduto.

Rompiamo l’isolamento in cui vorrebbero confinare detenuti e detenute.

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[Carcere] Ambra è stata uccisa dal carcere – Presidio solidale a Spini

Domenica 14 marzo nel carcere di Spini di Gardolo è morta, in circostanze ancora da chiarire, una ragazza di Bolzano di soli 28 anni. Si chiamava Ambra, ed era madre di due figli.

La notizia – come spesso accade quando si apprende di persone morte fra le mura dei penitenziari a meno che non ci siano delle rivolte – è stata accolta nella pressoché generale indifferenza. Si sa solo che, secondo quanto riportato dalla testata online IlDolomiti, la Procura ha disposto gli accertamenti medico-legali di routine per capire ciò che è accaduto. Al di là di cosa possa emergere da tali “accertamenti” è evidente come la sua morte sia strutturale ad un’istituzione totale che – soprattutto in tempi di pandemia – fa esasperare contraddizioni e malessere di chi è detenuto e privato dei propri contatti diretti con amici e parenti. Sappiamo che Ambra veniva da una storia personale molto difficile e che nell’ultimo periodo era particolarmente provata per la sua condizione. Una cosa non difficile da immaginare e comprendere, in un luogo di sofferenza dove ogni malessere viene “risolto” con abbondanti prescrizioni di psicofarmaci, punizioni e dove nell’ultimo anno i contatti sociali erano stati annullati o limitati.

La sua carcerazione, così come la sua morte, sono la tragica dimostrazione di come il carcere sia un’istituzione riservata ai poveri, a chi non può permettersi avvocati di fiducia oppure a chi non ha una casa in cui eventualmente scontare la pena.

Secondo Ristretti orizzonti solo nel 2020 ci sono state 154 morti (mancate insufficienti cure, ecc.) nelle carceri italiane e 61 suicidi, il numero più alto dell’ultimo ventennio. Nel 2021 sono già 32 i morti e almeno 7 i suicidi.

Invitiamo tutti e tutte a partecipare al presidio che ci sarà sabato 3 aprile dalle ore 16 sotto le mura del carcere di Spini di Gardolo per rompere il silenzio e l’indifferenza intorno alla morte di Ambra. Per sapere cosa è successo, smascherare le responsabilità di chi non è intervenuto e per denunciare le condizioni di detenuti e detenute che negli ultimi anni nel carcere trentino più volte si sono suicidati mentre numerosi altri sono stati i tentativi non riusciti.

Per ricordarla e per far sentire a chi soffre dietro le sbarre che non sono soli e sole. Perchè le morti in carcere non sono mai “casuali” o “naturali”.

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Quei fiori per Mara. Un ricordo di Sante Notarnicola

Un ricordo di Sante Notarnicola, operaio, bandito, poeta, rivoluzionario

Appena ho saputo della morte di Sante sono ritornato alle bellissime ed intense giornate trascorse insieme fra Trento e Bolzano nel maggio 2014. Nonostante siano passati quasi sette anni ho un ricordo piuttosto nitido di un incontro che porterò sempre nel cuore.

A Trento con i compagni avevamo organizzato una serie di iniziative sul tema del carcere “D’ogni dove rinchiusi si sta male” e chi meglio di Sante, con le sue poesie e la sua esperienza, avrebbe potuto concludere il ciclo?

Dopo aver chiesto il suo contatto a dei compagni bolognesi lo chiamai e lui fu subito disponibile e curioso di salire in una zona d’Italia che non conosceva direttamente anche se negli anni in cui era dietro al bancone del Pub Mutenye di via del Pratello aveva conosciuto numerosi studenti universitari di Trento e Bolzano fuori sede a Bologna.

Lo andai a prendere alla stazione dei treni di Trento in tarda mattinata e non nascondo che provavo una certa emozione nell’incontrare un compagno che rappresentava un pezzo di storia del movimento rivoluzionario e di classe di questo Paese: pugliese di Castellaneta aveva vissuto sulla propria pelle la discriminazione che i piemontesi riservavano ai terroni immigrati come lui, si era formato al Banfo la IX sezione torinese del PCI a Barriera di Milano dove aveva imparato che essere comunisti è l’unico modo per essere uomini. Qui partecipò ai primi scioperi, alle lotte contro i provocatori fascisti e i crumiri, le uscite in notturna nelle periferie torinesi a scrivere sui muri “W lo sciopero abbasso Valletta”. Da militante di base aveva vissuto il trauma del rapporto Krusceev sui crimini di Stalin al XX congresso del PCUS che, come scrisse lui “Fu una legnata per molti compagni e ne portammo i segni per parecchio tempo […] fu come un accoltellamento alla schiena”. E poi alcuni anni dopo gli scontri di piazza Statuto, l’insoddisfazione per l’involuzione riformista ed accomodante del PCI che lo portò, insieme ad altri proletari ed in un epoca in cui al di fuori del partito non c’era nulla, ad attaccare il capitale attraverso rapine che via via si fecero sempre più audaci e che lo portarono, nel 1967, all’arresto insieme al resto della cosiddetta Banda Cavallero. Una vicenda che venne poi raccontata in modo macchiettistico dal regista Carlo Lizzani nel film Banditi a Milano. Riuscì poi a trasformare il carcere in un terreno di lotta e privo della libertà attraversò da protagonista le mobilitazioni che anche in Italia si diffusero con il ’68. I suoi incontri con i detenuti in carcere riflettevano la conflittualità sociale sempre più aspra che attraversava il Paese: dagli anarchici arrestati dopo le bombe fasciste del 25 aprile 1969 alla strage di piazza Fontana ed alla successiva nuova ondata di arresti di anarchici con la seguente morte di Pino Pinelli. Gli anni dopo ebbe importanti rapporti con Lotta Continua riuscendo a porre all’esterno il problema del proletariato prigioniero, fino ai rapporti con i militanti delle varie organizzazioni della lotta armata. Diventò col tempo un punto di riferimento delle lotte dei prigionieri contro il carcere, impegnandosi a costruire solidarietà e coscienza politica lì dove secondo le intenzioni dei carcerieri avrebbero dovuto prevalere la rassegnazione e l’egoismo. Al processo d’appello del dicembre 1971 a Milano dichiarò:

Voi continuerete a imprigionare tutti coloro che vi danno fastidio o sono un pericolo per il vostro disordine costituito. Voi getterete in carcere i pacifisti, gli obiettori di coscienza, noi li aiuteremo a superare le asprezze e le privazioni di questa vita e di questo ambiente. I detenuti comuni, gli sbandati, i ribelli senza speranza, noi ve li ritorneremo con una coscienza rivoluzionaria. Questo è il mio impegno, questo è il vostro errore. Voi credete di aver vinto e invece, anche con me, avete già perso la battaglia.

Dopo aver caricato la sua valigetta in auto, lo portai a bere una birretta in piazza Duomo, che ammirò estasiato. Seduti a un tavolino a lato della piazza iniziammo a chiaccherare del passato e del presente. Riguardo a Trento non aveva grandi ricordi, nemmeno in relazione all’eco delle lotte degli studenti di Sociologia che sul finire degli anni Sessanta attraversavano la città. Il primo fatto che gli venne in mente fu la “gogna” che il 30 luglio 1970 gli operai della Ignis fecero fare ai due fascisti del Movimento Sociale Italiano Gastone del Piccolo e Andrea Mitolo, trovati con un ascia nella borsa, dopo che un gruppo di mazzieri missini aveva aggredito ed accoltellato gli operai in sciopero. Oltre a ciò naturalmente il suo pensiero andò a Margherita Cagol Mara, fondatrice e dirigente delle Brigate Rosse, uccisa durante uno scontro con i carabinieri a Cascina Spiotta, nel giugno 1975. A pranzo mangiammo in un ristorante del centro, prese della carne cruda non mancando di raccontare come fosse un piatto che a suo tempo mangiava spesso nelle trattorie frequentate dagli operai della Fiat. Non nascondeva il suo stupore per essere – negli ultimi anni – invitato sempre più spesso a raccontare la propria esperienza in spazi anarchici, lui che ci aveva tenuto a dirmi subito come fosse stalinista, una definizione che per lui significava grande rigore politico e morale. Certamente a rendergli simpatici gli anarchici giocò il fatto che essi erano e sono, se non gli unici, fra i pochissimi che lottano contro l’istituzione carceraria. E lui, che dopo la sua liberazione in via del Pratello era di casa, aveva avuto modo di conoscere alcuni compagni mentre facevano dei presidi solidali con i giovanissimi detenuti del carcere minorile presente nella via.

Il pomeriggio mi chiese di accompagnarlo al cimitero di Trento, voleva portare un fiore sulla tomba di Mara. Mi aveva già accennato a questo suo desiderio durante il nostro colloquio telefonico e perciò nei giorni precedenti mi ero già portato al cimitero per cercare la sua tomba in modo da andare a “colpo sicuro”. Non nascondo una certa emozione nel rievocare un momento di cui ho ancora l’immagine nitida davanti agli occhi. Nel baracchino vicino aveva comprato un mazzo di fiori rossi, non ricordo bene quali, e dopo aver raggiunto la sua tomba, posò i fiori sulla lapide di Margherita Curcio Cagol su cui c’è scritto Chi dona la sua vita la salva. Rimase alcuni momenti in silenzio, raccolto, io ero molto emozionato, sentendomi a tratti inadeguato, di fronte a questo intenso incontro, seppure virtuale, di due persone appartenenti a due diverse generazioni, che avevano dato tutto nella propria scelta di ribellarsi e lottare. Mi disse che nei lunghi anni di carcere il discorso capitava spesso su Mara e ciò che emergeva sempre era il grande rispetto che lei, capace di organizzare l’evasione del proprio marito e compagno Renato, aveva saputo guadagnarsi in un ambiente in ogni caso non facile per una donna che si dimostrò capace di trovare sintesi ed equilibrio fra le varie anime e tendenze dell’organizzazione. Subito dopo aver appreso della sua morte, Sante, all’epoca detenuto nel carcere di massima sicurezza sull’isola di Favignana, gli dedicò la poesia A Mara:

Fu scarno il commiato dei compagni / poi colonne di piombo a lacerarti / insinuare negli animi deboli una fragilità ch’è patrimonio tutto borghese / la nostra prece ha sfumature diverse / nella mente precisi gli obiettivi / e nel cuore resta fissa la generosità tua che / a braccia spalancate tutto hai dato sotto un cielo chiaro di giugno.

La tomba di Margherita Cagol al cimitero di Trento

Dopo aver riposato a casa e letto alcune pagine del libro Il sistema periodico di Primo Levi che aveva con sè, la sera andammo allo spazio anarchico El Tavan, gremito di compagni e compagne, per la presentazione della sua raccolta di poesie nel libro L’anima e il muro. Iniziò la serata spiazzando un po’ tutti, ringraziando dell’invito ma rivendicando ancora di essere stalinista, cresciuto alla scuola del Banfo. Durante la serata vennero lette, con accompagnamento musicale, alcune sue poesie prese dalla raccolta L’anima e il muro, una cosa che lo commosse. Rimanemmo diverse ore a chiaccherare in una di quelle serate che vorresti non finissero mai.

Sante a Trento

Il giorno dopo replicammo la serata anche a Bolzano, in una biblioteca locale ancora una volta affollatissima, per ascoltare la testimonianza di un compagno sempre in prima linea nelle lotte più dure e importanti che avevano attraversato le carceri italiane del secondo dopoguerra. Finita la serata, mentre tornavamo alla macchina per rientrare a Trento, passammo vicino a un monumento dedicato al carabiniere ucciso dai nazisti Salvo d’Acquisto, una cosa che gli fece riaffiorare un momento della sua lunga detenzione e scoppiò a ridere ricordando un aneddoto che purtroppo non ricordo più, a differenza della sua bellissima risata.

Decise poi di passare un altro giorno con noi ed il giorno seguente insieme a Lucia andammo sul monte Bondone per pranzo in un rifugio gestito da compagni: ricordo il suo sguardo meravigliato dalla bellezza della montagna e delle cime ancora innevate, ringraziando per il “regalo che gli avevamo fatto”. Mi meravigliò il fatto che fosse juventino, la squadra degli Agnelli e glielo dissi: mi raccontò così che si trattava di una scelta legata alla sua condizione di emigrato del Sud, una specie di reazione contro i torinesi di Torino, legati alla squadra granata e mai troppo benevoli con i terroni.

Senza rischio di cadere nelle retorica a buon mercato, in quei pochi giorni passati con lui la cosa che ricordò con maggior affetto è proprio la forte carica umana che portava con sé. Un compagno premuroso, attento agli aspetti emotivi che la lotta politica porta con sè, un compagno che si prendeva cura degli altri, di chi si trovava ancora in carcere, e che aveva un amore viscerale per i libri, consigliandone diversi che ho poi puntualmente letto, capace di ascoltare con grande umiltà, senza fare pesare il proprio immenso bagaglio di esperienze. Ricordo ancora con affetto e stupore la sua chiamata dopo la manifestazione contro il muro antimigranti e le frontiere al Brennero, il 7 maggio 2016, in cui chiedeva come stavamo domandando aggiornamenti sulla situazione. Pensa Sante, adesso per quella manifestazione la procura di Bolzano, dopo aver già regalato alcune decine di anni di galera, chiede oltre 330 anni di carcere per 63 compagni/e. E mi viene in mente una delle tue poesie che amo di più La nostalgia e la memoria che parla della generazione che correva compatta da papà Cervi a consolarlo, a consolarsi, degli operai perseguitati da Scelba e da Valletta, di tutti quelli che nella storia, nonostante le peggiori porcate e infamie commesse obbedendo zelanti alla legge, la passano sempre liscia. Tanti compagni/e rischiano di pagare un prezzo altissimo per non essersi girati dall’altra parte mentre migliaia di persone morivano – e muoiono – in mare o sui passi alpini, contro cui volevano militarizzare un confine con muro annesso. La cosiddetta società, soprattutto oggi, fatica a capire cosa abbia spinto, in passato come oggi, centinaia e migliaia di persone a rischiare la propria libertà per difendere quella altrui. Il motivo, ieri come oggi, è lo stesso che hai descritto in – Comunismo – un’altra tua bellissima poesia: É l’inno all’amore di sempre: per l’uomo sfruttato, inchiodato, calpestato che finalmente dall’officina e dalla prigione alza l’arma e la fronte.

Ciao Sante, grazie. Un brindisi a te

Enzo

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